GRIMALDI, Francesco
Figlio di Ursino e di una Cornelia, nacque a Oppido Lucano nel 1543 e venne battezzato con il nome di Fabrizio. Novizio dal 1574 nel convento di S. Eligio a Capua, il 28 ott. 1575, come testimoniano le carte del monastero di S. Maria degli Angeli a Pizzofalcone (Savarese), entrò a far parte dell'Ordine dei teatini, con il nome di Francesco Negro.
Fatta eccezione per la cappella del Tesoro di S. Gennaro, il G. concentrò la sua attività sulle sedi dei teatini, svolgendo anche la funzione di architetto "consiliarius" come sembra potersi rilevare dalla vicenda costruttiva della chiesa di S. Andrea della Valle, allorché i teatini sostennero con grande slancio il loro architetto.
Il G. presumibilmente passò dall'arte "del getto" (De Dominici) all'architettura, in un momento opportunamente felice, quando l'Ordine dei teatini, forte della protezione accordata dall'amministrazione spagnola e dalla famiglia Carafa, si insediò in luoghi strategici di Napoli, prima nel nucleo di antico impianto e poi a Pizzofalcone, quartiere di nuova espansione. La sua formazione di architetto dovette iniziare intorno al 1575, sollecitata dalle esigenze edificatorie dell'Ordine: si ricordi, a tal proposito, che Gian Pietro Carafa, cofondatore dell'Ordine insieme con Gaetano da Thiene nel 1524, divenuto papa Paolo IV (1555), sostenne energicamente la diffusione di case teatine.
Dal 1586 al 1598 il G. soggiornò a lungo a Roma, nel convento di S. Andrea della Valle, spostandosi a Napoli, dove poi si trasferirà definitivamente, quando lo richiedevano i lavori in corso. Nel 1588 presentò un disegno per S. Andrea della Valle, la chiesa romana annessa alla casa dei teatini, impostato su un impianto a quincux, ovvero a croce greca con cinque cupole, per il quale a più riprese dovette richiedere il sostegno dell'Ordine. Il cardinale Alfonso Gesualdo, finanziatore dell'opera, dopo serrate trattative approvò il progetto (1589) a condizione che venisse sottoposto al parere di Giacomo Della Porta, suo architetto. Questi vi apportò sostanziali modifiche dovute anche a problemi del sito. Per l'acquisizione dei suoli passò qualche anno; la cerimonia della posa della prima pietra fu celebrata solo il 12 febbr. 1591. La costruzione venne sospesa e poi ripresa dal 22 luglio 1608, quando il cardinale Alessandro Peretti Montalto celebrò un secondo avvio dei lavori. Il progettista questa volta era Carlo Maderno, il quale, per realizzare il completamento della chiesa (transetto, cupola e abside), trovò una soluzione di compromesso, sul modello del Gesù del Vignola, Iacopo Barozzi. Il G. dissentì da questa ipotesi, presumibilmente anche nella veste di architetto "consiliarius", riproponendo il progetto a cinque cupole; ma il cardinale non lasciò spazi di contrattazione.
Tuttavia, a ben leggere il presbiterio realizzato, e ricordando il commento del cardinale sull'"altro S. Pietro" che il G. voleva realizzare, oltre alla nota d'archivio sulle cinque cupole (Hibbard) - di cui una maggiore - in un impianto a croce greca inscritta, è facile ricostruire un processo progettuale che approdava, con Maderno, a una pianta longitudinale con presbiterio marcato, transetto e quattro cappelle angolari, lontano esito delle quattro cupole più piccole e quindi della soluzione grimaldiana. Era del resto già accaduto per la chiesa del Gesù dove la pianta definitiva risultò dalla mediazione, ricercata da Vignola, tra il suo primo progetto e le richieste della committenza. D'altra parte, la stessa cupola di Maderno (1622) risente, per la sua sagoma slanciata, della gerarchia che doveva aver previsto il G. nell'articolazione a quincux.
Soluzione analoga si può riscontrare nell'icnografia di S. Francesco di Paola, chiesa dei frati paolotti situata a Napoli presso porta Capuana. Demolita nel 1792 essa è documentata nei disegni pubblicati da fra Girolamo Maria di Sant'Anna (1708) che mostrano una chiesa a croce greca inscritta, in pianta e in alzato. La cronologia della realizzazione (1620-57) è insufficiente per stabilire se fu eseguito un progetto del G., presumibilmente interpellato alla fine del Cinquecento quando i francescani decisero l'avvio della fondazione.
