FRANCESCO I di Valois, re di Francia
Nacque il 12 settembre 1494, nel castello di Cognac, da Carlo d'Orléans, conte di Angoulême, e da Luisa di Savoia. Mortogli il 1° gennaio 1496 il padre, ne assunse di fatto la tutela il capo della casa d'Orléans il duca Luigi, erede presuntivo della corona; quando questi successe a Carlo VIII (8 aprile 1498), F., divenuto a sua volta il principe più vicino al trono, ebbe in appannaggio il ducato di Valois e gli fu assicurata, sotto la tutela della madre e la sorveglianza del maresciallo P. de Gié, un'educazione confacente al suo possibile avvenire regale. La mancanza di prole maschile e il fascino personale di F. finirono con l'affezionare Luigi XII al probabile erede. Fin dal 1505 gli destinò in moglie la figlia Claudia, erede del materno ducato di Bretagna: le nozze, solennemente stipulate il 2 maggio 1506, vennero celebrate il 18 maggio 1514, appena cadde, con la morte della regina Anna, l'ostacolo opposto dal tenace autonomismo brettone. Fin dal 3 agosto 1508 egli visse alla corte, presso il re, con gli onori dovuti alla sua doppia qualità di erede presuntivo e di genero del sovrano. Spentosi Luigi XII la notte dal 31 dicembre al 1° gennaio 1515, ne raccolse senza contrasti la successione.
Era per la Francia un momento di grande floridezza economica e di promettente risveglio in ogni campo. Portavano i loro frutti la lunga pace interna, l'equa legislazione, la savia politica di alleggerimento fiscale; l'istituto monarchico, ormai sorretto da una salda compagine amministrativa e da una discreta coscienza nazionale, godeva d'una popolarità senza esempio. La monarchia francese, per prosperità materiale, per solidità dinastica, per assolutezza di governo non aveva pari in Europa. L'avvento di un re poco più che ventenne, pieno d'intelligenza e di forza, fu salutato come un annuncio radioso. Fu una bella alba di regno, e la vittoria di Marignano (1515), la trionfante ripresa del programma italiano di Luigi XII, legittimò le maggiori speranze.
Nell'insieme il regno di F. I doveva rispondere assai poco a quelle prime illusioni. Natura fondamentalmente leggiera - di dilettante e di sportivo - incapace di sforzi tenaci e di concezioni precise, in nulla superiore al suo paese e alla sua epoca, F. portava sul primo trono d'Europa la mentalità d'un qualunque principe del Cinquecento. Non si può dire sia stato inferiore agli avvenimenti, visto che gli riuscì di mantenere, contro forze spesso soverchianti, l'indipendenza e l'unità della Francia. Ma è un fatto che egli non seppe essere né un re nazionale, conscio dei reali bisogni del suo popolo, né un vero artefice della storia d'Europa, sì da imporre una soluzione francese ai problemi europei del tempo.
Brillanti qualità cavalleresche, un'intelligenza viva, aperta a tutte le curiosità del pensiero e a tutte le emozioni dell'arte, una tendenza spontanea a quell'ardente edonismo che il Rinascimento veniva allora elevando a ideale di vita, un senso gelosissimo della propria autorità di sovrano e dei proprî diritti come proprietario della Francia, gli permisero di tener alto come pochi altri re il prestigio della corona e di realizzare un assolutismo fastoso quale prima di lui non s'era veduto. Nasce allora il tipo di corte che culminerà con Luigi XIV: una folla pittoresca, pazzamente lussuosa, di gentiluomini e di dame, che fa da cornice quotidiana al monarca. Le cacce, le giostre, le danze, la galanteria, i viaggi, le entrate solenni fanno della vita di corte una festa e una rappresentazione continua. Sorgono magnifiche, o magnificamente rinnovellate, le dimore reali: Blois, Chambord, "Madrid", Villers-Cotterets, Saint-Germain-en-Laye, Fontainebleau, ecc. Nella reggia per eccellenza, Fontainebleau, si vengono accumulando gli oggetti d'arte: vasi, bronzi, statue, arazzi, oreficerie, tele famose (del Salviati, del Bronzino, del Tiziano, di Leonardo, di Michelangelo, ecc.); vi è ospitata, e continuamente arricchita, la splendida raccolta di manoscritti e di libri che oggi costituisce il più prezioso nucleo della Nazionale parigina. In grado per la sua indole e per la sua educazione di gustare il lusso nelle sue forme supreme - le creazioni intellettuali e artistiche - F. incoraggia e utilizza, senza preconcetti di nazione, di dottrina, di scuola, tutto ciò che può accrescere lo splendore spirituale del regno. Ben meritò, insieme con quello di "re cavaliere" il titolo di "padre e restauratore delle arti e delle lettere". Soprattutto larga e incitatrice, decisiva nella storia del Rinascimento, la sua opera verso le arti (tra i suoi protetti si contano numerosi i maestri italiani: Leonardo, il Cellini, il Rosso, il Primaticcio, tutta la cosiddetta scuola di Fontainebleau, ecc.). Ma vivo è anche il suo interesse per le lettere, per l'erudizione, per il pensiero. Si può dire che si svolga intorno a lui e alla sorella Margherita tutta la vita intellettuale del tempo. Del suo mecenatismo resta una prova il Collegio di Francia. Gli torna ad onore avere avuto tra i suoi famigliari Clément Marot, G. Budé, Lefèvre d'Étaples, avere gustato e protetto Rabelais, avere offerto la sua protezione a Erasmo.
