HAYEZ, Francesco
Pittore, nato a Venezia l'11 febbraio 1791, morto a Milano l'11 febbraio 1882. Un suo zio, antiquario a Venezia, pensò di farne un restauratore e incaricò di questo insegnamento della pittura prima un certo Zanotti, poi il Maggiotto. Il pittore Lattanzio Querena gl'insegnò qualche elemento della pittura a colori, mentre alla vecchia Accademia veneta fu ammesso per lo studio del nudo. Rinnovata da Napoleone l'Accademia, l'H. vi seguì la scuola di pittura storica tenuta da Teodoro Matteini. Nel 1809 vinceva il concorso per l'alunnato a Roma e i sette anni di soggiorno a Roma furono per lui i più densi di preparazione e di promesse. Protetto e prediletto da Antonio Canova, ne ebbe allora e sempre poi incoraggiamenti e consigli. Nel 1812 concorse al gran premio dell'Accademia di Milano e lo vinse col Laocoonte, opera intenzionalmente classicheggiante. Rimase ancora cinque anni a Roma, dove la sua personalità pittorica si sviluppò ma non si definì: i suoi saggi di pittura a fresco e ad olio, i ritratti, non rivelano ancora tutte le possibilità di un grande temperamento educato e raffinato da una tecnica sicurissima. Anche i successivi tre anni di lavoro a Venezia si possono dire preparatorî: la carriera artistica dell'H. si inizia a Milano nel 1821.
"Io mi trovavo all'unisono coi romantici portatovi dal puro sentimento dell'arte" egli ebbe a dire; ma i romantici gli attribuirono chiare mire rivoluzionarie. Pure il suo "credo" politico fu molto attenuato e tepido. Affrescò per incarico di Metternich il salone delle Cariatidi nel palazzo reale di Milano e pochi anni dopo per re Carlo Alberto eseguì una vasta tela per la quale scelse il soggetto tratto dal poema del Grossi: La sete dei crociaii. Commissioni ed incarichi gli pervenivano da ogni parte; soggetti storici e ritratti. Contemporaneamente insegnava all'Accademia di Brera, prima chiamato dal Sabatelli a supplirlo per alcuni anni come professore di pittura, poi suo successore: consigliere, e, negli ultimi anni, presidente dell'istituto.
Certa freddezza che egli ha ereditata dai classici, certa dolcezza che ha attinta ai romantici o che i romantici hanno attinta da lui, lo caratterizzano in primo piano fra i suoi contemporanei. Pur essendosi formato nell'atmosfera dell'impero trionfante, egli ne rimase immune e si atteggiò più tardi in reazione contro di essa.
Ed ecco il giovane H. oscillare tra il vero della vita che lo circonda e il vero della fantasia caro al gusto dei suoi tempi. Se la sua pittura quasi "politica" (quella che si manifesta coi Vespri Siciliani: Roma, Galleria d'arte moderna) gareggia nell'interpretazione della storia e nella ricerca degli effetti con l'artificio e con la sterilità dei melodrammi e ne subisce l'ugual sorte, dove e quando egli si trova di fronte al semplice modello, il suo squisito senso pittorico e la virtuosità di disegnatore e di colorista lo salvano. Anche i suoi personaggi storici sono creati dopo lunghi studî dal vero. Perciò più che nel popolarissimo L'ultimo addio di Giulietta e Romeo o nella melodrammatica Vendetta di una rivale, fu grande nel ritratto, in cui spesso raggiunse la perfezione. Egli stesso, giudicando la propria opera di ritrattista, considerava più significativi il ritratto della signora Juva (Milano, Galleria d'arte moderna), del marchese Lorenzo Litta, del conte G. Morosini, di Rosmini (Milano, Accademia di Brera) e l'Autoritratto in piedi (Milano, Accademia di Brera); ma bisogna aggiungervi, fra i più belli della pittura di quegli anni, i ritratti di Alessandro Manzoni, di donna Teresa Borri Manzoni, del conte Ambrogio Nava, di Gioacchino Rossini (tutti all'Accademia di Brera, Milano), quello famosissimo de La principessa di Sant'Antimo (Napoli, Museo di San Martino), quelli del conte Cristoforo Sola, della signora Taccioli Ruga, del conte Prato Morosini (collezioni private milanesi).
Bibl.: Le mie memorie dettate da F. H. (furono dettate dall'H. nel 1869 e purtroppo si arrestano al 1838), Milano 1890; v. anche gli articoli commemorativi e biografici scritti l'anno della morte da varî scrittori nei giornali e nei periodici dell'epoca. I ricordi di lui e le critiche alla sua arte nei Miei ricordi di Massimo D'Azeglio e in G. Rovani, ne Le tre arti, Milano 1877; C. Boito, Pittura e scultura d'oggi, Torino 1877. Vedi inoltre: R. Calzini, Ritratti di F. H., in Dedalo, III (1922-23), pp. 46-68; id., Prefazione alla mostra di F. H., nel Catalogo della Esposizione internazionale di Venezia, 1922; B. C. K., in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XVI, Lipsia 1923 (con bibl.); E. Somarè, Storia dei pittori ital. dell'800, I, Milano 1928, pp. 155-61; U. Ojetti, La pittura ital. dell'800, Milano-Roma 1929.