GUARDABASSI, Francesco
Nacque a Perugia il 24 ott. 1793 da Mariano e Vittoria Narboni. Nel 1801 intraprese gli studi giuridici a Pisa, dove suo padre era morto l'anno prima, ma venne ben presto ricondotto a Perugia dagli zii paterni, Benedetto ed Ercolano, che si occuparono della sua istruzione. Nel 1812 fu mandato da uno zio materno, G.M. Narboni, colonnello del reggimento dei dragoni "Regina", in Francia, presso la scuola di cavalleria di Saint-Germain, da cui uscì due anni dopo con il grado di tenente in seconda del 3° reggimento corazzieri. Rimpatriato nel 1815 dopo la caduta di Napoleone, si recò a Firenze, dove conobbe alcuni liberali spagnoli che lo iniziarono alla vita politica: intorno al 1816 si affiliò alla carboneria perugina e, probabilmente nello stesso periodo, anche alla massoneria. Sconfitto il governo costituzionale napoletano del 1820, il G., che si era recato a Napoli, avendo appreso che gli era stato vietato il rientro a Perugia, si rifugiò dal 1821 al '31 a Firenze. Tramite F.D. Guerrazzi e G. Mazzoni, conobbe G. Mazzini, che più tardi lo incaricò di costituire in Umbria sezioni della Giovine Italia.
Tornato a Perugia, prese parte, come colonnello della guardia civica appena ricostituita, all'insurrezione del 14 febbr. 1831: insieme con altri capi della milizia cittadina, tolse pacificamente i poteri al delegato apostolico mons. C. Ferri, trovandosi così tra i massimi esponenti del movimento rivoluzionario perugino e ricevendo dalla popolazione l'affettuoso appellativo di "babbo". Quindi organizzò le azioni di due schiere di volontari perugini che, muovendo verso Roma, sconfissero le truppe pontificie rispettivamente a Otricoli e a San Lorenzino. L'impresa fu interrotta da difficoltà di approvvigionamento nonché dalle ambiguità del governo delle Provincie Unite che indussero il G. a privarsi del contributo dei fratelli Bonaparte, Luigi Carlo Napoleone e Napoleone Luigi, indirizzati così a G. Sercognani, generale dell'esercito delle Provincie Unite, il quale, giunto in Umbria, dovette ben presto rinunziare al proposito di attaccare Roma. Ripristinato il governo papale, il G., sempre al comando della guardia civica perugina, dovette placare i volontari romagnoli, esasperati dall'abbandono di Sercognani e risoluti ad attendere a Perugia l'adempimento dei patti giurati nella capitolazione di Ancona (25 marzo 1831) oppure a saccheggiare la città in caso di loro inosservanza. Intanto, le truppe austriache accampate a Gubbio comunicavano che, a una minima resistenza, avrebbero bombardato e saccheggiato Perugia; il G. persuase le truppe romagnole a ritirarsi in cambio del pagamento delle armi e di una indennità pro capite di 4 scudi. Data la povertà delle casse cittadine, il G. si assunse per gran parte gli oneri richiesti attingendo al cospicuo patrimonio familiare.
Diffidente nei riguardi delle promesse di riconoscenza del governo papale, il G. decise di tornare a Firenze, ma, arrestato a Camucìa (presso Arezzo), fu rinchiuso nel carcere del forte di Livorno da cui gli fu consentito di esulare in Francia. Qui, anche grazie all'intercessione del primo ministro C. Périer, ottenne che il governo papale non procedesse alla confisca dei beni dei compromessi politici; quindi, tra il giugno e l'agosto del 1831, fu a Londra, ove, oltre a progettare il rafforzamento del movimento rivoluzionario perugino, a seguito dei contatti con esuli italiani, massoni inglesi e Mazzini, protestò come rappresentante degli esuli italiani residenti a Parigi contro i provvedimenti del Memorandum papale. La missione del G. contribuì a far sì che i governi europei inducessero la Curia romana a promulgare un'amnistia che però obbligava gli esuli a firmare umilianti dichiarazioni per ottenere il rimpatrio. Il G. non accettò e, ottenuto dall'ambasciatore austriaco a Londra un passaporto libero, riuscì ugualmente a rientrare a Perugia.