Ma questa splendida regalità, che gli ha dato presso l'alta nobiltà del tempo, presso scrittori e artisti, un'aureola di grandezza e che costituisce, non c'è dubbio, un tratto essenziale della sua figura, non deve portare a sopravalutazioni avventate. Trovò in lui un patrono il Rinascimento ornamentale e gioioso: non quello che tendeva a risolversi in un rinnovamento religioso e morale. Non negò in un primo tempo il suo aiuto all'umanismo antiteologico, ai novatori evangelici cui era di scudo la sorella Margherita; ma a partire dal dicembre 1533, docile alle necessità della sua politica estera, si associa agli sforzi papali contro l'"errore"; nella violenta reazione che segue all'affaire des placards (ottobre 1534) rivaleggia di zelo con la Sorbona e col parlamento; Calvino gli dedica invano (marzo 1536) l'Institutio religionis christianae; l'ordonnance del 1540, l'editto del 30 agosto 1542 prescrivono una repressione spietata: lo vediamo, negli ultimi anni, dominato dal fanatico cardinale di Tournon, firmare l'ordine di massacro (1° gennaio 1545) contro i Valdesi di Mérindol.
La corte di F. I - dando alla parola il suo senso più largo - non resta, con lui, l'espressione di un sogno regale, ma diventa l'incarnazione di una politica. Nell'assenza di organi che mantengano un legame tra il re e la nazione (il parlamento di Parigi è tenuto in freno; gli Stati Generali non sono mai convocati; il più importante dei due consigli, il "Conseil des affaires" è ridotto a tre o quattro persone scelte dal re), la corte, sola forza che agisca sopra il sovrano, finisce col concentrare in sé tutta la vita politica del paese. Da ciò il carattere di giuoco e d'intrigo onde si colorano i più gravi interessi nazionali; da ciò l'impossibilità di distinguere l'opera personale del re da quella del suo entourage. Luisa di Savoia, il cancelliere Du Prat, i fratelli Du Bellay, il maresciallo Anne de Montmorency non si possono considerare come semplici collaboratori. Favoriti e favorite tennero una parte del potere: Bonnivet, Chabot de Brion, la contessa di Châteaubriant, la duchessa d'Étampes, per limitarci ai più famosi.
Si aggiunga che alla base della magnifica prodigalità del monarca c'è la fredda sicurezza di chi possiede un paese ricco ed è deciso a farlo rendere il più possibile. F. I è uno dei re che hanno sprecato più denaro; ma è anche uno di quelli che hanno saputo trovarne di più. Le tailles nel 1517 si elevavano a 2.400.000 livres; erano nel 1543 di 4.600.000. Alle risorse finanziarie dei suoi predecessori F. ne aggiunse di nuove: prestiti forzosi, rendite sul municipio di Parigi, vendita degli uffici. Non inferiore, per avidità e per tenacia, a nessuno dei suoi predecessori ogni volta che si offrisse il destro d'un consolidamento o d'un arrotondamento patrimoniale (il concordato del 1516 che metteva effettivamente in sua mano il quarto circa del suolo francese; la lotta col connestabile per l'eredità di Susanna di Borbone; la pretesa non mai abbandonata, all'eredità milanese, sono solo le prove più appariscenti di tale praticità irreducibile), egli mostrò nella sua politica strettamente finanziaria, specie col processo iniquo e l'impiccagione del Semblançay, una crudezza e un'energia che contrastano con l'intima bontà del suo animo. Benché ci dia nel complesso, dal punto di vista finanziario, l'impressione d'un incapace, vittima superba dei suoi capricci, della situazione internazionale, dell'evoluzione che subivano l'economia e la finanza europea, e benché, per ovviare al crescente deficit, contasse assai più sulla riforma delle istituzioni fiscali che sull'aiuto alle forze produttrici della ricchezza, anche di queste non gli sfuggì il valore. Dall'alleanza con Solimano, ad es., seppe trarre vantaggi durevoli per il commercio francese.
