GUIDETTI, Francesco
Nacque a Firenze il 6 nov. 1493 da Lorenzo di Francesco di Guidetto e da Lucrezia di Lorenzo Corsi sotto il gonfalone del Nicchio, nel quartiere di S. Spirito, nel quale viveva anche la famiglia Alamanni. Suo padre era un umanista minore, autore di poesie in latino.
Da giovane il G. frequentò gli Orti Oricellari, dove ebbe occasione di incontrare Luigi Alamanni, Antonio degli Alberti, Zanobi Buondelmonti, Bartolomeo Cavalcanti, Iacopo Cattani da Diacceto, Giovan Battista Gelli, Cosimo Rucellai, Piero Vettori. Con loro frequentò le conversazioni di Francesco Cattani da Diacceto, Gian Giorgio Trissino e Niccolò Machiavelli, ed è probabile che in quegli anni abbia conosciuto anche Ludovico Ariosto, che soggiornò a Firenze nel 1513. In una lettera al Machiavelli del 6 sett. 1520 Zanobi Buondelmonti lo nomina - insieme con L. Alamanni, I. Cattani e Anton Francesco Albizzi - tra i protagonisti delle discussioni intorno alla Vita di Castruccio Castracani composta dal Machiavelli. Dall'esperienza degli Orti Oricellari discese una forte passione letteraria e politica, che trova la sua espressione più significativa nelle poesie giovanili del Guidetti.
La frequentazione dell'aristocrazia intellettuale fiorentina gli diede una posizione di un certo prestigio nella cultura del tempo, come testimonia il fatto che nel 1519 l'editore Filippo Giunti gli dedicò il volgarizzamento di Pietro Candido della Storia di Alessandro Magno di Quinto Curzio Rufo. Nel 1527 il G. partecipò, con Bardo Segni, Antonio degli Alberti, Stiatta Bagnesi, Antonio Franchini, P. Vettori e B. Cavalcanti, all'edizione giuntina del Decamerone, un'ambiziosa impresa editoriale che puntava a ricostruire filologicamente il testo boccacciano, rivendicandone la fiorentinità, contro le corruzioni operate dalle edizioni quattrocentesche. Al 1527 risale il matrimonio con Costanza degli Alberti, da cui il G. ebbe Lorenzo (16 genn. 1528), Filippo (19 dic. 1530) e Girolamo (4 luglio 1534).
Il G. fu tra i protagonisti della vita politica e culturale fiorentina nella prima parte del XVI secolo. Le testimonianze sul suo ruolo nell'elaborazione dei modelli poetici e linguistici di primo Cinquecento sono poche, ma estremamente significative: Trissino lo menziona nel Castellano (1527), insieme con Gerolamo Benivieni, L. Alamanni, Z. Buondelmonti e C. Rucellai, tra i poeti che "sono più da la patria lingua partiti, e a quella di Dante, e del Petrarca accostati", attribuendo a questo gruppo, in una prospettiva cortigiana, il superamento delle rivendicazioni municipali della lingua fiorentina a favore di un recupero della tradizione letteraria. Ariosto lo menziona affettuosamente nell'Orlando furioso (XXXVII, 12, 7; "'l mio Guidetto") tra i poeti che hanno onorato le donne (insieme con Ercole Bentivoglio, Renato Trivulzio, Francesco Maria Molza) e Simon Fornari, nella sua Sposizione sopra l'Orlando furioso (1549-50), a commento del passo ariostesco lo definisce "buon compositore di toscane rime, […] degnamente dall'Ariosto annoverato tra gli altri buoni poeti". Nel Ragionamentosopra la difficultà di mettere in regole la nostra lingua (1551) G.B. Gelli lo ricorda - sempre con C. Rucellai, L. Alamanni e Z. Buondelmonti - tra coloro che hanno recuperato i classici trecenteschi fiorentini contro la mancanza di cura e arte dei poeti della generazione precedente. Nel discorso In difesa della lingua fiorentina e di Dante (1556) Carlo Lenzoni fa dire al Gelli che durante il soggiorno fiorentino Ariosto più volte discusse della lingua con il G., cui affidò poi la correzione delle sue opere.
