GRITTI, Francesco
Nacque l'11 apr. 1673, primogenito di Alessandro di Ottaviano, del ramo di S. Marcuola, e di Cristina di Giovan Donato Correggio da S. Cassiano, famiglia ascesa al patriziato veneto nel 1646. Dal matrimonio, celebrato nel 1668, nacquero anche Ottaviano (1676), Agostino (1681), Andrea (1687) divenuto frate domenicano, e Alvise (1687), i quali lasciarono al solo G. il compito di perpetuare la famiglia.
Nel novembre 1694 il G. - da non confondere con i figli di Triadano e di Alvise - estrasse la balla d'oro, anticipando l'entrata in Maggior Consiglio e nel febbraio 1699 esordì nella politica con la nomina a savio agli Ordini. Il 26 luglio 1700 fu eletto provveditore sopra Uffici e nell'agosto 1702 dei Dieci savi alle decime di Rialto. Nel settembre 1702 la carriera del G. compì il primo importante salto di qualità con la nomina a savio di Terraferma, reiterata nel gennaio del 1703, e seguita, nel settembre 1704, da quella a savio alla Scrittura, con competenze simili a quelle di un ministro della Guerra.
Pur considerandosi scarsamente competente in materia, il G. si applicò con scrupolo ai suoi compiti, producendo un ricco materiale informativo che inviò sotto forma di relazioni al Senato. Nei primi anni del Settecento lo Stato veneto aveva più volte posto mano alla riorganizzazione dell'esercito, ma l'inadeguatezza della condotta politica negli sconvolgimenti provocati dalle guerre di successione non consentì la difesa del territorio dalle insidie dei belligeranti. Non si poteva far altro - dichiarava il G. - dato l'alto numero di diserzioni e con buona parte delle truppe immobilizzate in Morea. Nel settembre del 1705, eletto ancora savio di Terraferma, il G. era ai vertici del governo con la prospettiva di ulteriori e prestigiosi incarichi. Fu rieletto infatti alla stessa carica nel 1706 e nel 1707 e, dopo l'ingresso nella zonta del Senato (1708), ancora ininterrottamente dal 1709 al 1713, alternandola con gli incarichi di consigliere e di savio alla Scrittura (1712). Nel marzo del 1714 il G. fu elevato alla carica di savio del Consiglio, la più importante del Collegio e centro del potere effettivo della Serenissima, rimanendovi senza soluzione di continuità fino al termine della carriera.
Nominato nel settembre 1714 provveditore all'Armar (il sovrintendente all'organizzazione logistica della marina da Guerra), savio alla Mercanzia (1715) e savio del Consiglio (1715), entrò provveditore alle Artiglierie (1716) fino alla elezione a deputato alla Provvisione del denaro (aprile 1716), un importante organo economico e finanziario che nel Settecento diventò il vero centro programmatore della vita finanziaria della Repubblica. Candidato alla carica di podestà a Padova nel maggio del 1716, il G. tornò savio di Terraferma in giugno e in dicembre. Savio del Consiglio nel giugno 1717, in settembre partecipò senza successo al ballottaggio per l'ambasciata a Vienna ma contemporaneamente entrò nella giunta del Senato. Il 5 genn. 1718 il G. fu eletto provveditore alle Beccarie e in giugno fu consigliere ducale. Nel gennaio 1718 era stato prescelto quale membro della commissione dei cinque deputati al Commercio - istituita nel 1708 per dar maggior vita al commercio e alla produzione in fase di decadenza - venendovi riconfermato ogni anno, dal 1719 al 1722 - e in tale veste caldeggiò l'invio di una commissione di sindaci e inquisitori in Terraferma per un riordino sistematico dei dazi oggetto di abusi e fonte di corruzione, sostenendo altresì la necessità di maggiore rigore in questo settore strategico dell'economia dello Stato. Savio del Consiglio (gennaio 1719), savio alla Scrittura (aprile 1721), di nuovo savio del Consiglio (giugno 1721), il G. passò aggiunto sopra la Provvisione del denaro (gennaio 1722) e, mentre ricopriva la carica di savio del Consiglio, il 30 giugno 1722 fu nominato bailo a Costantinopoli con la commissione di assicurare e di assicurarsi del rispetto delle clausole della recente pace con l'Impero ottomano, di raccomandare al sultano l'incolumità personale e il rispetto dei beni dei Veneziani, di denunciare l'attività dei corsari e di occuparsi della liberazione degli schiavi cristiani. Avrebbe dovuto, inoltre, mantenere buoni rapporti con i rappresentanti stranieri, senza suscitare sospetti nel governo turco, e con il patriarca greco. Partito da Venezia il 23 maggio 1723, il G. - dopo un lungo viaggio via mare, descritto in un diario - giunse a Pera il 7 ottobre, e il giorno 11 ebbe il primo incontro con il sultano, nel corso del quale fu manifestata la reciproca volontà di conservare la pace recentemente raggiunta.
