Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’età di Francesco I segna una svolta fondamentale per la cultura francese, sviluppando un fervore artistico attento al Rinascimento italiano. Centro di quest’evoluzione è il cantiere del castello di Fontainebleau, sede della produzione di una scuola che da esso prende il nome e che diffonde i suoi modelli per tutto un secolo.
Premessa
I primi anni di regno di Francesco I: l’apertura all’arte italiana
L’apertura della Francia al Rinascimento italiano si manifesta in particolar modo a partire dall’avvento al trono di Francesco I di Valois, nel gennaio del 1515. Il re è uomo di cultura, ha contatti con l’Italia ed è affascinato dal suo livello di civiltà. Già dal 1515, la vittoria sugli Svizzeri presso Marignano per la riconquista del Ducato di Milano lo porta a contatto con le grandi corti rinascimentali italiane, frequentate con assiduità da letterati e artisti. In Francesco I nasce così il desiderio di trasformare le residenze reali francesi in luoghi di cultura simili a quelli rinascimentali, ravvivando i rapporti con gli umanisti che gravitano su Parigi e in Europa e ospitando nel suo "milieu" artisti stranieri.
Francesco I invita a corte i grandi maestri dell’arte italiana, a partire da Leonardo da Vinci che nel 1516 lo segue in Francia. Leonardo risiede per tre anni nei pressi del castello di Amboise, che all’epoca è la dimora preferita della famiglia reale. Nominato pittore del re, alla sua morte (1519) Leonardo lascia nelle collezioni del sovrano alcuni capolavori, come la Gioconda e il San Giovanni Battista (oggi conservati al Louvre) e forse la Leda, vista e descritta da Cassiano dal Pozzo nel 1623 a Fontainebleau, e poi dispersa. Altre opere italiane arricchiscono le residenze del monarca francese che possiede esemplari originali o copie tratte da essi, fra i quali riproduzioni da Michelangelo (1475-1564) e lavori riconducibili a Raffaello (1482-1520) e alla sua cerchia, come per esempio il San Michele Arcangelo e il Ritratto di Giovanna d’Aragona del Louvre. Negli anni seguenti, la passione di Francesco I per il collezionismo aumenta sempre, così come si fanno sempre più assidui i soggiorni a corte di maestri d’oltralpe. Già nel 1518-1519 Andrea del Sarto è presente in Francia, dove dipinge una Carità, ma è soprattutto a partire da una decina d’anni più tardi che il sovrano diventa grande mecenate per gli artisti italiani.
Il cantiere di Fontainebleau
Nel 1528 cominciano i lavori di ristrutturazione del castello di caccia a Fontainebleau, che da questo momento diventa il luogo di residenza preferito di Francesco I di Valois. La decorazione degli ambienti del castello testimonia la svolta decisiva in direzione italiana degli interessi artistici del committente: dal 1530 Francesco I ospita Rosso Fiorentino, fuggito da Roma in occasione del Sacco del 1527. A Rosso spetta il compito di dirigere l’allestimento degli apparati effimeri in occasione dei più importanti festeggiamenti di corte. Operazioni di questo tipo richiedono una particolare capacità di giostrarsi tra progetti architettonici, decorativi, plastici e pittorici, che l’artista mostra di avere anche nella Galleria di Francesco I, l’unico suo intervento stabile per Fontainebleau che è pervenuto fino a noi.
La Galleria di Francesco I, che ha la funzione di collegare l’antico edificio medievale con il nuovo ampliamento architettonico del castello, viene costruita tra il 1528 e il 1534, ed è decorata da Rosso Fiorentino e dalla sua équipe di collaboratori italiani e francesi a partire dall’anno seguente fin verso il 1540.
Importanti novità caratterizzano questo lavoro: pur tenendo presenti i modelli di interni delle grandi corti italiane, dal Vaticano a Palazzo Te, in questo ambiente si sviluppa un’inedita commistione tra diverse tecniche, in particolare l’affresco e lo stucco. È soprattutto lo stucco che inquadra le scene dipinte ad assumere un ruolo di primo piano: articolandosi in grandi raffigurazioni plastiche, si svincola dalla funzione di semplice cornice e si pone in dialogo diretto, sia dal punto di vista formale che da quello iconografico, con gli affreschi stessi. Diverse sono state le chiavi interpretative del programma iconografico della Galleria, legato in modo estremamente complesso alla figura di Francesco I, che nega i principi della narrazione a favore di un complicato sistema evocativo, in analogia con gli schemi della letteratura emblematica di Andrea Alciato che dal 1529 al 1534 è presente in Francia e ospite a corte.
