GONZAGA, Francesco
Nacque quasi sicuramente a Roma, da Filippo e da Maddalena Bighi, nel 1663 o nel 1664. La famiglia era di origini reggiane o mantovane, anche se nel certificato di morte al nome di Filippo e a quello di Francesco segue l'aggettivo "romano", cosa spiegabile col fatto che entrambi vissero a Roma, precisamente nella parrocchia di S. Maria in via Lata, vicino al Collegio romano. Il G. ebbe cinque fratelli; nel 1681 morì il padre, ancor giovane, lasciando la responsabilità della casa e della famiglia al G., che era il primogenito. I Gonzaga cambiarono in seguito residenza, andando probabilmente ad abitare presso la parrocchia di S. Salvatore alle Coppelle.
L'attività tipografica del G. iniziò nel 1704 e subito prese un buon avvio. Dimostrò fin dall'inizio grandi doti dal punto di vista tecnico e imprenditoriale, e le sue edizioni si distinsero per l'esattezza e l'eleganza dei caratteri. Quasi certamente aveva già lavorato presso qualche bottega di tipografo, probabilmente in quella del romano Nicolò Angelo Tinassi, in seguito rilevata dal Gonzaga.
Il Tinassi, d'origine abruzzese, era titolare di un'importante tipografia, attiva dal 1654. Egli aveva iniziato l'attività, poi proseguita dal nipote Francesco Antonio e, nel secolo successivo, dai figli di questo, Luigi Raimondo e Filippo. Il Tinassi si distinse nel panorama romano per la produzione di libretti per musica e altri testi drammatici. Stampò anche il Giornale de' letterati, il primo periodico letterario apparso in Italia, ed ebbe numerose committenze dall'Ordine domenicano e dalla Compagnia di Gesù. Dopo la sua morte, nel novembre 1699, il nipote Francesco Antonio gestì solo per pochi mesi la stamperia, passata poi a Pietro Olivieri, un ex apprendista del Tinassi, che se ne occupò fino alla morte nel 1704. In quest'anno l'officina fu affidata al G., grazie al quale riacquistò prestigio e fama. Non si conoscono le modalità dei suoi accordi con i Tinassi, comunque il legame con loro non venne mai meno, come testimonia il fatto che in alcune edizioni, anche a distanza di anni, il loro nome appare accanto a quello del Gonzaga. Per il 1704 risultano sei edizioni, un numero limitato rispetto alla futura produzione. Il fatto che in alcune figurasse ancora nella sottoscrizione il nome dell'Olivieri fa pensare che il passaggio di proprietà non fosse ancora avvenuto del tutto. Nel 1705 il G. si trasferì nella casa che era stata del Tinassi, in via Lata, nella parrocchia di S. Maria, tornando quindi ad abitare dove aveva vissuto con la famiglia negli anni dell'adolescenza. L'abitazione era situata di fronte alla chiesa di S. Marcello, vicinissimo alla precedente, nell'isolato chiamato del Facchino dal nome d'un busto di acquaiolo che decorava una fontanella, all'interno di un insieme di edifici in cui si trovavano abitazioni e botteghe. Il G. visse sempre nella stessa casa in cui si trovava anche la tipografia e dove vendeva i suoi libri, risparmiato dai grandi cambiamenti ai quali fu sottoposta questa zona. In quindici anni di attività il G. stampò centonovanta edizioni. Non si conoscono nomi di suoi collaboratori, salvo quello di Tommaso Ramella per gli anni 1709-11. Non essendo però pensabile che potesse svolgere tutto il lavoro da solo, si deve ipotizzare l'aiuto di altri collaboratori. Dopo il primo anno di attività la media annuale delle pubblicazioni si attestò tra dieci e dodici. La produzione fu varia: opere di storia ecclesiastica, agiografia, antiquaria, letteratura, medicina, guide di Roma, libretti per musica. Anche nella tipologia si riscontra una certa varietà: accanto a edizioni di grande formato in più volumi, ricche di preziose incisioni, si trovano piccoli libri economici di semplice fattura e decorazione, per lo più in quarto. Per l'alta qualità la sua produzione è oggi considerata tra le più importanti della prima metà del secolo XVIII, anche per merito dei caratteri e dei buoni torchi ereditati dal Tinassi. Autori famosi dell'epoca stamparono con lui le loro opere. Fin dal 1704 Giusto Fontanini, illustre storico e letterato, gli affidò gran parte della sua produzione, e nel 1706 uscì per i tipi del G. la prima edizione della sua opera forse più celebre, Della eloquenza italiana, in forma di epistola al marchese G. Orsi sui progressi della lingua italiana. Nel 1711 seguirono altre tre opere sue, incluso il Bibliothecae Iosephi Renati Imperialis… catalogus, un imponente volume di oltre settecento pagine, frutto di dieci anni di lavoro presso il card. G.R. Imperiali. È da supporre che all'inizio dell'attività il G. fosse appoggiato dall'Imperiali, figura eminente della corte romana e anche uomo di cultura, col quale forse stabilì un rapporto mecenatizio, il cui prodotto più significativo fu proprio la pubblicazione del catalogo della biblioteca, curato dal Fontanini. Questo raggiunse un altissimo livello estetico, soprattutto dal punto di vista tipografico (vi mancano infatti incisioni o altre illustrazioni), e per esso fu impiegata una carta avente come filigrana lo stemma araldico dell'Imperiali, poi utilizzata ancora quattro volte dal G. per la stampa di altrettante opere del Fontanini.
