GRANACCI, Francesco
Figlio di Andrea di Marco e di una Lisabetta di cui si ignora il casato, nacque nel 1469 a Villamagna di Bagno a Ripoli, presso Firenze, in un podere di proprietà del padre. Secondogenito di tre figli maschi, visse sempre a Firenze dove abitò in via Ghibellina nella parrocchia di S. Ambrogio. Il padre, materassaio e rigattiere, proprietario anche della casa fiorentina, lo lasciò erede parziale dei suoi beni; e il G. dovette vivere in una situazione di relativa agiatezza, echeggiata nella affermazione del Vasari: "faceva l'arte più per passar tempo che per bisogno".
Le Vite del Vasari costituiscono a tutt'oggi il supporto principale per ricostruire la biografia e il percorso artistico del G., ma sono tuttavia insufficienti per stabilire il catalogo dell'opera, ancora molto lacunoso e problematico, vista anche la documentazione ridotta.
Secondo Vasari, il G. posò giovinetto per il personaggio del figlio di Teofilo nelle Storie di s. Pietro affrescate da Filippino Lippi al Carmine (1481-84 circa). Tale circostanza ha fatto ipotizzare un suo precoce apprendistato presso Filippino, la cui influenza stilistica è stata rilevata in alcune opere giovanili del G. (Fahy, in Il giardino di S. Marco).
Entrò nella bottega di Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio probabilmente intorno al 1484-86, poiché fu lui a introdurvi Michelangelo Buonarroti nel 1488. Il G. fu amico del più giovane Michelangelo fin dalla sua fanciullezza e ne incoraggiò la vocazione artistica, fornendogli anche disegni provenienti dalla bottega del Ghirlandaio (Vasari; Condivi). In qualità di allievo il G. dovette partecipare infatti a molte delle opere prodotte in quegli anni nella bottega del Ghirlandaio, ma i tentativi di rintracciarne la mano, per esempio negli affreschi della cappella Tornabuoni nel coro di S. Maria Novella a Firenze, non hanno portato a esiti certi (Kecks). Fu probabilmente in questi anni giovanili che il G. si esercitò nello studio degli affreschi di Masaccio al Carmine insieme con altri artisti fiorentini della sua generazione, come ricorda Vasari.
Nel 1490 iniziò a frequentare il "giardino di S. Marco", sede della famosa raccolta di statuaria antica di Lorenzo il Magnifico, nella omonima piazza fiorentina, affidata allo scultore Bertoldo di Giovanni, frequentato tra gli altri anche da Lorenzo di Credi, Giuliano Bugiardini, Andrea Sansovino.
Forse fu lo stesso G. a introdurvi Michelangelo e a esercitare pressioni sul padre per consentirgli di rimanere presso Lorenzo il Magnifico (Condivi).
Per volere di Lorenzo, il G. allestì nel giorno di S. Giovanni del 1491 un corteo in costume ispirato al Trionfo di Paolo Emilio, mascherata di gusto antiquariale atta a celebrare la politica medicea alla quale è stata avvicinata una incisione anonima raffigurante un Trionfo di Paolo Emilio (Londra, British Museum; Holst; Barocchi).
L'attività del G. come ideatore di costumi e come artefice di stendardi, drappi e altri accessori per tornei e sfilate cavalleresche, così come la sua partecipazione all'allestimento di rappresentazioni teatrali, sono più volte ricordate da Vasari, fin dall'apprendistato nella bottega del Ghirlandaio.
Il primo intervento attribuito concordemente al G. all'interno della bottega ghirlandaiesca è la figura di s. Rocco nella Pala di s. Vincenzo Ferrer, eseguita per la chiesa di S. Cataldo a Rimini. Commissionata dai Malatesta nel 1492, fu però compiuta solo dopo la morte del Ghirlandaio (1494) e collaudata nel 1496. Affidata ai fratelli David e Benedetto Ghirlandaio vi lavorarono, oltre al G., Sebastiano Mainardi e il giovane fra Bartolomeo.