La riforma culturale di Francesco I
Lo stretto rapporto che intercorre tra l’immaginario figurativo della scuola di Fontainebleau e la cultura umanistica del tempo è incrementato dallo stesso Francesco I che parallelamente al mecenatismo artistico promuove un radicale rinnovamento delle lettere. Stimolato da quanto sta avvenendo in Italia e favorito dalla sorella Margherita d’Angouleme, regina di Navarra, il sovrano si propone di riscattare la corte francese dal dominante clima di ignoranza, per realizzare l’ideale di una nuova umanità sapiente ed erudita. Tale riforma intellettuale è perseguita dalla classe dei segretari del re: sono uomini dotti appartenenti all’alta borghesia, latinisti ed ellenisti, ebraisti e scienziati, capeggiati da Guillaume Budé, un umanista che ha rapporti con Erasmo da Rotterdam ed è bibliotecario reale a Fontainebleau. Il favore che Francesco I accorda loro si palesa particolarmente nel 1530 con la creazione a Parigi del Collegio dei Lettori Reali o Collège de France, una sorta di nuova università svincolata dal controllo della facoltà di Teologia, nella quale si insegnano e si traducono il latino, il greco e l’ebraico.
L’assidua frequentazione della corte reale da parte di questi studiosi si intreccia con la presenza di poeti e artisti, i cui lavori rispecchiano la complessità degli interessi del committente.
Dopo la Galleria di Francesco I, altri ambienti del castello di Fontainebleau vengono decorati sulla base di elaborati progetti che prevedono rapporti di interazione tra pitture e stucchi, tappezzerie e arredi. La mitologia introdotta da Rosso Fiorentino diventa il motivo di fondo che accompagna l’allestimento dei nuovi spazi. Lo stile nascente è memore degli esempi di Michelangelo e di Giulio Romano, e soprattutto delle eleganze formali che negli anni precedenti il Sacco di Roma vengono elaborate a Roma dagli artisti della cerchia di papa Clemente VII. La raffinatezza della Maniera clementina, che trova espressione nelle opere mature di Rosso, si ritrova anche nelle opere di altri artisti che lavorano a Fontainebleau. Si impongono rapidamente canoni estetici preziosi, che rispondono agli ideali letterari neoplatonici e neopetrarcheschi del tempo e che hanno in Parmigianino uno dei massimi referenti. Protagonista di questa tendenza è il bolognese Francesco Primaticcio che, presente al castello di Fontainebleau fin dal 1532 come collaboratore di Rosso, alla morte di questi (1540) lo sostituisce nel ruolo di progettista dei nuovi allestimenti decorativi stabili ed effimeri. La sua origine emiliana porta Primaticcio a meditare sugli esempi parmensi, in special modo sulle opere di Parmigianino: l’attività di stuccatore nel cantiere mantovano di Palazzo Te anticipa la predilezione per l’uso di questo materiale che Francesco Primaticcio dimostra a Fontainebleau. Egli compie lavori per Francesco I come architetto, scultore e pittore, nonché disegnatore per apparati scenici e arazzi. Al suo nome sono legate le decorazioni delle stanze e delle principali aree esterne del castello reale, oggi purtroppo quasi totalmente distrutte o fortemente modificate. Un esempio dell’operato del bolognese è dato dagli stucchi che ornano la camera della duchessa d’Etampes, l’amante ufficiale di Francesco I, eseguiti tra il 1541 e il 1544, che riprendono la sinuosità della linea allungata di matrice parmense, sviluppando un’ornamentazione ricercata.
Negli stessi anni è presente a corte lo scultore fiorentino Benvenuto Cellini, ospite del re dal 1540 al 1545. Per Francesco I egli realizza la Saliera, nella quale i ricordi michelangioleschi e dell’antico si mescolano, dando vita a una ricchissima opera di oreficeria. Il virtuosismo manierista è evidente anche nella lunetta bronzea con la Ninfa di Fontainebleau, ninfa fluviale attorniata da selvaggina che, prevista per l’ingresso principale del castello, pone sotto la sua protezione questo luogo di caccia, legato dal suo stesso nome alle acque.
La passione per l’antico e l’immaginario mitologico
L’interesse per l’antico, rimeditato attraverso nuove eleganze formali, è una costante nella produzione artistica di Fontainebleau. Lo stesso Primaticcio, inviato in Italia da Francesco I nel 1540, esegue i calchi dei marmi conservati a Roma nel cortile del Belvedere, come il Laocoonte, l’Apollo o l’Arianna addormentata, da cui insieme a Vignola trae copie in bronzo per la residenza reale.
Un universo popolato da dei e da eroi antichi anima le sale del castello decorate da Primaticcio e dai suoi collaboratori, dalla galleria di Ulisse (della quale sono noti i disegni preparatori) all’appartamento dei Bagni, centro del collezionismo reale.
In questo luogo, che si riallaccia alle costruzioni antiche e alle stufette rinascimentali, sono infatti conservati i dipinti posseduti da Francesco I, dalla Gioconda alla copia della Leda di Michelangelo, e forse l’Allegoria di Venere di Bronzino che appartiene al sovrano.