Dopo il terremoto che il 13 genn. 1832 colpì l'Umbria, si recò fra i sinistrati e aprì con una sostanziosa offerta personale una sottoscrizione grazie alla quale le abitazioni poterono essere ricostruite. Accrescendo la popolarità del G., l'iniziativa alimentò le ostilità papali che sollecitarono la segreta organizzazione di uomini e mezzi per arrestare e giudicare, con una commissione appositamente creata, i più influenti patrioti perugini già inseriti in una lista di proscrizione. Informato della cosa da Teresa Caprini, governante al servizio dei carabinieri papali, il G., che, forte degli insegnamenti ricevuti a Londra, già raccomandava prudenza per negare al governo papale ogni pretesto di intervento, avvertì gli amici e li esortò a interrompere qualsiasi attività cospirativa, distruggendo i documenti compromettenti.
Ciò non valse a impedire che l'8 maggio 1833 le autorità disponessero la perquisizione della farmacia di B. Tei, cittadino benvoluto dal popolo e legato ai primi liberali del paese. L'irruzione ebbe luogo a mezzogiorno, quando la piazza antistante era maggiormente gremita e le insolenze dei gendarmi non tardarono a provocare una violenta reazione dei cittadini. Il tumulto, definito "delitto di lesa maestà, sedizione e rivolta armata" (Bistoni - Monacchia, p. 84), portò all'arresto di numerosi liberali, benché principalmente si intendesse colpire il G., in realtà estraneo e non presente al fatto, perché recatosi per ragioni private ad Ancona. Fu là che, dopo qualche giorno, il G., saputo che il governo pontificio lo riteneva responsabile del tumulto, venne invitato dalle autorità cittadine a sottrarsi all'arresto lasciando lo Stato. In effetti, data la scarsità delle prove contro il G., lo si preferiva contumace, ottenendo così di allontanarlo da Perugia e di evitare un processo rischioso per coloro che lo avessero istruito. Il G., rifiutato l'esilio per non ammettere la sua colpevolezza e per non facilitare la persecuzione di altri liberali perugini, fu arrestato ad Ancona il 30 maggio 1833. Tradotto dapprima nelle prigioni di Macerata, poi in quelle di Foligno e infine nel carcere di Civita Castellana, fu qui proposto per la pena di morte esemplare come "capo di setta politica allo scopo di rovesciare il pontificio governo, coadiuvato da un'estera potenza, con reclutamento di gente assoldata" (Pennacchi, 1876, p. 23). Incriminato come massone e settario, non solo rifiutò di sottoscrivere la domanda di grazia inoltrata dalla moglie Isabella Perucchini, ma anche di chiedere la sospensione del processo da parte della Curia romana, se avesse accettato l'esilio. In realtà il G. teneva a essere processato, per potersi trasformare da accusato in accusatore del governo papale: a tal fine giunse persino a incaricare l'avvocato A. Perucchini, fratello di suo suocero, di indagare sui trascorsi di G. Guadagnini, capitano dei carabinieri pontifici, che nel 1801 risultò essere stato condannato a sette anni di carcere per complicità in furti. Il rifiuto della proposta pontificia causò al G. il trasferimento a Roma, nel carcere di Castel Sant'Angelo, dove insistette nella richiesta di essere giudicato, limitandosi a chiedere di scegliere il proprio difensore. Dopo dieci mesi gli venne concesso, anche grazie all'interessamento del ministro degli Esteri inglese, lord H.J. Temple visconte di Palmerston, da lui conosciuto a Londra, di affidare la propria difesa all'avvocato A. Pasqualoni. Tale scelta e l'interesse che il processo aveva destato anche all'estero indussero i giudici ad assolvere l'imputato con la formula "trovato non colpevole", ma sembra che lo stesso papa Gregorio XVI, la mutasse in "non trovato colpevole" (ibid., pp. 25 s.), rendendo la sentenza dubitativa e costringendo il G., una volta scarcerato, a trattenersi come vigilato in permanenza a Roma, donde non poté allontanarsi neppure per rivedere il figlio morente. Esasperato dal divieto, il G. indirizzò al S. Collegio dei cardinali e al corpo diplomatico estero una memoria in forma di supplica che fu una vera requisitoria contro il governo papale. Poté così tornare a Perugia (5 dic. 1835) e ritirarsi per circa un decennio nella sua villa alla Parlesca, dove, senza trascurare gli avvenimenti politici e la cospirazione massonica, si dedicò all'agricoltura, promuovendo fra l'altro la fondazione della Società economico-agraria, riconosciuta dal governo pontificio il 19 dic. 1838.