Sui problemi della politica interna ebbero il sopravvento, per tutta la durata del regno, quelli della politica estera. Non cessò mai lo stato di guerra: ché si ha il diritto di considerare come semplici tregue i brevi intervalli di pace (1516-1520; 1529-1534; 1538-1542). Si ha l'abitudine di considerare la lunga lotta come la rivalità di F. I contro Carlo V, dapprima per l'egemonia dell'Europa (1520-1529), e poi, una volta apparsa la vanità del sogno egemonico, per la difesa dell'equilibrio europeo; si lascia a parte, come un puro strascico delle guerre di Luigi XII, la campagna del 1515 che inaugura l'attività europea di F. e gli ridà il Milanese. In realtà tutta la sua politica estera ha per fondamento il vecchio programma italiano, cioè l'ambizione - tutt'altro che stolta, come s'usa ripetere - di fare dei possessi italiani il fulcro di più vasta espansione. Tra le forze che si oppongono all'espansione francese ce n'è una che costituisce essa pure per l'Europa un pericolo: l'enorme potenza austro-borgognona, fusione di tutti i dominî e di tutte le pretese delle case di Borgogna, d'Austria e di Castiglia-Aragona, detentrice del nome e della chimera imperiale. Abbagliati dallo stesso miraggio (l'asprissima competizione per l'elezione all'impero è come l'annuncio simbolico di tutta la loro vita avvenire), uguali in fondo, nonostante le apparenti dissomiglianze, per mentalità politica e per sistemi di lotta, il Valois e il Borgogna-Asburgo reagiscono ciascuno alla minaccia insita nella forza e nell'ambizione avversaria. Credono che il conflitto sia da corona a corona e che dipenda da loro il risolverlo: tanto che giungono alla strana proposta di un duello. In realtà ciascuno di essi ha contro di sé tutti quelli che temono l'Europa asservita ad un solo: ciascuno trova le alleanze bastanti per impedire all'avversario il trionfo, non per giungere al proprio. La lotta si protrae all'infinito, logorante, monotona. F. vi profonde uomini e denaro. Compie prodigi di abilità e di energia. Contrappone all'attiva diplomazia asburghese una vasta, non meno operosa organizzazione diplomatica; controbatte le campagne di stampa del nemico; spande ovunque, coi suoi agenti segreti, le promesse illusorie, il denaro corruttore, i germi d'intrigo; compera sovrani e ministri; si atteggia a protettore dei piccoli stati di cui cerca l'aiuto, pronto a lasciarli soli contro il nemico e a sacrificarli nei trattati; con realismo machiavellico, per nulla nuovo ma non mai applicato con tanta vastità ed ardimento, offre all'Europa meravigliata lo spettacolo di un re cristianissimo alleato col Turco, di un persecutore della riforma alleato coi luterani tedeschi; alla ferrea tenaglia con cui Carlo V lo stringe su tutte le frontiere della Francia risponde con la creazione di un fronte orientale, lanciando contro gli eserciti e le flotte dell'imperatore gli eserciti di Solimano e le flotte del Barbarossa. Un'attività non meno notevole egli spiega nel campo militare. Ha cura che l'artiglieria francese resti la prima del mondo; sviluppa e perfeziona le sue fanterie (la vittoria di Ceresole è soprattutto dovuta ai fanti guasconi). Rinnova con indomita ostinazione gli attacchi: per tre volte ricupera il Milanese, conquista due volte il Piemonte. Non indietreggia dinnanzi ai più arditi sistemi di guerra (campagna di Provenza del 1536). Tutti quegli sforzi però rimangono vani. Accanto alle poche vittorie resta schiacciante il numero delle sconfitte (Esquiros, Bicocca, Sesia, Pavia, Napoli, ecc.). F. I e la Francia conobbero delle ore tragiche; a Pavia (24 febbraio 1525) F. stesso è fatto prigioniero. La sua prigionia (fino al maggio 1525 a Pizzighettone e poi fino al marzo 1526 a Madrid), il grave riscatto dei figli lasciati in ostaggio in sua vece fino al 1° luglio 1530 (1.200.000 scudi d'oro), avrebbero potuto essere fatali a una nazione politicamente meno matura o di risorse più scarse. Nel 1544 Carlo V giunge a venti sole leghe da Parigi. Quando F. muore (la notte del 31 marzo 1547, a Rambouillet) non s'intravede ancora nessuna soluzione stabile al gran conflitto.