Nel 1494 il G. dipinse, in collaborazione con Poggio Poggini e un certo Iacopo, alcune insegne di Carlo VIII sulla facciata della casa dell'Opera del duomo a Pisa. L'intervento, documentato dai pagamenti che si protrassero fino al 1495, celebrava l'ingresso trionfale del sovrano francese (Holst). Inoltre, secondo Vasari, dopo la morte del Ghirlandaio il G. collaborò con i fratelli di lui al completamento della pala d'altare per la cappella Tornabuoni in S. Maria Novella.
La pala, oggi smembrata e suddivisa tra due musei (Monaco, Alte Pinakothek; Berlino, Gemäldegalerie), fu terminata negli anni 1494-96 e l'intervento del G. è circoscritto da Vasari alle figure della predella e dei ss. Antonino e Caterina da Siena; ma la critica più recente considera quasi impossibile l'identificazione delle singole mani (Holst; Kecks).
Nel 1504 il G. risulta essere iscritto alla Compagnia di S. Luca con la carica di camerlengo. Il 25 gennaio dello stesso anno partecipò alla commissione convocata da Michelangelo per decidere la collocazione del David nella piazza della Signoria; tale commissione comprendeva circa trenta artisti tra i più affermati a Firenze e l'inserimento del G. conferma lo status da lui raggiunto in quegli anni e il perdurare della stima di Michelangelo.
Nel decennio che seguì la morte del Ghirlandaio il G. dovette acquisire la sua completa autonomia, ma non è possibile collocare in questi anni alcuna opera certa e documentata che confermi l'affermazione vasariana secondo la quale, dopo l'intervento nella pala di S. Maria Novella, il G. "fece nella medesima maniera che è detta tavola molti quadri che sono per le case de' cittadini ed altri che furono mandati fuori".
Vengono collocate dalla critica in questi anni alcune opere come la Madonna in trono fra s. Giovanni Battista e s. Michele (Berlino, Gemäldegalerie) e il tondo con Natività (Honolulu, Academy of fine arts), opera quest'ultima in cui è stata ravvisata l'influenza di Filippino Lippi (Fahy, in Il giardino di S. Marco). Ancora vicine per struttura narrativa e per linguaggio formale al tardo Quattrocento sono le Storie del Battista, serie di quattro pannelli conservati in diversi musei (New York, Metropolitan Museum; Cleveland, Museum of art; Liverpool, Walker Art Gallery). L'autografia del G. è riconosciuta solo per la Natività del Battista del Metropolitan Museum, mentre gli altri pannelli sarebbero di pertinenza della bottega.
Una menzione a parte merita il Riposo nella fuga in Egitto (Dublino, National Gallery of Ireland), opera concordemente attribuita ma problematica quanto a datazione.
L'indubbia qualità esecutiva e la componente fortemente plastica delle figure hanno suggerito l'ipotesi di un disegno michelangiolesco e l'avvicinamento alla Madonna di Manchester (Londra, National Gallery). Altri ne hanno ridimensionato la portata innovativa ponendola ancora nell'ambito del Ghirlandaio (Holst).
L'opera testimonia una riflessione non banale sul tema dell'intreccio piramidale di personaggi e affetti, che costituirà il perno delle ricerche fiorentine di Raffaello e di Leonardo, e dimostra una sensibilità anche paesaggistica e coloristica, che pongono il G. in una posizione non marginale nel passaggio tra Quattrocento e Cinquecento.
Negli anni 1504-06 il G. fu tra i più assidui disegnatori del cartone michelangiolesco della Battaglia di Cascina; e questi sono forse gli stessi anni in cui partecipò ai dibattiti artistici che si svolgevano nella bottega dell'architetto Baccio d'Agnolo (Bartolomeo Baglioni), frequentati anche da Raffaello, Andrea Sansovino e dallo stesso Michelangelo. Lo stretto rapporto di amicizia con quest'ultimo è testimoniato inoltre dalle lettere scritte da Michelangelo ai familiari da Bologna nel 1507 e culminò con il coinvolgimento del G. nella decorazione della cappella Sistina.