Fra le riforme introdotte da Pio IX all'inizio del pontificato figurava nel 1847 la ricostituzione della guardia civica, affidata per Perugia al G., che, già consigliere comunale e provinciale, ne riassunse il comando col precedente grado di colonnello. Nella crisi attraversata dallo Stato pontificio, il 29 apr. 1849 il G. sottoscrisse con gli altri consiglieri comunali perugini e inviò al generale N.-Ch. Oudinot una protesta contro lo sbarco a Civitavecchia delle truppe francesi chiamate da Pio IX per abbattere la Repubblica Romana. Poi, dopo essersi impegnato, sul finire del maggio 1849, per risparmiare a Perugia gli effetti della reazione austriaca e i saccheggi di alcuni sbandati dell'esercito repubblicano, nel giugno 1849 si recò, con mons. G. Pecci ed E. Waddington, a Monteluce, vicino Perugia, per incontrare gli ufficiali austriaci che avevano chiesto di conferire con una delegazione municipale prima di prendere possesso della città. Alla richiesta se i Perugini intendessero resistere, il G. rispose che si sarebbero arresi e approfittò della complicità di Waddington che fungeva da interprete per pronunziare alla presenza dell'ignaro Pecci un'indignata protesta che lasciò interdetti gli austriaci.
Nel decennio 1849-59 il G., dedito all'amministrazione provinciale, condusse un'intensa attività massonica e in politica si orientò con decisione verso le posizioni cavouriane favorendo la penetrazione della Società nazionale italiana a Perugia. Quando poi, il 14 giugno 1859, la città insorse a sostegno della partecipazione alla guerra nazionale e contro il governo pontificio, il G., che fino a quel momento aveva tenuto a freno la popolazione evidenziando la scarsità di uomini e mezzi, si recò con gli altri capi della democrazia cittadina - Z. Faina, N. Danzetta, T. Berardi e C. Bruschi - dal delegato apostolico mons. L. Giordani per imporgli la cessione dei poteri. Questi non oppose resistenza, ritirandosi a Foligno. La giunta di governo provvisorio istituita di lì a poco ebbe come presidente il G., coadiuvato da Faina, Danzetta e Berardi.
Il 20 giugno 1859 Perugia, per decisione del G. e degli altri membri del governo provvisorio, desiderosi di scongiurare la resa passiva, fu attaccata da una legione di svizzeri guidata dal colonnello A. Schmidt. Data l'insufficienza dei mezzi e il mancato sostegno esterno, nonostante le ripetute richieste di aiuto rivolte anche a Cavour, la città fu presa e saccheggiata; il G., con gli altri esponenti del governo, prese la via dell'esilio verso il confine toscano, raggiungendo prima Cortona e poi Arezzo e di qui Firenze al fine di concertare con C. Boncompagni di Mombello, governatore dell'Italia centrale, le misure da prendere.