I teatini arrivarono a Lecce nel 1588. Nel 1591, quando padre Andrea Avellino promosse la costruzione della chiesa di S. Irene, da Napoli venne chiamato il G., che preparò un disegno e il modello. L'attribuzione è confermata nella Relatione della casa di S. Irene e in un fascicolo del convento di S. Maria degli Angeli a Pizzofalcone (Ruotolo; Savarese).
La facciata della chiesa, su due registri con il secondo riassorbito dal timpano, presenta finestre a edicola e timpani alterni; ed è marcata da una fascia di separazione invasa dal timpano spezzato curvilineo. Le facciate sulla navata sono intervallate da pilastri decorati da una sola parasta; le cappelle, coperte da scodelle, mostrano un arredo in pietra leccese. Gli altari del transetto, dedicati a s. Irene e a s. Gaetano da Thiene, con colonne tortili superdecorate sono attribuiti a Francesco Antonio Zimbalo, operante nel primo trentennio del Seicento. Con queste informazioni si possono distinguere le parti realizzate fino alla morte del G. dall'ornamentazione, dagli altari e dall'apparato di facciata con i due piccoli obelischi sul timpano, i festoni e le modanature dei cartigli e delle nicchie, considerando che l'artista dovette eseguire i lavori fino alla consacrazione del 1602 e che la facciata fu completata solo nel 1639.
Un altro segno del soggiorno a Lecce del G. è costituito da un portale del complesso dei gesuiti che affaccia su via Oronzo Tiso, episodio che gli si può attribuire sulla base dell'analogia con le composizioni parietali visibili nella chiesa di S. Maria degli Angeli, dei padri minori osservanti, situata a Torchiati, frazione di Montoro Superiore (Avellino).
All'interno della chiesa le pareti degli altari a edicola sono articolate con coppie di colonne trabeate e nicchia al centro; come nel portale, le colonne sono scanalate, e alla base, per l'altezza di circa un terzo, presentano una ricca ornamentazione plastica. Ulteriore corrispondenza è negli elementi delle fasce decorative, nella successione di capitello, cornici, pulvino, cornici, nell'avanzamento delle colonne e delle cornici rispetto alla parete di fondo. Sono temi compositivi attestati sul linguaggio classicista e delle opere dei Mormando e che rimandano alla chiesa napoletana di S. Maria delle Grazie a Caponapoli, dove l'impaginato delle facciate sulla navata presenta coppie di colonne, in pietra serena, decorate fino a un terzo dell'altezza e poi scanalate. L'attribuzione della chiesa avellinese non ha trovato conferma nella ricerca d'archivio. Dai documenti, tuttavia, sono emersi l'anno di fondazione (1588); il committente, padre Angelo di Campagna; il finanziatore dell'opera, Giovan Carlo de Mastr'Angelo (Galiani).
La chiesa di Lecce, insieme con quella di Torchiati (ove l'attribuzione al G. fosse confermata), è sostanzialmente l'unica opera che consenta di intravedere forme dettate dal G., visto che di buona parte delle sue opere, completate da altri architetti, possiamo leggere solo tipi e temi compositivi.
La chiesa di S. Ignazio (oggi S. Giuseppe) a Vibo Valentia ebbe il suo fondatore in Ettore Pignatelli Monteleone. Il progetto del G. dovrebbe risalire al 1613; ma l'opera fu riprogettata più volte (Bösel). Il G. rielaborò il modello della chiesa dei gerolomini, e per esso la cultura architettonica di derivazione fiorentina introdotta a Napoli da Giovanni Antonio Dosio: per tale via l'eredità della chiesa romana di S. Maria in Vallicella venne raccolta dai suoi progetti per le chiese napoletane di S. Paolo Maggiore e di S. Maria degli Angeli a Pizzofalcone, dove introdusse il tipo pseudobasilicale, usando al posto delle colonne pilastri che, nel caso della seconda, la più simile a S. Andrea della Valle, servivano a sostenere la volta sulla navata, struttura narrante degli Ordini religiosi e dei santi patroni che, a Napoli, gesuiti, teatini e barnabiti contrapponevano al soffitto cassettonato.
Per valutare l'intricata vicenda costruttiva della chiesa di S. Paolo Maggiore bisogna considerare che il G. si occupò solo di un primo avvio dei lavori (1583-89) e che il proseguimento dell'opera si avvalse della collaborazione di Giovanni Battista Cavagna (a partire dal 1589). L'esecuzione delle navate laterali (dal 1626 al 1630), invece, fu condotta da Giovan Giacomo Conforto; e nel corso del Seicento si susseguirono vari ammodernamenti.