Dopo il favorevole trattato di Carlowitz (1699) Venezia aveva dovuto subire, tra il 1714 e il 1718, il contrattacco turco conclusosi con gli accordi di Passarowitz, che avevano sancito la perdita della Morea. Il G., che quegli avvenimenti aveva vissuto da protagonista nei posti più alti del governo, era consapevole della necessità di mantenere lo status quo che assicurava comunque a Venezia - stante la sua intrinseca debolezza militare - una significativa presenza oltremare. Era aiutato nel suo compito da un'eguale disposizione ottomana alla pace con la Serenissima, preoccupata della pressione della Persia e delle potenze europee confinanti. La missione del G. fu pertanto caratterizzata più dalle questioni attinenti al commercio, alle condizioni dei connazionali, dalla consueta attenzione agli avvenimenti internazionali e alla attività di spionaggio.
Il G. inviò l'ultimo dispaccio il 4 genn. 1727 e salpò da Costantinopoli l'11 gennaio, accompagnato dalle notizie della vittoria turca sui Persiani e dei nuovi sommovimenti tartari ai confini dell'Impero. Giunto a Venezia con la fama di "saggia condotta" sottolineata dal successore che ne ricordava "la maturità dei consigli la suavità del tratto e la generosità della mano" con le quali "ha saputo conciliare la stima dei ministri ottomani la confidenza de stranieri e l'amore di tutti", il G. lesse la relazione in Senato il 31 maggio 1727.
Era una disamina sullo stato del paese ospite e un'analisi impietosa delle attività commerciali veneziane in Oriente. Tradizionalmente centrale la figura del sultano, Ahmet III, salito al trono nel 1703, grazie a una rivolta popolare che aveva cacciato il fratello Mustafà, in carica da ventiquattro anni "tra varie vicende di fortuna, alle quali seppe però mirabilmente accomodarsi". Con un talento naturale per gli affari di Stato è, contrariamente ai predecessori, "il più erudito che possa desiderarsi". Compreso del suo ruolo, "vuole o più tosto tenta, di saper quanto possa o potrebbe per la sua capacità assai ben giudicarne, se giungessero a lui le notizie non offuscate dalla passione e dall'interesse delli di lui ministri".
Simili qualità gli avrebbero assicurato il favore "per cui il popolo tumultuante lo sollevò all'imperio, se non le avesse corrette con molti vizi, li più disdicevoli ad un monarca e che, conosciuti sin dal principio del suo regnare, lo resero bensì temuto, ma allora e poi sempre più mal inteso": la crudeltà e l'avarizia. "Per quanto però siano in lui violente queste due passioni, fu et è sempre disposto di ambidue sacrificarle alla timidità che lo predomina", e il visir, sapendo quanto fosse importante diminuire la cattiva opinione del popolo nei riguardi del sultano, fece di tutto per cambiarlo, ma "lasciò correr quest'ultima, giudicando che ella sarebbe sempre un rimedio ad assicurare la sua fortuna". L'età poi ha avuto "qualche merito nel correggere un altro vizio più volgare", quello delle donne. Ha avuto sei figli, tutti dalla sua favorita, che però non ha voluto divenisse sua moglie.
La vera mente dello Stato è il gran visir Ibrahim pascià, "temperamento delicato e deteriorato per le licenze, di figura non molto avantaggiosa ma d'aria altrettanto dolce e di tratto cortese". Ingraziatosi il sovrano, "ne conobbe e ne guadagnò in progresso le inclinazioni, di segno che puoté sempre maneggiarne l'animo" e ne divenne in seguito il genero. Affrontò con abilità i rovesci subiti dall'Impero asburgico e, con la pace di Passarowitz, accrebbe il suo prestigio. Dotato di buon discernimento, umanissimo, colto, di "mente pronta, penetrante, ferace e così attiva che sa meditare ad un tempo più proggetti, et indefessa poi alla fatica, non meno esseguirli". Profondo conoscitore dell'apparato statale, pur mantenendo stretto nelle sue mani il governo, si è circondato di collaboratori preparati e fidati. Per evitare pericolosi concorrenti il visir "persiste nella sua massima prima, di tener lontani dalla corte tutti gli altri che potrebbero adombrarlo".
