FRANCESCO III d'Este, duca di Modena e Reggio
Francesco Maria d'Este, figlio primogenito di Rinaldo I d'Este duca di Modena e Reggio e di Carlotta Felicita di Brunswick-Lüneburg, nacque a Modena il 2 luglio 1698.
Il padre - di cui tutto l'atteggiamento tradiva il retaggio della porpora che aveva dovuto lasciare per assicurare la discendenza della famiglia - aveva dato alla corte estense un'impronta di severo bigottismo e di caparbia asserzione dei propri diritti in evidente e patetica distonia con la debolezza politica dello Stato che guidava.
Ombroso, fisicamente sgraziato, votato a suscitare antipatia per i modi altezzosi che mascheravano in realtà una timidezza patologica, F. crebbe solitario, sempre apertamente posposto dal padre al secondogenito Gianfederico da lui così dissimile. Su tale terreno psicologico già connotato da forti tensioni si calerà - singolarmente male assortito - il matrimonio con Carlotta Aglae, quarta figlia del reggente di Francia Filippo d'Orléans. Il legame con la Francia era stato voluto da Rinaldo, teso a cercare appoggi internazionali nell'intento di rafforzare le sue ingenue pretese successorie ai vicini Ducati di Parma e Toscana, già da tempo nelle mire della regina di Spagna Elisabetta Farnese, intenzionata a trovarvi una confacente sistemazione al proprio primogenito Carlo.
Il matrimonio, favorito probabilmente da una voluta reticenza del ministro Benedetto Selvatico, che aveva condotto le trattative a Parigi, documenta l'ingenuità del duca Rinaldo. Carlotta Aglae, allora diciannovenne, si era già vivacemente segnalata nella pur disincantata e mondana corte francese per esuberanza particolare e irrequietezza di carattere, al punto da essere considerata dallo stesso padre pregiudizievole a una decorosa sistemazione delle altre sue numerose figlie. Perciò la sistemazione opportunamente lontana dell'esuberante fanciulla, che si sottomise di malavoglia alla volontà paterna, fu ben accolta dalla corte francese.
Celebrato il matrimonio per procura nel palazzo delle Tuileries il 12 febbr. 1720, l'arrivo della principessa a Modena data solo al 20 giugno successivo. E subito iniziarono i contrasti: tra l'Orléans e l'austero duca Rinaldo, tra il seguito francese della principessa e quello italiano, soprattutto tra i due coniugi, avendo oltretutto l'infelice aspetto fisico dello sposo talmente maldisposto Carlotta Aglae da determinare reiterati tentativi di richiesta d'annullamento matrimoniale. Impuntature, umiliazioni, irrequieta condotta della moglie non fecero che aggravare la situazione caratteriale di F. che si abbandonò sempre più alle sue tendenze libertine, incrementando un odio profondo nei confronti dei familiari.
Il conflitto che lo contrapporrà al padre fu una costante della vita della coppia: le successive, reiterate rappacificazioni che scandirono gli anni successivi non muteranno la totale estraneità personale tra il duca e suo figlio, i cui scatti capricciosi denotavano una debolezza caratteriale di fondo controllata e piegata dalla più spiccata personalità della moglie. La coppia, inquieta, soggiornò, negli anni successivi in varie città italiane: memorabile, tra le altre, la permanenza romana, ma a nulla valsero, a cementare la coppia, le nascite successive di diversi figli a partire dal primogenito Alfonso e le distrazioni sontuose, come la ristrutturazione della villa e casino di caccia di Rivalta, i cui lavori si protrassero per un cinquantennio a partire dal 1724 e i cui mezzi finanziari iniziali furono concessi dal duca Rinaldo in uno dei tentativi di ravvicinamento con il figlio e la nuora.
Dal 1727 la situazione politica generale era di nuovo in movimento e al piccolo Ducato non restava che prevenire le mosse delle potenze europee, dal momento che ogni coinvolgimento poteva significare solo ulteriori precarietà nel sottile margine di manovra in cui si muoveva casa d'Este.
A nulla, se non a coprire di ridicolo la protagonista, era valso il matrimonio dell'ultimogenita di Rinaldo, Enrichetta, con il quarantasettenne Antonio Farnese: stipulato, ma dubbiosamente consumato, nel 1728 - pronubi l'Impero e lo stesso pontefice - all'esclusivo scopo di frenare i travolgenti appetiti spagnoli su Parma e Piacenza, già previsti dopo l'estinzione di casa Farnese. I pochi mesi di incredula attesa del lieto evento preannunciato nel testamento di Antonio Farnese avevano rappresentato solo una breve sospensione degli avvenimenti e ben presto avevano lasciato il posto a più prevedibili mosse, del resto già concordate da tempo: i Borbone di Spagna, con Carlo, erede designato, si installavano nei Ducati padani, con l'assenso degli Imperiali. Pericolo anche maggiore Modena e il duca Rinaldo corsero durante la guerra di successione polacca quando l'atteggiamento di oscillante e ambigua neutralità dichiarata fece da contraltare a un tentato accostamento alle forze imperiali.