Il 9 ag. 1530, racconta Varchi (Istoria fiorentina, XI, 130), il G. partecipò all'adunata in piazza di S. Spirito dalla parte di Malatesta Baglioni, che trattava per la consegna di Firenze alle truppe imperiali, insieme con P. Vettori, B. Cavalcanti, Lorenzo Benivieni, Filippo del Migliore ecc. Varchi attribuisce all'iniziativa, che comunque si configurava come tradimento della Repubblica, un valore prevalentemente difensivo: "Egli si può credere, anzi si dee, che la maggior parte di costoro, e forse tutti, si movessero a ottimo fine, stimando più di non perdere insieme colla patria, la roba e la vita, che la libertà e 'l sagramento". Guidetti e i suoi amici si trovarono dunque dalla parte di "tutti quelli i quali stimavano più il vivere che il viver libero" (Varchi, I, p. 303).
Nonostante la moderazione delle sue posizioni politiche, al rientro dei Medici (1530) il G. scomparve dalla vita pubblica fiorentina, per riapparire solo nel 1541, con la nascita dell'Accademia Fiorentina. La trasformazione dell'Accademia degli Umidi in Accademia Fiorentina segnò una vera e propria svolta nella politica medicea, che passò dalla diffidenza verso gli intellettuali propria del duca Alessandro all'istituzionalizzazione del discorso culturale che caratterizzò la politica di Cosimo. Tra i protagonisti della svolta fu il G.: eletto il 15 genn. 1541, in un gruppo che comprendeva, fra gli altri, Francesco Fortini, G.B. Gelli e F. del Migliore, il 31 dello stesso mese venne cooptato, insieme con C. Lenzoni e Luca Martini, da Cosimo Bartoli, Alessandro del Caccia, L. Benivieni e Bartolomeo Panciatichi, per la riforma dello statuto dell'Accademia; tra l'11 febbraio e il 25 marzo fu tra i consiglieri del luogotenente F. del Migliore insieme con Antonio degli Alberti, Cinzio d'Amelia e Giovan Battista Adriani il Giovane, che scelsero come cancelliere Filippo Salvetti e come provveditore Antonfrancesco Grazzini; il 12 marzo 1542 il G. fu nominato censore con Pierfrancesco Giambullari, C. Lenzoni e G.B. Gelli.
Se l'esperienza degli Orti Oricellari era stata caratterizzata dall'impegno politico e dalla passione letteraria, nel segno degli ideali repubblicani, l'attività dell'Accademia Fiorentina, che si svolse sotto l'egida del duca Cosimo de' Medici, si fondò soprattutto sulla rivendicazione del primato linguistico di Firenze, di cui furono recuperati i grandi modelli trecenteschi (Dante, Petrarca, Boccaccio) non tanto in chiave normativa, quanto in una prospettiva esemplare, di stampo naturalistico, nel solco della tradizione umanistica fiorentina: tra la stagione repubblicana degli Orti Oricellari e la restaurazione medicea dell'Accademia Fiorentina c'è una continuità ideale, che sta nell'amore per Firenze, nella rivendicazione del suo valore culturale e del suo primato letterario, nella capacità di conservare i valori del passato in una modernità che ne sia la trasformazione e il prolungamento.
Nel 1543 il G. ottenne la carica di console: sotto il suo consolato Gelli tenne una lezione su un luogo del XVI canto del Purgatorio e fu dato nuovo impulso allo Studio di Pisa. Poiché il nome del G. compare nella lista dei nuovi accademici del 1547 (novembre), è probabile che sia stato coinvolto nell'epurazione dell'agosto precedente, ma ricoprì di nuovo la carica di censore sotto i consolati del Gelli nel 1548 e di Bernardo Canigiani nel 1551. Il 22 nov. 1551, sotto il consolato di Francesco Torelli, venne nominato riformatore della lingua, con P.F. Giambullari, Lionardo Tanci, Francesco D'Ambra e B. Varchi. Nel dicembre 1553 lo troviamo ancora tra i protagonisti delle discussioni dell'Accademia, se è vero che fu lui a ricordare al Varchi la priorità di Iacopo Nardi rispetto al Trissino e all'Alamanni nell'uso del verso sciolto (Lezione III della poesia, in Varchi, II, p. 718).