Persiste tuttavia nell'edificio l'idea grimaldiana di un organismo spaziale con cupole sulle campate delle navate laterali, coperte alternativamente da cupolette ovali e da volte a botte con unghie. L'ascendenza alla chiesa dei gerolomini va vista nella presenza delle cappelle perimetrali e nella copertura piana e cassettonata della navata, nonché nella specchiatura sovrastante l'arcone di trionfo che segna il passaggio alla zona presbiteriale, mentre tutto il secondo registro, illuminato da finestre, è più basso. La sostanziale differenza tra i due impianti è data ovviamente dall'impiego dei pilastri al posto delle colonne e dall'articolazione del transetto, del tutto assente nella chiesa degli oratoriani e assai profondo nella chiesa dei teatini, che va ascritto al progetto originario del G. eseguito tra il 1583 e il 1584, insieme con l'abside poligonale, con le due cappelle quadrate ai lati del coro e con il reimpiego delle colonne nel chiostrino "della Porteria" e nel portale di ingresso alla chiesa. E, accanto a questo, l'aspetto magniloquente della chiesa, pensata a misura del tempio dei Dioscuri (sull'area del quale sorgeva la primitiva costruzione) e delle sue immagini codificate da Francisco de Hollanda (1540) e da Andrea Palladio (1570).
Per ciò che concerne la chiesa di S. Maria degli Angeli va sottolineato che, come d'uso, i teatini si spostarono a Pizzofalcone adattando una sede provvisoria nel palazzo ereditato da Costanza Doria Del Carretto. Iniziarono quindi le acquisizioni di case e suoli limitrofi per impiantare il nuovo convento; e, l'11 apr. 1600, cominciò la costruzione della nuova chiesa. Nel 1610 vi si poteva officiare; ma l'edificio non era completato, il che lasciò spazio a una trasformazione barocca che, radicando in corso d'opera, a partire dal 1627, quando si iniziò a stuccare la navata e la volta, e fino al completamento della facciata, nel 1685, venne a mascherare l'organismo tardorinascimentale.
La ricostruzione della vicenda costruttiva, molto ben documentata, si avvale anche di disegni di progetto del G., come pianta e sezione e lo schema delle fondazioni, utili per comprendere le tecniche edilizie dell'epoca e importanti per gli appunti che li corredano. Nella tavola che contiene la pianta e la sezione si legge l'approvazione di Domenico Fontana, Giovanni Andrea Magliolo, Colantonio Stigliola e Scipione Zuccaretto; questi sottoscrivevano il "compartimento" e la proporzione della chiesa e, con espressione ancora tipicamente rinascimentale, affermavano che il progetto "sta molto ben compartito e proporzionato in modo che non li manca alcuna cosa di quanto ricercano le regole della vera architettura". E il G. appunta: "l'ho fatto con quella magiore diligenza che ho potuto". Sul disegno, che è del 1600, è apposta un'altra scritta, del 19 maggio 1601, dove i teatini ribadiscono l'approvazione del progetto, anche da parte delle altre "case di Napoli", e affermano che il disegno del G. deve essere eseguito senza alcuna modifica (Savarese).
È importante rilevare questi aspetti della professione degli architetti religiosi perché essi si riflettono anche nel codice linguistico delle opere: il G. afferma più volte di aver curato questo o quel progetto con "diligenza", tipica espressione del religioso obbediente alle direttive del suo Ordine, che nella pratica del momento significava anche adesione ai dettami controriformistici del fare architettonico; il medesimo termine si ritrova nella relazione riguardante l'"invenzione" e il disegno di S. Maria degli Angeli "fatto con esquisita diligenza dal Nostro Rev. Padre D. Francesco Grimaldo della nostra Religione di Chierici Regolari da Oppido Professo in Capoa ai 28 ott. 1575" (ibid.). È il brano più significativo della documentazione riguardante il G. perché mette insieme il giudizio sull'opera e la precisazione sullo status religioso dell'architetto.
Con la chiesa dei Ss. Apostoli il G., tra il 1609 e il 1610, sperimentò lo schema di navata con cappelle, con un chiaro riferimento alla romana chiesa del Gesù. Nonostante il finanziamento offerto da Camillo Caracciolo, principe di Avellino, l'opera non venne avviata per contrasti sul sito da scegliere; nel 1626 i teatini chiamarono alcuni architetti "secolari" per farsi consigliare sul da farsi e, nonostante il G. fosse ormai morto da tredici anni, il capitolo si chiuse con la decisione di realizzare "puntualmente" il suo progetto. L'esecuzione fu quindi affidata a Conforto, il quale accrebbe il numero delle cappelle (che diventarono di pianta rettangolare e non quadrata) e accorciò il coro. Il convento fu iniziato nel 1590 su progetto del G., come racconta F. Bolvito (sec. XVII) nella Notizia della casa di Sant'Apostoli (Savarese), e proseguito con modifiche apportate da Tomaso De Monti.