Oltre ad adoperarsi per informare la popolazione perugina delle vicende politiche e militari dell'esercito piemontese in Italia settentrionale, il G. e gli altri capi della rivolta fecero il possibile per dare risonanza europea alle stragi perugine, pubblicando a Firenze nel luglio 1859 una documentata relazione su La insurrezione di Perugia, e parteciparono alla giunta superiore delle Marche e dell'Umbria, nata a Firenze per riunire i maggiori esponenti del liberalismo umbro e marchigiano, lontani dall'appoggio di Torino. Frattanto a Perugia, l'autorità militare presieduta dal colonnello Schmidt fece condannare alla pena di morte, nonché al risarcimento dei danni e delle spese, il G. e gli altri esponenti del movimento liberale.
Nel gennaio 1860 la riassunzione della guida del governo sabaudo da parte di Cavour rianimò le attività del G. e dei suoi colleghi esiliati, che, oltre a riprendere il lavoro di collegamento tra Torino e Perugia, diedero alle stampe la Narrazione storica dei fatti accaduti in Perugia dal 14 al 20 giugno 1859 (Cortona 1860) e inviarono un indirizzo a Napoleone III perché tenesse presente la situazione di Perugia. Poco dopo, il 2 luglio 1860, il G. fu eletto deputato alla VII legislatura del Parlamento sardo nel collegio di Castiglion Fiorentino. Di lì a poco, insieme con Z. Faina, presentò a Vittorio Emanuele II e a Cavour le deputazioni delle Marche e dell'Umbria che chiedevano soccorso, ottenendo che il 14 sett. 1860 le Marche e l'Umbria fossero liberate dal potere papale. Tornato a Perugia ed eletto per la terza volta colonnello della guardia nazionale, fece parte della delegazione che recò a Vittorio Emanuele II, a Napoli, il plebiscito del 5 nov. 1860 per l'annessione dell'Umbria al Piemonte. All'apertura del primo Parlamento italiano (gennaio 1861) fu nominato senatore a vita.
Il G. si spense a Perugia il 20 ag. 1871.
Fonti e Bibl.: Ed. naz. degli scritti di G. Mazzini (per la consultazione, v. il vol. II degli Indici, a cura di G. Macchia, ad nomen); C. Bruschi, In morte di F. G., Perugia 1871; G. Pennacchi, Illustri italiani del sec. XIX: F. G. di Perugia, Perugia 1871; Id., Cenni biografici di F. G., Perugia 1876; R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa dal ritorno di Pio IX al XX settembre, I, Roma 1907, pp. 367, 369; L. Guerra Coppioli, Un atto di giustizia riparatrice del r. commissario generale straord. per le provincie dell'Umbria, in Arch. stor. del Risorgimento umbro, IV (1908), 1, pp. 96 s.; G. Locatelli, Narrazione di un imparziale osservatore dell'accaduto in Perugia del giorno 8 maggio 1833, ibid., pp. 98-101; R. Roncella, Nuovi documenti sulle stragi di Perugia del 20 giugno '59, ibid., 2, pp. 128, 142; G. Degli Azzi Vitelleschi, Commemoraz. del sen. F. G., Perugia 1921; A.M. Ghisalberti, Un elenco di prigionieri politici pontifici, in Rass. stor. del Risorgimento, XXI (1934), 1, p. 189; L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, II, Città di Castello 1960, pp. 443-445, 447 s., 465 s., 475 s., 490, 587; R. Ugolini, Cavour e Napoleone III nell'Italia centrale. Il sacrificio di Perugia, Roma 1973, ad ind.; U. Bistoni - P. Monacchia, Due secoli di massoneria a Perugia e in Umbria (1775-1975), Perugia 1975, ad ind.; Storia d'Italia (Einaudi), Le regioni dall'Unità a oggi. L'Umbria, a cura di R. Covino - G. Gallo, Torino 1989, pp. 194, 516, 523; A. Grohmann, Storia di Perugia, Roma-Bari 1990, pp. 49, 332; Diz. del Risorgimento nazionale, III, pp. 270 s.; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, App., II, pp. 174 s.; Enc. biografica e bibliogr. "Italiana", F. Ercole, I martiri, ad nomen, e A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, II, p. 64.