Fra le terre che il re lasciava al suo successore c'erano gli stati sabaudi, occupati dal 1536: base magnifica per la continuazione di quella politica italiana che era stata il programma di tutta la sua vita. Non gli lasciava però l'orgogliosa fiducia con cui aveva ingaggiato e tante volte ripreso la lotta. Dell'insuccesso era responsabile in parte egli stesso: per l'eccessiva duplicità nei rapporti internazionali, per la frequente brutalità delle sue maniere, per la mancanza di programmi organici e meditati, per la troppa fiducia in generali incapaci, per la sua stessa eroica bravura (Pavia). Non ebbe abbastanza coscienza della nuova Europa che maturava tra i conflitti, dell'opposizione sempre più decisiva tra il mondo della Riforma e la latinità fedele a Roma. Consolidò, restando cattolico, l'autorità morale presa dall'avversario come campione della romanità minacciata.
Dalla moglie Claudia (1499-1525) F. I. ebbe tre figli: Francesco (1517-1536); Enrico II, nato nel 1520; Carlo, duca d'Orléans, il suo prediletto (1522-1545); e quattro figlie: Luisa (1515-1517), Carlotta (1516-1524), Maddalena (1520-1537), maritata a Giacomo V di Scozia; Margherita, nata nel 1523, maritata a Emanuele Filiberto duca di Savoia. Da Eleonora d'Austria, sorella di Carlo V, sposata nel 1530 per suggellare la pace con la Spagna, non ebbe figli.
V. tav. CLXXVII.
F. I è rimasto nella tradizione popolare e letteraria come l'eroe della più avventurose galanterie. Non c'è nessun fondamento serio alla storia drammatizzata dall'Hugo in Le roi s'amuse: che Diana di Poitiers abbia salvato la vita al padre, il signore di Saint-Vallier, col sacrificio del suo onore; le lettere a Francesco, pubblicate da Champollion-Figeac come di Diana di Poitiers, sono della contessa di Châteaubriant. Nulla si sa della "Belle Ferronnière": solo è certo che non può rappresentare un'amante di F. il celebre ritratto di Leonardo conservato al Louvre e designato tradizionalmente con quel nome, essendo stato verosimilmente dipinto tra il 1469 e il 1499 (A. Schiaparelli, Leonardo ritrattista, p. 112). Tarda e di nessuna attendibilità storica la leggenda dello strano marito che avrebbe contratto apposta la lue per comunicarla col tramite della moglie al re suo rivale: di vero c'è solo l'infezione luetica, di cui non si sa se il re sia morto (come afferma, tra gli altri, il Michelet), ma di cui certo sofferse.
Fonti: Come avviamento generale è da consultare H. Hauser, Les sources de l'histoire de France. XVIe siècle, II, Parigi 1909. Fonte massima è il Catalogue des Actes de F. I, 10 voll., 1887-1909, pubblicato dall'Accademia delle scienze morali e politiche di Francia. La stessa Accademia ha intrapreso per il regno di F. I l'edizione delle Ordonnances (I, 1902). Non tutte di sicura attribuzione sono le poesie date come di F. I, in Poésies du roi F. Ier, de Louise de Savoie, de Marguerite de Navarre, edite da A. Champollion-Figeac, Parigi 1847. Importanti: la raccolta dello stesso Champollion-Figeac, Captivité du roi F. Ier, Parigi 1847; il Journal di Luisa di Savoia (tra le Preuves della Histoire généalogique de la Royale Maison de Savoie di S. Guichenon, 1660); l'epistolario di Margherita di Navarra (cfr. Jourda, Répertoire analytique et chronologique de la correspondance de M. d'Angoulême etc., Parigi 1930). Tra i cronisti, da segnalare: il Journal d'un bourgeois de Paris sous le règne de F. Ier, ed. V.-L. Bourrilly, 1909; la Cronique du roy Franfois, premier de ce nom, ed. G. Guiffrey, 1860, il Journal de Jean Barrillon, secrétaire du chanchelier Du Prat, ed. P. de Vaissière, 1897-1899. Delle storie contemporanee, sopiattutta importanti i Mémoires de Martin et Guillaume du Bellay, ed. V.-I.. Bourrilly e F. Vindry, Parigi 1908-1919. Cfr. pure Brantôme, Montluc. Inoltre v. le corrispondenze diplomatiche e le opere documentarie generali citate nella bibliografia della voce carlo v.