Per la chiesa di S. Maria della Sapienza, che rappresenta un punto avanzato della ricerca sul tema del ritmo alterno, attribuitagli dalla tradizione storica, bisogna ipotizzare, come per i Ss. Apostoli, un'esecuzione ritardata per provvedere a progressive acquisizioni di suoli (dal 1614 al 1626). In ogni caso, la documentazione disponibile (Nappi, 1989) chiarisce l'apporto di Conforto (1625-28) e permette di attribuire la realizzazione della cupola (1633-34) a Orazio Gisolfo, lo stesso architetto che diresse l'esecuzione della scala e della facciata, eseguite dal "piperniero" G. Tommaso Gaudioso, sottraendo al G. parti sostanziali dell'opera. Analoghe considerazioni vanno fatte per la chiesa della Trinità delle Monache, di cui una buona parte venne realizzata da Conforto dal 1616 al 1625.
Per il Monte della misericordia, e su committenza del governatore Cesare Sersale, il G. realizzò l'ospedale termale di Casamicciola (a Ischia) dal 1604 al 1607, un complesso distrutto dal terremoto del 1883.
La fondazione della cappella del Tesoro di S. Gennaro fu deliberata nel 1601 dall'apposita deputazione; nel 1605 papa Paolo V la convalidò; nell'anno successivo venne definito il sito e l'8 giugno 1608 venne deposta la prima pietra. Al concorso, bandito nel 1607 per la scelta del progettista, parteciparono ingegneri, architetti e scultori, tra cui Giovan Battista Cavagna, Michelangelo Naccherino, Dionisio di Bartolomeo (Dionisio Nencioni), Conforto, Giovanni Cola di Franco e il Grimaldi. Fu preferito il progetto del G.; mentre a Cola di Franco, classificatosi al secondo posto, venne affidato l'incarico della direzione del cantiere, dal 1609 al 1615. Furono inoltre impegnati vari architetti, tra cui Conforto, direttore dei lavori nella certosa di S. Martino dal 1618 al 1625, e Cristoforo Monterosso.
L'impianto centralizzato della cappella, a croce greca, allungato di circa un quarto sull'asse ingresso - altar maggiore, traduce l'invaso della crociera di S. Pietro in una più marcata geometria ottagona; infatti a causa della ridotta dimensione delle cappelle trasversali l'ottagono predomina sull'inviluppo a croce greca, esaltando quell'idea del "sacello", cui aspiravano gli "eletti" della città fin dal 1527, in tempi assai vicini, quindi, al modello di riferimento bramantesco. I sovradimensionati piloni corrispondono ai lati brevi, impaginati da edicole nel primo registro e, nel secondo, dai pennacchi trapezoidali che consentono di avere più spazio per gli affreschi; mentre i lati più lunghi sono pari alla larghezza delle cappelle trasversali, della cappella maggiore e dell'ingresso, impaginate dalle composizioni parietali che fungono da ancona per gli altari e, in alto, dai lunettoni. Questa ripartizione permetteva un ampio svolgimento del ciclo pittorico di S. Gennaro, le cui storie si ricompongono attraverso l'allineamento tra lunettoni e pennacchi trapezoidali. Analogamente la cappella maggiore con il reliquiario rende possibile il completamento del racconto attraverso le sculture. Le due cappelle trasversali, intitolate a s. Gennaro, a destra, e al Sacramento, a sinistra, presentano composizioni parietali classicheggianti. Si deve ascrivere al progetto del G. anche l'allungamento della cappella maggiore, visto che è documentato l'apporto di Cristoforo Monterossi, dal 1610 al 1612 (quando il G. era ancora vivo anche se poco presente in cantiere), per l'alloggiamento delle colonne nel reliquiario dove, nelle tre pareti, considerando anche la composizione parietale dell'altare, sono sistemate le statue in bronzo di santi che fanno corona all'altare del santo patrono.