La Turchia è una potenza "fatta dalla guerra et ordinata alla guerra", fortunatamente nelle truppe alla quantità considerevole non corrispondono pari qualità e valore, e le ultime guerre contro la Cristianità - e quelle attuali contro la Persia - non solo le hanno ridotte di numero, ma le hanno "infiachite nel buon ordine" e "avilite di corraggio come di credito anche presso la loro stessa nazione". Un dispositivo comunque considerevole, da non sottovalutare, specie nella componente navale, di cui sono illustrate in una dettagliata analisi, strutture, consistenza numerica, logistica e risorse. Con pari accuratezza e lucidità sono descritti le grandiose difese terrestri, le strutture civili, il complesso e articolato sistema fiscale sul quale insistono, condizionandolo pesantemente, tanto le spese militari che gli sprechi della corte. Dinamicità delle esportazioni e protezionismo, penetrazione degli stranieri e qualità dei prodotti, competitività delle manifatture ordinarie e limiti di quelle raffinate sono altrettanti aspetti della attenta analisi del sistema economico dell'Impero. Il ruolo e la posizione, diversificati, delle potenze europee, in primis di Inghilterra, Olanda, Impero e Francia - quest'ultima in crescente ascesa - sono analizzati, soppesati e messi in rapporto con l'influenza esercitata dai medesimi paesi sul governo ottomano. Inevitabile il confronto con il commercio veneziano in Levante, "smunto e languido", ombra di quello che fu nel passato.
Tuttavia, secondo il G., non vi è altra strada che proseguire nella politica prudente di vigile e armata moderazione che non dia pretesti agli Ottomani, come si è sempre fatto in passato, traendo profitto dal desiderio di pace della Turchia con l'applicazione rigorosa del trattato di pace in vigore.
Il G. riprese l'attività politica ricoprendo la carica di savio del Consiglio che gli era stata riservata, fu di nuovo deputato al Commercio (giugno 1728) e il 29 genn. 1729 fu eletto revisore e regolatore delle Entrate pubbliche. Rieletto ancora savio del Consiglio, il G. morì il 6 genn. 1730 nella casa di S. Marcuola, "da febre et mal d'orine".
Il 4 febbr. 1710 aveva sposato Elisabetta di Giovanni Malipiero dalla quale ebbe Alessandro (1711-68), sposato a Giovanna Loredan, e Giovanni (1713-95) che, unitosi a Ludovica Bonvicini, fu il continuatore del nome poiché il fratello maggiore non aveva avuto figli maschi. Il G. lasciò in eredità ai due figli ingenti proprietà immobiliari a Venezia e in Terraferma, tra cui il palazzo sul Canal Grande, assegnato per sua volontà a dimora di entrambi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, 12, c. 129; Avogaria di Comun, Nascite, regg. X, c. 159; XI, c. 198v; Matrimoni, reg. VII, c. 120; Necrologi dei nobili, b. 159; Segretario alle Voci, Elezioni in Pregadi, regg. 21, cc. 9-10, 14-20, 24, 38, 50, 52, 105, 169; 22, cc. 1, 4, 21, 54-55, 98, 135; Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 25, cc. 24, 85; 26, c. 219; Senato, Dispacci degli ambasciatori e residenti, Costantinopoli, filze 176-181; Rubricari, Costantinopoli, D.46; Deliberazioni, Costantinopoli, reg. 38, cc. 113-119v; Archivio proprio Costantinopoli (copiario), b. 35, cc. 105-179; Archivio del bailo (minutario), regg. 62-65; Collegio, Relazioni, b. 7; Inquisitori di Stato, bb. 150, 430-431; Archivio privato Gritti, bb. 1-4, 8-9, 11, 15-28, 31, 57; Giudici di Petizion, Inventari, bb. 442/33, 466/40; Notarile, Testamenti, bb. 964, n. 50; 1267, n. 132; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss. Cicogna, 1366/IX; 1709; 2715/XLIII; 2941; 3110/5; 2941; Ibid., Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 852 (=8931), Consegi; 853 (=8932); 854 (=8933); 855 (=8934); 856 (=8935); C. Foligno, Codici di materia veneta nelle biblioteche inglesi, in Nuovo Archivio veneto, n.s., XI (1906), pt. I, p. 191; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti…, Roma 1927, p. 282; I "Documenti turchi" dell'Archivio di Stato di Venezia, a cura di M.P. Pedani Fabris, Roma 1994, nn. 1863-1864, 1867; Relazioni di ambasciatori veneti…, XIV, Costantinopoli. Relazioni inedite (1512-1789), a cura di M.P. Pedani Fabris, Padova 1996, pp. 825-881, 883-948.