Al periodo accademico risale un sonetto di Niccolò Martelli, Simili a quell'uccel, ch'in trista valle, riportato dal Salvini, che presenta il G. schivo degli onori mondani e consapevole del destino umano. Dell'attività accademica del G. la testimonianza più significativa è quella di C. Bartoli, che nei Ragionamenti accademici sopra alcuni luoghi difficili di Dante (1567) lo presenta, insieme con C. Lenzoni e se stesso, tra gli interlocutori del Ragionamento V: sul letto di morte del Lenzoni (morto nel 1551) i tre discutono un luogo del Paradiso di Dante, da cui prendono spunto per una riflessione sull'ordine del mondo, la giustizia di Dio e il senso della morte.
Il G. si spense a Firenze il 4 genn. 1565 e fu sepolto in S. Felicita.
Opere. Del G. si conservano 58 componimenti. Nella Scelta di curiosità letterarie inedite dal secolo XIII al XVII, CXXXIII, intitolato Rime di poeti italiani del secolo XVI, Bologna 1873, pp. 58-83, sono pubblicate 44 poesie, riprodotte da manoscritti della Biblioteca Ambrosiana di Milano; H. Hauvette, Les poésies de Cosimo Rucellai et de F. G., in Bulletin italien, IV (1904), 2, pp. 94-102, segnala 30 componimenti (23 sonetti, 3 madrigali, 3 sestine, 1 canzone) conservati in cinque manoscritti della Biblioteca nazionale di Firenze. In realtà, il Magl. VII.371, di mano di P. Giambullari, contiene tredici componimenti del G. (10 sonetti, 2 sestine, 1 madrigale), il VII.719 quattro (3 sonetti, 1 sestina), il VII.1041 due sonetti, il VII.1187 una canzone a papa Clemente VII, il XXI.75 ventitré componimenti (18 sonetti, 5 madrigali). Poiché tre componimenti si ripetono e ventisei sono comuni, il canzoniere poetico del G. consta, allo stato attuale, di cinquantotto componimenti (di cui 18 si trovano solo nei manoscritti milanesi, 14 solo in quelli fiorentini; ma non di tutti l'attribuzione può essere considerata sicura).
Le poesie del G. si collocano nell'ambito dell'esperienza intellettuale degli Orti Oricellari, di cui vengono celebrati i valori fondanti, l'amicizia, la libertà, la natura. Si tratta per lo più di poesie d'amore, in tono elegiaco, per una donna dal nome properziano di Cinzia che lo respinge: riprendendo, in un contesto stilistico a dominante petrarchesca, i temi dell'amore rifiutato e dell'amore di lontano, il G. filtra sempre l'esperienza amorosa attraverso la tradizione letteraria fiorentina, all'interno della quale viene esplicitamente riconosciuto un valore paradigmatico alla Laura del Petrarca (sonetto Avventuroso più d'altro paese) e alla Beatrice di Dante (sonetto Se mai ritorna al suo fiorito nido). La storia d'amore è comunque caratterizzata da alcuni passaggi decisivi: il rifiuto da parte della donna, il suo viaggio in Provenza, la notizia del suo ritorno. Fuggita in Provenza, Cinzia farà innamorare di sé uno fra i migliori amici del G., L. Alamanni, che nell'elegia Lungo il chiar'Arno al bel fiorito seggio lo rimprovera di un amore troppo freddo e intellettualistico; all'amore del G. per Cinzia Alamanni dedica anche i sonetti Lieta, vaga, amorosa, alma Durenza e Ragion mi sforza, il buon voler mi mena, nonché il madrigale Lasso! che procacciando l'altrui bene.