Il G. infatti fu tra i cinque artisti chiamati a Roma da Michelangelo in qualità di aiuti nella primavera del 1508. Il G. svolse un ruolo quasi di capomastro fiduciario e fu senza dubbio a Roma nel maggio e nel giugno di quell'anno, come documenta l'epistolario michelangiolesco (Barocchi - Ristori). L'entità della partecipazione degli aiuti ai lavori della volta Sistina e la durata effettiva della loro permanenza sono ancora molto discusse. Non si esclude l'ipotesi che il G., in quanto il più esperto e affermato del gruppo, avesse potuto collaborare sia alle prime scene bibliche, sia ai particolari decorativi, benché con un ruolo puramente esecutivo. In tal caso la sua permanenza si sarebbe protratta fino alla fine del 1509.
Nel 1509 sposò Felice, figlia diciassettenne del notaio Antonio Lapini, dalla quale ebbe tre figli: Costanza, nata nel 1511, Andrea, nato nel 1515 e Niccolò, nato nel 1517. Nel 1510 stimò, insieme con Pietro Vannucci, il Perugino, e Ridolfo del Ghirlandaio, la pala con l'Annunciazione di Mariotto Albertinelli (Firenze, Accademia), poiché quest'ultimo era coinvolto in una controversia con il committente. Nel 1511 fu immatricolato nell'arte dei medici e degli speziali.
Nella fase immediatamente seguente al soggiorno romano non risultano opere certe, benché la data del 1510, ancorché discussa, sia stata proposta per la Madonna in trono fra s. Francesco e s. Zanobi (Firenze, Accademia). La pala, eseguita per la cappella della famiglia Gerolami nella distrutta chiesa di S. Gallo, dimostra una fase intermedia tra il rigido linguaggio quattrocentesco del trono e degli scalini e il più aggiornato dinamismo degli angioletti reggicortina e di s. Zanobi che si volge verso lo spettatore (Holst).
Una lettera di Michelangelo del 1512 testimonia la frequentazione del G. con l'artista spagnolo Alonso Berruguete; nello stesso anno fu fondata, secondo Vasari, la Compagnia della Cazzuola, sodalizio di artisti, nobili e borghesi fiorentini dediti ad attività ricreative svariate, dai banchetti alle rappresentazioni teatrali, di cui il G. fu tra gli animatori, insieme con Giuliano Bugiardini e Giovanfrancesco Rustici.
Ben documentata è invece la partecipazione del G. agli apparati per l'ingresso di Leone X a Firenze il 30 nov. 1515, per i quali eseguì l'arco di trionfo posto di fronte alla porta della badia, decorato con storie a monocromo, bassorilievi in terracotta e vedute prospettiche in trompe-l'oeil. Collaborò con il G. Aristotile da Sangallo, già suo compagno di bottega presso il Ghirlandaio e nell'impresa della Sistina. Vasari ricorda che nella stessa occasione il G. allestì anche una "mascherata" ispirata al Trionfo di Camillo e segnala che ebbe spesso tra i suoi collaboratori per gli apparati Andrea Feltrini, artista esperto di grottesche.
L'allestimento degli apparati per Leone X coinvolse molti artisti, tra i quali Baccio d'Agnolo e Andrea del Sarto (Andrea d'Agnolo), con i quali il G. collaborò a una delle più significative opere collettive del primo manierismo fiorentino: la decorazione della camera nuziale di Pier Francesco Borgherini e Margherita Acciaiuoli.
Commissionata dal padre dello sposo, Salvi Borgherini, per il suo palazzo in Ss. Apostoli, ebbe la struttura lignea del letto e degli arredi confezionata da Baccio d'Agnolo e i pannelli con Storie di Giuseppe dipinti dal G., Andrea del Sarto, Iacopo Carucci detto il Pontormo e da Francesco di Ubertino detto il Bachiacca. L'intero complesso, eseguito negli anni 1515-17, fu presto smembrato e le tavolette divise tra diversi musei. Il G. eseguì l'Arresto di Giuseppe e Giuseppe presenta il padre e i fratelli al faraone (Firenze, Uffizi) e un tondo con la Trinità (Berlino, Gemäldegalerie). I pannelli del G., pur mostrando nelle figurette affusolate un adeguamento all'eleganza manieristica, si distinguono per l'ariosa spazialità e l'armonia compositiva che, unite alla grazia dei gesti e alla delicatezza coloristica, li rendono assai più classici di quelli dei suoi colleghi. Si conoscono alcuni disegni preparatori con studi di teste, conservati agli Uffizi. Per il pannello con Giuseppe presenta il padre e i fratelli al faraone è stata proposta la collaborazione di Aristotile da Sangallo per lo sfondo architettonico (Natali, 1995). La committenza delle tavole Borgherini, testimonianza dell'inserimento del G. nella cerchia artistica più aggiornata, fu dovuta probabilmente anche alle sue relazioni con Michelangelo, amico di Pier Francesco Borgherini, e con Baccio d'Agnolo.