Bibl.: Opere d'insieme: G.-H. Gaillard, Histoire de F. Ier, 2ª ed., 1769, voll. 8; J. Michelet, Histoire de France, IX e X (eccessivamente tendenzioso e quasi sempre da controllare); Lemonnier, Les guerres d'Italie. La France sous Charles VIII, Louis XI, et François Ier, voll. 2, Parigi, ultima ediz. 1926 (nella Histoire de France del Lavisse); H. Hauser e A. Renaudet, Les débuts de l'âge moderne. La Renaissance et la Réforme, Parigi 1929. Buona la sintesi divulgativa di L. Batiffol, Le siècle de la Renaissance, Parigi 1909. Assai discutibile il tentativo apologetico del duca De Lévis-Mirepoix, François Ier, Parigi 1931. Interessante il profilo abbozzato a F. Hackett, Henry the Eighth, 1929.
Studî speciali: Quanto alla vita e alla politica interna: P. Paris, Études sur F. Ier roi de France, sur sa vie et sur son règne, voll. 2, Parigi 1885; G. Hanotaux, Études historiques sur le XVIe et le XVIIe siècle, Parigi 1886; R. Doucet, Étude sur le gouvernement de F. Ier dans ses rapports avec le Parlement de Paris, I, 1515-1525, Parigi 1921; II, 1525-1527, Algeri-Parigi 1926; B. Zeller, La cour de F. Ier, son gouvernement, Parigi 1890; A. Brun, Recherches historiques sur l'introduction du français dans les provinces du Midi, Parigi 1923; G. Jacqueton, Le trésor de l'Epargne sous F. Ier, in Revue historique, LV e LVI, 1894; A. Spont, Semblanåay, Parigi 1895; id., Marignan et l'organisation militaire sous F. Ier, in Revue des questions historiques, 1899; A. Lebey, Le connétable de Bourbon, 1904. Circa i rapporti col rinascimento lettarario ed artistico: A. Lefranc, Histoire du Collège de France, Parigi 1892; H. Guy, Clément Marot et son école, Parigi 1926, p. 18 segg.; W. Heubi, F. Ier et le mouvement intellectuel en France, 1515-1547, Losanna 1913; A. Tilley, The dawn of the French Renaissance, Cambridge 1918; H. Hintze, Staat und Gesellschaft der französischen Renaissance unter Franz I., in Deutsche Zeitschrift f. Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte, V, iii, pp. 485-520; L. Dimier, Le Primatrice, peintre, sculpteur et architecte des rois de France, Parigi 1900; id., Le château de Fontainebleau et la cour de F. Ier, Parigi 1930; M. Roy, Artistes et monuments de la Renaissance en France, Parigi 1929. Cfr pure la Vita del Cellini e il Cortegiano del Castiglione (pp. 91-92 dell'ediz. Cian). - Sulla politica estera, oltre alle grandi opere d'insieme su Carlo V (Baumgarten, De Leva, ecc.), sono particolarmente da segnalare: F.-M.-A. Mignet, Rivalité de F. Ier et de Charles-Quint, Parigi 1875, voll. 2; F. Decrue, Anne de Montmorency, grand-maître et connétable de France ecc., Parigi 1885; G. Jacqueton, La politique extérieure de Louise de Savoie, 1525-26, Parigi 1892; V.-L. Bourrilly, Guillaume du Bellay, seigneur de Langey, Parigi 1905; J. Ursu, La politique orientale de F. Ier, Parigi 1908; J. Zeller, La diplomatie franåaise... Guillaume Pellicier, Parigi 1881. Sulla prigionia, oltre ai citati lavori dello Champollion-Figeac e del Mignet, cfr. L.-P. Gachard, Captivité de F. Ier ecc., Bruxelles 1860. - Si veda sugli amori di F. I: B. Hauréau, F. Ier et sa cour, Parigi 1855; M.-F.-A. Lescure, Les amours de F. Ier, Parigi 1865; F. Decrue, La cour de France et la société au XVIe siècle, Parigi 1888; Guy de La Batut, Les amours des rois de France racontées par leurs contemporains. F. Ier Parigi 1929; G. Dodu, Les amours et la mort de F. Ier, in Revue historique, maggio-agosto 1929. - Sui ritratti di F. I, cfr. É.-A. Rouard, F. Ier chez M.me de Boisy. Notice d'un recueil de crayons, Parigi 1863; L. Dimier, Les portraits peints de F. Ier, Parigi 1910. Per la tomba di F. I v. alla voce de l'orme, philibert. V. le voci carlo v (VII, p. 454 seg.); carlo di borbone; enrico viii; ferdinando i; luisa di savoia; margherita d'austria; margherita d'angoulême.