Il duca Rinaldo, rifugiatosi a Bologna nel 1734 dopo l'occupazione di Modena da parte delle truppe franco sarde, solo nel 1736, dopo la pace di Vienna, fece ritorno a Modena, e ai favori di cui godette in quell'occasione presso l'imperatore non fu estraneo il comportamento del principe ereditario. F., infatti, rifugiatosi con la moglie all'inizio del conflitto a Genova, era di lì passato in varie capitali europee - in Francia, Belgio, Inghilterra - dando inizio così alla sua attiva vita politica e allargando la cerchia dei contatti diplomatici. Da ultimo si era arruolato sotto le bandiere imperiali e aveva combattuto con onore contro i Turchi in Ungheria. Nominato generale d'artiglieria, fu durante il suo rientro in Italia, ormai psicologicamente rassicurato dall'essersi potuto emancipare - se pure in parte - dalla opprimente presenza paterna, che lo colse la notizia della morte del vecchio duca. Il che affrettò il suo solenne ingresso in Modena, avvenuto il 4 dic. 1737.
La moglie, che aveva a lungo in quei frangenti soggiornato a Parigi, lo raggiunse solo alla fine del giugno 1739, accolta gentilmente dal marito: opportunità politica induceva F. ad atteggiarsi cordialmente nei confronti della Francia, per tacitare il sospetto di legami segreti con l'Austria. Per un breve periodo la vita di corte modenese divenne vivace e lieta, provvedendo entrambi i coniugi a impiegare con prodigalità le ricchezze accumulate dal parsimonioso e severo Rinaldo. Carlotta Aglae, finalmente gratificata da una parvenza di imitazione della grandiosità di Versailles, era riuscita almeno in questo: a infondere nel marito la passione e il gusto del divertimento, non affievolito neppure dalla serie di prove dolorose cui saranno sottoposti con la morte prematura di numerosi figli. Il primogenito Alfonso era mancato piccolissimo nel 1725, Beatrice, di appena due anni, nel 1736, Benedetto nel 1751 e la ventottenne Maria Teresa Felicita, allora sposa di Ludovico di Borbone duca di Penthièvre, nel 1754.
Le prime mosse di F. furono abili e di successo: nel 1741 riuscì a sposare l'erede, Ercole, allora solo quattordicenne, a Maria Teresa Cibo Malaspina, erede del ducato di Massa, che garantiva agli Estensi un ingrandimento territoriale notevole oltre Appennino e uno sbocco sul mare. Purtroppo l'unione, decisa da F. in base a motivazioni puramente politiche, per l'assoluta mancanza di affinità tra i contraenti si rivelò ben presto un fallimento completo ponendo le basi per una estinzione della casata.
I margini di manovra di F. in politica estera erano sempre più esigui e contraddittorie le sue afferenze: apparentemente legato alla Francia, se non altro per la parentela acquisita, sapeva che sarebbe certo stato posposto alla più significativa alleanza con la Spagna di cui la potenza d'Oltralpe copriva gli interessi in Italia. Con l'imperatore, poi, era giocoforza mantenere buoni rapporti - suscitando inevitabilmente i sospetti dei Francesi - dopo la pace di Vienna che aveva allontanato dalla penisola il pericolo spagnolo sostituendovi la presenza austriaca. I nodi di tale ambiguità vennero al pettine alla morte di Carlo VI d'Asburgo e con la guerra di successione che ne seguì. F., nel tentativo di assumere una qualche autonomia decisionale, cercò di uscire dalla neutralità cui si era attenuto il padre e di iniziare un gioco di bascule tra Borboni e Asburgo. Ma in breve, messo alle strette dall'ultimatum degli Austro-Piemontesi, fu costretto ad abbandonare il suo Stato e a rifugiarsi nella villa del Cataio presso Padova. L'esercito spagnolo, al comando di J. de Montemar, non aveva fatto una mossa per soccorrere l'Estense e, infine, F., abbandonata la sua sfortunata diplomazia, fu costretto a umiliarsi davanti alla Spagna e a servire quell'esercito in posizione subordinata fino al 1747. Lo Stato ereditario gli fu restituito solo con la pace di Aquisgrana (1748), fermo restando il rancore, la diffidenza e, in ultima analisi, il fastidio delle grandi potenze per i patetici tentativi di vitalità di uno staterello che dalle sue stesse dimensioni era condannato a subire iniziative e volontà altrui.
In questa situazione F. si mostrò ammirevole quanto patetico: incurante delle umiliazioni patite, nell'immediato dopoguerra si preparò a una rivincita. Mantenne coi sussidi francesi un esercito, affrettò la costruzione della via che avrebbe dovuto collegare Massa con le terre padane: iniziata già nel 1739, questa sarà ultimata nel 1750 per cadere però ben presto in disuso; soprattutto progettò di costruire un porto a Massa con l'intento di permettervi lo sbarco delle truppe francesi che di lì si sarebbero presto - secondo le speranze del duca - mosse contro gli Austriaci in Lombardia.