L'adesione del G. ai moduli manieristi sarebbe confermata anche dalla sua vicinanza in questi anni alle opere del cosiddetto Maestro dei Paesaggi Kress, da alcuni identificato con il Rosso Fiorentino, Giovanni Battista di Iacopo, testimoniata per esempio da un disegno di Madonna con Bambino (Firenze, Uffizi) attribuito al G. (Bartoli).
Nel 1516 il G. stipulò il contratto per la pala con Madonna della cintola per la Compagnia di S. Benedetto Bigio in S. Maria Novella (già Warwick, collezione del conte di Warwick: Holst). Nel 1518 stimò, insieme con G. Bugiardini, la pala del Rosso Fiorentino per S. Maria Nuova. Recentemente è stata attribuita al G. una Madonna con Bambino (Odessa, Museo di arte occidentale e orientale) datata al 1519, aprendo nuove possibilità riguardo alla sequenza cronologica delle opere di questi anni (Markova).
Datato al 1519 e attribuito al G. è anche un affresco con Natività nell'oratorio di S. Iacopo (Monte Acuto, villa Blasi Foglietti). Sarebbe l'unico affresco noto del G., dopo le giovanili "armi" di Carlo VIII a Pisa e l'esperienza della Sistina: Vasari infatti non cita alcuna opera eseguita con questa tecnica.
Fra il 1520 e il 1522 è testimoniata da alcuni pagamenti l'esecuzione della pala con Madonna in gloria e santi dipinta per il convento di monache vallombrosane di S. Giorgio alla Costa. L'impianto monumentale dell'opera, conservata alla Galleria dell'Accademia di Firenze, è stato avvicinato alle opere di fra Bartolomeo, benché ricalchi anche, volutamente, il prototipo del Perugino per la pala di Vallombrosa (Firenze, Accademia). Non è assente, nella ricerca di sfumato dei colori e nei lineamenti morbidi dei volti, l'influenza di Andrea del Sarto, ravvisabile secondo la critica anche in altre opere attribuite al G. e databili in questi stessi anni, come la Pietà dipinta per la Compagnia di S. Stefano in S. Pietro a Quintole (Fiesole; Meloni Trkulja) o come la Madonna della cintola proveniente dalla chiesa fiorentina di S. Elisabetta (Firenze, Accademia), di più discussa attribuzione. Agli anni 1520-22 risale anche la pala con la Sacra Conversazione della chiesa di S. Giovanni Battista a Montemurlo, come attestano i relativi documenti di pagamento (Holst, pp. 218 s.).
Capolavoro del G. fu, secondo Vasari, un'altra replica della Madonna della cintola, dipinta per la famiglia Lapi nella distrutta chiesa di S. Pier Maggiore (Sarasota, FL, Ringling Museum), della quale è ignota la datazione. L'opera dimostra la mediazione tra una impostazione classicistica vicina agli esempi di primo Cinquecento e alcune impennate più aggiornate, ben esemplificate dalla bella figura di s. Tommaso colto in un audace scorcio frontale, a dire di Vasari memore di Michelangelo.
Vasari chiama in causa direttamente Michelangelo per un'altra importante opera del G.: la pala d'altare per il convento di S. Apollonia, per la quale Michelangelo avrebbe disegnato la tavola centrale e la struttura decorativa architettonica, volendo compiacere una nipote monaca nel convento. Lo smembramento del complesso e la perdita della tavola centrale, nonché la dispersione delle parti superstiti, coronamento, pannelli laterali e predella, impediscono oggi una esatta valutazione dell'opera e del contributo rispettivo dei due artisti.
