Sforza, Francesco II
Francesco Maria S. nacque a Milano il 4 febbraio 1495, figlio secondogenito di Ludovico Maria Sforza detto il Moro e di Beatrice d’Este (che morì due anni dopo la sua nascita). La sventura del padre nel 1499-1500 lo costrinse a fuggire da Milano, assieme al fratello primogenito Massimiliano, in direzione della Germania, per mettersi sotto la protezione di Massimiliano d’Asburgo, che aveva sposato la cugina Bianca Maria Sforza.
Quando la vittoria degli svizzeri sui francesi consentì la restaurazione del dominio sforzesco su Milano (1512), a Massimiliano toccò il ducato. I due fratelli rientrarono in città il 27 luglio 1513. Per S., le strategie di famiglia prevedevano il cardinalato: ma un viaggio a Roma, mirato a questo scopo (novembre 1513), non dette risultati. Francesco tornò pertanto a Milano, per sostenere il governo del fratello. La battaglia di Marignano (13-14 sett. 1515) riconsegnò il ducato ai francesi: Massimiliano rinunciò ai suoi diritti, e da quel momento Francesco si considerò legittimo duca di Milano. Si rifugiò a Trento e dedicò tutte le sue energie, all’ombra della politica asburgica, a preparare il ritorno al potere, previsto da un accordo tra imperatore e papa.
Nel novembre 1521 gli imperiali occuparono Milano, ma solo il 4 aprile dell’anno successivo S. poté farvi ingresso. Il suo fu un governo tutt’altro che saldo: per le macchinazioni del fratello di Carlo V, Ferdinando; per la continua minaccia francese; per le sue scarse doti militari; per le casse pubbliche vuote. A salvarlo e mantenerlo al potere fu la dura sconfitta del re di Francia, Francesco I, a Pavia (25 febbraio 1525). Si trattò di un successo che S. pagò a caro prezzo, costretto a versare a Carlo V 600.000 ducati, quale risarcimento per il rinnovo dell’investitura imperiale, e a cedere anche il ducato di Bari di cui il padre l’aveva investito a soli tre anni. S. cercò allora di sottrarsi alla pesante tutela imperiale e di arrivare a un’intesa con Francesco I favorita da un accordo matrimoniale con la cognata del re, Renata, o con la di lui sorella Margherita. Gli imperiali, venuti a conoscenza dell’intrigo, anzitutto arrestarono il cancelliere di S., Girolamo Morone. Quindi, il 2 novembre 1525, spagnoli e lanzichenecchi entrarono in città costringendo il duca a rinchiudersi nel castello. Qui S. resistette, fra ostentate dimostrazioni di lealtà all’imperatore e ambigue ‘capitolazioni’ con la lega di Cognac, fino al luglio del 1526. Passò poi a Crema, quindi fissò la sua corte a Cremona. Oppresso da diverse infermità, assistette al trionfo dell’impero nel 1527. Cercò allora di appoggiarsi su Venezia (che preferiva trovarsi, come confinante, un debole duca di Milano e non l’impero), ma nel 1530 non poté far altro che recarsi a Bologna per rendere omaggio all’imperatore. Questi condizionò la reinvestitura nel ducato al pagamento di 400.000 ducati nel giro di un anno, e di 50.000 ducati all’anno nel decennio successivo.
Tali pesanti contribuzioni limitarono fortemente la sua azione di governo, in un dominio già impoverito da guerre continue. I suoi sforzi maggiori furono dedicati a rivitalizzare l’industria serica, mentre operava per mantenere le strutture di governo e soprattutto per semplificare la caotica legislazione ereditata dal passato (lavoro che portò, nel 1544, all’edizione delle Constitutiones dominii Mediolanensis). Fu principe debolissimo, strumento nelle mani imperiali, mortificato dal papato che gli negò, con Clemente VII, il diritto di indicare i titolari dei benefici vacanti (qualche possibilità in più gli offrì Paolo III). Anche alle sue nozze provvide Carlo V, designandogli in moglie una sua nipote dodicenne, Cristiana (figlia di sua sorella Elisabetta e di Cristiano II di Danimarca), che arrivò a Milano nel maggio 1534. Nell’ottobre del 1535, S. cadde ammalato, e, nella notte tra il 1° e il 2 novembre, morì. Finiva con ciò l’indipendenza del ducato.
I pochi cenni che M. dedica a S., nelle sue lettere, rivelano una ben scarsa considerazione. Scrive a Francesco Guicciardini (post 25 ottobre 1525) che, con l’arresto del Morone, il «ducato di Milano è spacciato» (Lettere, p. 411); inoltre, scrivendo da Marignano a Bartolomeo Cavalcanti, il 13 luglio 1526, rileva la scarsa lucidità di Francesco sul campo di battaglia (Lettere, pp. 431-33).
Bibliografia: P. Oldrini, Debolezza politica e ingerenze curiali al tramonto della dinastia sforzesca: il carteggio con Roma al tempo di Francesco II Sforza (1530-1535), in Gli Sforza, la Chiesa lombarda, la corte di Roma. Strutture e pratiche beneficiarie nel ducato di Milano (1450-1535), a cura di G. Chittolini, Napoli 1989, pp. 291-340; G. Benzoni, Francesco II Sforza, duca di Milano, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 50° vol., Roma 1998, ad vocem.