L'articolazione sintattica di questo spazio, anomala in ambito napoletano, ritrova, per significati e per forma, il suo illustre modello di riferimento nella frons scenae del teatro Olimpico di Vicenza (1579-80), con la sola variante delle colonne giganti; ne conserva, invece, la suddivisione in due registri principali, l'alto basamento utilizzato per i busti, l'alternarsi delle nicchie tra colonne e il conclusivo piano attico. Insomma il G. adottò la rielaborazione palladiana del teatro archeologico, dove le figure dei santi sostituivano le sculture dei commissari olimpici ritratti come antichi eroi. E basterebbe questo solo colpo d'ala, dovuto al consapevole senso della teatralità che anticipava di gran lunga quella destinata a conformare l'altare definitivo, per qualificare la produzione dell'architetto teatino.
Immediatamente prima del 1613, per la cappella del Tesoro in quell'anno completata al rustico, il G. dovette programmare, almeno in parte, il repertorio delle sculture di bronzo come possiamo dedurre dal fatto che intendeva impiegarvi anche capitelli dello stesso materiale (Savarese). La scelta di questa tecnica, tramandataci da documenti, segnala l'avvenuta ricomposizione dell'evanescente figura dell'artefice, Francesco Negro, con l'architetto Francesco Grimaldi.
Il G. morì a Napoli il 1° ag. 1613 e venne sepolto nel cimitero del convento dei Ss. Apostoli.
La poetica del G. è caratterizzata dall'adozione di modelli classicisti che fanno capo alle grandi opere del Rinascimento italiano. Dal progetto di Donato Bramante per S. Pietro discendono tre rielaborazioni del G.: la pianta a cinque cupole di S. Andrea della Valle, l'icnografia della chiesa di S. Francesco di Paola e, infine, quella più vicina al modello di riferimento (da cui cita la crociera), la cappella del Tesoro di S. Gennaro. Le sue composizioni che fanno capo all'adozione di tipi e temi della Controriforma ritrovano le prime radici nella chiesa albertiana di S. Andrea a Mantova già rielaborata, per mano del Vignola, nella chiesa del Gesù di Roma. Quest'ultima, per la compresenza della centralità del presbiterio e il misurato sviluppo della navata, invita a riconsiderare gli esiti di un compromesso per ricostruire l'incidenza del progetto del G., o dei suoi suggerimenti in quanto "consiliarius aedificiorum", nella configurazione di S. Andrea della Valle e, segnatamente, nella presenza del presbiterio marcato dalle cappelle angolari, retaggio di una centralità negata.
La figura del G. sconta il fatto di essere stata inserita nella triade del primo barocco insieme con G.G. Conforto e a fra' Giuseppe Nuvolo. La valutazione delle sue opere, di contro, assume un più compiuto senso ove si consideri che prima di conoscere l'effettiva data della morte (1613) gli venivano attribuite modifiche e completamenti messi in opera nel primo trentennio del Seicento, presupponendo che fosse morto intorno al 1630. Oggi il riconoscimento delle stratificazioni succedutesi consente di stralciare episodi architettonici che non gli appartengono, come i decisivi apporti di Conforto nelle chiese della Sapienza e della Trinità delle Monache. Considerando che gli esiti della Controriforma a Napoli si protrassero almeno per i due primi decenni del Seicento e che il primo importante progetto del G., per la chiesa di S. Paolo Maggiore, risale al 1583, la sua opera rientra appieno nella cultura architettonica controriformistica. La fase di transizione al primo barocco napoletano, invece, compete all'arco di tempo in cui si muove Conforto, attivo a Napoli dal 1595, e non ha particolari tangenze con il G., autore decisamente classicista attento ai grandi maestri dell'architettura rinascimentale, Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti, Bramante e Palladio e alla temperie culturale alimentata dalle chiese romane del Gesù e di S. Andrea della Valle. Due aspetti del suo linguaggio architettonico, in parte leggibile dalla sola cappella del Tesoro, la sua opera più compiuta al 1613, devono ancora emergere: il codice linguistico, e in particolare la scrittura degli ordini architettonici, e i nessi con la scultura, visto che fino al 1583 dovrebbe aver lavorato solo "nell'arte del Getto". De Dominici (p. 257) ne ricorda la collaborazione con scultori e argentieri e, in particolare, l'aiuto prestato ad Antonio Monte (da cui discendono i più noti autori di argenti, Biagio e Gennaro), il quale "sotto la sua direzione venne a perfezionarsi nella difficile arte del gettare le statue, laonde fece poi le bell'opere […] come per ragion d'esempio sono alcuni Puttini d'Argento, che si veggono nella Chiesa della Santissima Nunziata […] ed egli sempre ne contribuiva gran parte al P. Grimaldo".
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