Si ascrivono al G. un'Annunciazione (Corsham, Corsham Court, Methuen Collection), quattro pannelli con figure di Santi (Monaco, Alte Pinakothek) e alcune tavolette (Firenze, Accademia; Settignano, I Tatti, collezione Berenson; New York, collezione privata).
Le tavolette dell'Accademia con scene di martirio dimostrano certo nel tratto descrittivo veloce e arguto, nelle sagome sempre più filiformi, un avvicinamento al Rosso Fiorentino e al Pontormo, nonché, come è stato recentemente suggerito, anche ad Alonso Berruguete (Natali, 1995). Rimane discussa la datazione, poiché i pagamenti noti eseguiti dal convento al G. non si riferiscono direttamente all'opera, e oscilla tra il 1518 e il 1530 circa (Holst; Natali, 1995; Bartoli). Vasari ricorda inoltre un'altra opera eseguita dal G. per lo stesso convento, ma distrutta da un incendio.
Opera di datazione ugualmente discussa è la tavola raffigurante l'Ingresso di Carlo VIII in Firenze (Firenze, Uffizi), poiché le incongruenze storiche relative alla rappresentazione del corteo e la maturità del linguaggio escludono che possa trattarsi di un'esecuzione coeva all'evento.
Fu eseguita probabilmente per la famiglia Nasi di cui riflette le simpatie filofrancesi e faceva forse parte di un dittico il cui secondo elemento, con l'Ingresso di Carlo VIII a Roma, è andato perduto (Cecchi, 1986). La veduta prospettica e l'eleganza del corteo richiamano lo spirito di quelle "galanterie" di tornei cavallereschi di cui, a detta di Vasari, il G. era esperto, così come di scenografie teatrali, di cui non rimane però alcuna testimonianza grafica o documentaria.
Vasari segnala anche una produzione di cartoni per vetrate disegnati dal G. per i gesuati di Firenze, di cui non si conoscono però a tutt'oggi esemplari né disegni.
Il 24 e il 31 ag. 1533 il G. fece testamento, lasciando quali eredi universali i due figli maschi, predisponendo la sussistenza della moglie e la dote della figlia, e accennando anche all'eventuale vendita delle opere rimaste in bottega, circostanza che testimonia il regolare susseguirsi della sua produzione. Il rapporto di amicizia con Michelangelo proseguì con certezza almeno fino al settembre 1534, come testimonia l'epistolario michelangiolesco.
Non è stata ancora ricostruita l'ultima fase dell'attività artistica del G., poiché mancano indicazioni documentarie e su questa parte anche la fonte vasariana è carente.
Dopo la pala di Montemurlo e le opere attribuite, che per vicinanze stilistiche vengono datate in prossimità delle opere di Andrea del Sarto al 1525, rimane comunque un vuoto di quasi vent'anni, soprattutto se si accetta lo spostamento intorno al 1518 di opere come il complesso di S. Apollonia e l'Ingresso di Carlo VIII in Firenze, recentemente proposto dalla critica (Natali, 1995).
Ascritte all'ultimo periodo, dopo il 1525, sono opere come il Martirio dei diecimila (Firenze, S. Simone), il disegno con Resurrezione di Lazzaro (Amburgo, Kunsthalle) e quello con Deposizione dalla croce (Firenze, Uffizi), opere contraddistinte da una certa concitazione di racconto e da sagome tratteggiate con grande forza espressiva. Problematica per alcuni versi anche la definizione esatta della produzione disegnativa che, nei casi di lavori non direttamente accostabili a opere note, è ancora oggetto di discussioni attributive. Vasari ricorda di aver ricevuto personalmente dal G. alcuni disegni, tra i quali anche alcuni studi di Michelangelo, tutti inseriti nella sua collezione. Tale circostanza, vista l'età di Vasari, deve essersi verificata negli ultimi anni di vita del Granacci.
Nel 1537 e nel 1539 risultano ancora i pagamenti delle quote alla Compagnia di S. Luca. Il G. morì a Firenze nel 1543 e venne sepolto il 12 dicembre nella chiesa di S. Ambrogio, secondo le sue disposizioni testamentarie.
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