Nel 1705 la sua attività era ormai molto ben avviata. In quest'anno dai suoi torchi uscirono dodici edizioni, tra cui il De columna Imperatoris Antonini Pii di Giovanni Vignoli, studioso apprezzato in ambiente curiale, ricco di incisioni e in cui il G. ricreò, soprattutto nei titoli, modelli epigrafici. Così iniziò a crearsi una vasta cerchia di committenza, che il G. seppe conservare anche negli anni successivi. Alcuni autori ebbero con lui un rapporto privilegiato; tra questi il poeta e drammaturgo Pierjacopo Martello, che pubblicò presso la sua officina tutti i lavori prodotti nel suo soggiorno romano.
Il G. aveva instaurato stretti legami con i circoli eruditi dell'epoca e intrecciato una fitta rete di rapporti con illustri personaggi della corte pontificia. Il nome più ricorrente nelle epistole dedicatorie che accompagnano le opere che pubblicò è quello di Clemente XI, papa Albani, la cui famiglia ebbe un ruolo determinante nelle vicende dei primi due decenni del secolo XVIII.
Durante la sua attività il G. solo raramente ebbe diritto al privilegio; un caso particolare fu quello della stampa delle Gemme antiche figurate, curata da Paolo Alessandro Maffei dal 1707 al 1709, anche se non è facile capire se il fruitore del privilegio fu il G. o piuttosto Domenico De Rossi, dalla cui calcografia uscì parte delle tavole che arricchiscono l'opera, già stampata nel secolo precedente con commento di Giovanni Pietro Bellori.
Nel ricco panorama della produzione gonzaghiana risaltano per bellezza e accuratezza i testi di scienze naturali, specialmente di medicina e botanica. Vanno ricordate in particolare le Tabulae anatomicae di Bartolomeo Eustachi e Giovanni Maria Lancisi e la Dissertatio de generatione fungorum dello stesso Lancisi, in collaborazione con Luigi Ferdinando Marsili. Entrambe stampate nel 1714 ed entrambe in folio, si distinguono per l'eccezionale cura e bellezza dell'apparato illustrativo. Le edizioni del G. sono in genere accompagnate da note tipografiche chiare e complete, ma molto varie; questo si spiega con l'ampiezza dei suoi locali, che si affacciavano su via del Corso e proseguivano all'angolo con via Lata, cosicché accanto alla semplice indicazione "via del Corso" egli impiegò il nome più classico "via Lata", oppure "in area Sancti Marcelli ad viam Cursus", "in via Cursus, prope S. Marcellum" o ancora "ante aedem S. Marcelli in via Lata". In alcuni casi si ha una forma semplificata in cui compaiono solo nome e cognome del Gonzaga.
Nel 1717 egli iniziò la stampa di un'opera in più volumi, la Historia ecclesiastica del padre J.-H. Amat de Graveson, che per tutto il secolo ebbe grande successo come testo per gli studenti di teologia. Il G. la portò avanti fino al 1719, anno della sua morte, quando mancavano ancora cinque volumetti. La stampa fu proseguita dai Tinassi, prima da soli e poi col romano Girolamo Mainardi, che per affiancarli lasciò la Stamperia camerale. L'opera fu completata con lo stesso formato e veste tipografica, dimostrando così un'effettiva continuità della tipografia.
Il G., rimasto celibe, non lasciò eredi e nessun familiare lo affiancò nel lavoro, cosa piuttosto inusuale in tempi nei quali generalmente l'attività si tramandava di padre in figlio, o comunque nell'ambito familiare. Il fatto che dopo di lui la tipografia tornasse ai Tinassi si spiega anche con la ragione che in realtà egli non ebbe diritti di proprietà da trasmettere a eventuali eredi. I Tinassi continuarono a lavorare fino al 1723, affiancati dal Mainardi che divenne loro socio.
Il G. morì a Roma il 26 ott. 1719, pochi mesi prima della cessione delle abitazioni della zona "del Facchino" per la costruzione del ricco palazzo del marchese Livio de Carolis.
Fonti e Bibl.: Acc. naz. dei Lincei, Il libro romano del Settecento. La stampa e la legatura, Roma 1959, pp. 14, 27 s.; S. Franchi, Le impressioni sceniche. Diz. bio-bibliografico degli editori e stampatori romani e laziali di testi drammatici e libretti per musica dal1579 al1800, Roma 1994, pp. 321-324, 736-744; F. Cancedda, La stamperia Gonzaga a S. Marcello al Corso. Storia e annali (Roma 1704-1719), Manziana 2000.