È nella residenza reale di Fontainebleau che si formula quell’ideale estetico prezioso, basato su un immaginario erotico, raffinato e cristallizzato, che diventa codice linguistico della scuola omonima.
Parte delle decorazioni perdute è testimoniata dall’opera di numerosi incisori, come Antonio Fantuzzi e Pierre Milan, che lavorano a Fontainebleau e che da lì diffondono in Europa la nuova maniera aristocratica.
Spesso questi artisti appartengono alle stesse maestranze di pittori impegnati nel cantiere della residenza reale: i libri dei conti riportano i nomi di numerosi collaboratori di Primaticcio, italiani e francesi, oggi difficilmente identificabili.
La fase matura della scuola di Fontainebleau
L’attività artistica della scuola di Fontainebleau prosegue anche sotto i successori di Francesco I: Enrico II e i tre figli che questi ha da Caterina de’ Medici, Francesco II, Carlo IX ed Enrico III. Francesco Primaticcio è ancora presente in Francia nel 1570 (anno della sua morte), e dal 1552 è affiancato dal modenese Niccolò dell’Abate, suo collaboratore nella galleria d’Ulisse e nella sala da ballo. Accanto ai pittori italiani si possono isolare alcune personalità francesi di spicco, come Jean Cousin, Antoine Caron o François Clouet, che con le loro tele si inseriscono nella tradizione mitologica e allegorica del manierismo di corte, in sintonia con l’opera poetica contemporanea di Pierre de Ronsard e degli autori della Pléiade. Anche la scultura, che vede primeggiare la figura di Jean Goujon, risente fortemente degli esempi di Primaticcio e di Cellini.
Verso la fine del secolo si evidenzia il ruolo dei pittori fiamminghi, protetti da Enrico IV di Navarra. L’artista nordico più celebre è l’anversese Ambroise Dubois, mentre tra i francesi dominano Toussaint Dubreuil e Martin Fréminet. Quest’ultima fase decorativa, denominata "seconda scuola di Fontainebleau", ha ancora come referente principale lo stile sviluppatosi negli anni precedenti. Accanto ai lavori delle personalità più rilevanti si afferma il gusto per le copie che diffondono soggetti mitologici o temi allegorici ed emblematici che spesso interagiscono con la scena di genere.
I rapporti dell’architettura francese con l’arte italiana
Contatti con l’arte italiana si riscontrano anche nel campo dell’architettura che per ragioni pratiche mantiene forti legami con la tradizione locale. Nel Cinquecento è ancora diffusa la tipologia del maniero medievale, costruito in pietra, con grandi torrioni e tetti in ardesia fortemente spioventi che agevolano la caduta della neve. Sotto Francesco I, però, comincia a farsi strada un gusto italiano, percepibile nelle modifiche apportate ad alcune dimore di corte. Un’inclinazione all’ordine, alla razionalità geometrica, all’uso di spartizioni verticali e orizzontali e alla citazione di motivi decorativi classici inizia ad apparire nelle facciate e negli interni dei castelli della valle della Loira. La nuova ala fatta costruire da Francesco I nella residenza reale di Blois promuove l’introduzione di questi elementi negli edifici aristocratici che sorgono nei pressi del fiume, da Chenonceaux ad Azay-le-Rideau fino a Chambord (1518 ca.-1540), regio castello di caccia, basato su uno schema centrale focalizzato sulla scala a rampe indipendenti che forse risente della personalità artistica di Leonardo.
Con la fortuna di Fontainebleau si affermano altri elementi di origine italiana. La presenza a corte di Vignola (dal 1540) e di Sebastiano Serlio (dal 1541) favorisce la diffusione di nuovi elementi architettonici. Un rimando al mondo antico è rappresentato dalla grotta che con i suoi giochi d’acqua e le sue bizzarre concrezioni artificiali è caratteristica della complessità manierista. L’esempio della grotta dei Pini a Fontainebleau è presto diffuso grazie alle incisioni, come dimostra l’esistenza di un analogo ambiente alla Bastie d’Urfé, residenza dello scudiero di Francesco I, nelle cui decorazioni si palesano i rapporti con l’Italia e con la cultura emblematica del tempo.
Un vero e proprio repertorio di modelli è poi fornito da Sebastiano Serlio che in Francia continua la redazione del suo trattato d’architettura, analizzando e divulgando le diverse tipologie del portale e del camino, che è parte integrante dell’edilizia civile francese. La necessità pratica di una grande cappa permette infatti la presenza di una vasta superficie decorabile con motivi desunti dall’antico o con originali composizioni in stucco. L’influenza di architetti come Vignola e Serlio si riscontra anche nel periodo successivo al regno di Francesco I che vede affermarsi l’attività di Philibert Delorme, autore del castello di Anet e del ponte sullo Cher a Chenonceaux, opere costruite per la favorita di Enrico II, Diana di Poitiers.