Le poesie del G. sono dunque il frutto di una precisa atmosfera culturale, legata all'ambiente di palazzo Rucellai, come attesta il fatto che numerosi sonetti fanno parte di scambi e tenzoni con C. Rucellai e l'Alamanni. Due sonetti del G. sono indirizzati al primo, Cosmo, i' vo che sappiate in quanta gioia e Spirito valoroso, il cui splendore, e quest'ultimo risponde, con lo stesso sistema rimico, a un sonetto del Rucellai al G. e all'Alamanni: Cara coppia d'amici, il cui valore; un sonetto del G. dà la parola a una donna (Venuto è 'l tempo, anzi è passato homai) in gara con un analogo sonetto dell'Alamanni (Lassa al medesmo punto homai ritorna).
Al di fuori dell'esperienza amorosa, la canzone dedicata a papa Clemente VII è caratterizzata da uno spirito di crociata che affida al papa il compito di liberare la Terrasanta dagli infedeli e insieme la missione di rappacificare l'Europa facendo cessare la disastrosa rivalità tra Francesco I e Carlo V.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Tratte, Libri di età, 80, c. 36; Ufficiali poi Magistrato della grascia, Libro de' morti, 192, c. 122; Carte Strozziane, s. 2, 49, cc. 149, 159v; S. Fornari, La spositione sopra l'Orlando furioso di messer Ludovico Ariosto, Fiorenza 1549-50, p. 631; C. Bartoli, Ragionamenti accademici sopra alcuni luoghi difficili di Dante, Venetia 1567, cc. 66-77; B. Varchi, Opere, Trieste 1858-59, I, p. 303; II, p. 718; L. Alamanni, Versi e prose, a cura di P. Raffaelli, Firenze 1859, pp. 39, 45, 71 s.; N. Machiavelli, Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Firenze 1971, p. 1199; G.B. Gelli, Ragionamento sopra la difficultà di mettere in regole la nostra lingua, in Opere, a cura di D. Maestri, Torino 1976, p. 473; C. Lenzoni, In difesa della lingua fiorentina e di Dante, in Discussioni linguistiche del Cinquecento, a cura di M. Pozzi, Torino 1988, p. 368; G.G. Trissino, Il Castellano, ibid., p. 149; G.B. Ubaldini, Storia della casa degli Ubaldini, Firenze 1588, p. 116; [J. Rilli], Notizie letterarie, ed istoriche intorno agli uomini illustri dell'Accademia Fiorentina, parte prima, Firenze 1700, pp. 16 s.; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1717, pp. 12, 21 s., 74, 100, 104; D.M. Manni, Istoria del Decamerone, Firenze 1742, pp. 642 s.; Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, XXXII, Venezia 1745, p. 463; A.M. Bandini, Specimen literaturae Florentinae saeculi XV, II, Firenze 1748-51, pp. 86-91; A. Virgili, Francesco Berni, Firenze 1881, pp. 156, 158 s.; H. Hauvette, Luigi Alamanni (1495-1556). Sa vie et son oeuvre. Un exilé florentin à la cour de France au XVIe siècle, Paris 1903, ad ind.; Id., Encore C. Rucellai et F. G.: rectification et addition, in Bulletin italien, IV (1904), 3, pp. 186-189; M. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto ricostruita su nuovi documenti, I-II, Genève 1930, pp. 426 s.; M. Plaisance, Une première affirmation de la politique culturelle de Côme Ier. La transformation de l'Académie des "Humidi" en Académie Florentine (1540-1542), in Les écrivains et le pouvoir en Italie à l'époque de la Renaissance, Première série, Paris 1973, pp. 361-438 passim; Id., Culture et politique à Florence de 1542 à 1551: Lasca et les "Humidi" aux prises avec l'Académie Florentine, in Les écrivains et le pouvoir…, Deuxième série, ibid. 1973, pp. 149-242 passim.