Deteriorati così i rapporti con la Spagna, divenuti tiepidi quelli con la Francia sempre più estranea ai destini italiani, resi decisamente pessimi quelli con l'Austria: la situazione generale e soprattutto la minacciata estinzione della casata dopo la morte (settembre 1751) del secondogenito Benedetto costrinsero F. a un nuovo corso politico, basato sulle nozze dell'unica erede Maria Beatrice, allora di pochi mesi, nata dal figlio Ercole, i cui rapporti con la moglie non lasciavano presagire altre nascite. F., stretto tra Asburgo e Borbone, optò per i primi: servendosi della mediazione del sovrano inglese, i termini dell'intesa matrimoniale stretta con l'imperatrice Maria Teresa furono raggiunti l'11 maggio 1753 e ratificati il 3 giugno successivo. L'unione, gradita all'Austria che vi vedeva la possibilità di ampliare la sua influenza in Italia, in realtà si realizzò nel 1771 essendovi stato destinato prima l'arciduca secondogenito Leopoldo, il futuro imperatore, poi il terzogenito Ferdinando Carlo. Non contarono nulla né le previste reazioni francesi né quelle, violente quanto inoffensive, di Ercole, padre della piccola Maria Beatrice e ultimo erede maschio di casa d'Este.
Immediati furono i vantaggi per F.: fin dal 1753 fu nominato governatore di Milano durante la minore età di Ferdinando. Egli vi si trasferì preferendo da allora soggiornare nella capitale lombarda che viveva la piena stagione delle riforme. Da qui, certo non troppo distolto dall'assolvimento dei compiti di governo del Milanese, che aveva provvidenzialmente demandato prima a Beltrame Cristiani e dal 1758 a Carlo Firmian, continuò a interessarsi al suo Stato oltre che ai legami sentimentali eterogenei e relativo seguito di figli illegittimi che contrassegnarono tutta la sua esistenza. Del resto Carlotta Aglae, rinviata a Modena nel 1759 da Luigi XV infastidito per l'irrequietezza di lei, vi rimase ben poco, invisa ormai anche al figlio. Ritornò ben presto a Parigi per morirvi nel gennaio del 1761. Dei numerosi legami del duca certo i più duraturi e presentabili furono quello con Teresa di Castelbarco, vedova del conte Antonio Simonetta e, dopo la morte di questa (1768), quello con Renata Teresa contessa d'Harrach, vedova del conte Saverio Melzi: con entrambe si unì morganaticamente.
Gli anni milanesi furono certo i più fecondi per l'azione statuale di F., che aveva abbandonato ormai le velleità di politica internazionale ed era rassegnato all'estinzione inevitabile della casata e all'assorbimento del Ducato nell'area di influenza austriaca.
Le aree di intervento di F. - spalleggiato dall'opera di Ludovico Randone, primo segretario di Stato, e del conte Borso Santagata - si concentrarono nei settori delle opere pubbliche, della riforma degli studi, universitari in particolare e, soprattutto, della legislazione penale.
Già al ritorno dalla guerra di successione austriaca aveva dato disposizione perché fossero terminati palazzo e giardino della residenza a Sassuolo e fosse innalzata l'ala sinistra del palazzo ducale a Modena. Al 1753 data la costruzione dell'ospedale nella piazza di S. Agostino, più tardi quello di S. Gerolamo; nel 1760 venne ordinato l'allargamento della via Emilia: la città dunque, nel suo complesso, fu sottoposta a un riordino urbanistico culminato con la realizzazione della celebre via Gardini che avrebbe dovuto unire Modena alla Toscana e ricongiungersi alla famosa direttrice di Massa.
Quanto alla promozione delle istituzioni culturali, settore di intervento prestigioso in ogni monarchia illuminata, esse si concentrarono nella realizzazione dello Studio universitario, presente in Modena sin dal XII secolo, riaperto nel 1667 dopo una lunga chiusura ma attestato a livelli di piccolo cabotaggio scientifico. Le due realizzazioni più significative furono l'istituzione di una biblioteca universitaria, inizialmente possibile grazie ai duplicati della biblioteca ducale e al patrimonio della Congregazione di S. Carlo, e il nuovo regolamento varato nel 1772 ed elaborato da un comitato di docenti (tra cui, significativa, spicca la presenza del giurista B. Valdrighi). In realtà esisteva un più ampio progetto attinente anche all'istruzione primaria, che riuscì a decollare solo dopo la soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773.
Nell'immediato venne aperta al pubblico la celebre Biblioteca Estense con decreto del 1750, lo stesso anno in cui si dimise il Muratori che, se l'aveva illustrata con la sua opera di studioso, non l'aveva tuttavia resa efficiente sul piano organizzativo. In realtà la disponibilità effettiva al pubblico datò al 1764 e determinante sarebbe stata nel prosieguo l'opera di Girolamo Tiraboschi, bibliotecario dal 1770.
Non analoga lungimiranza F. dimostrò nella gestione della pinacoteca di casa d'Este: nel 1744, in piena guerra di successione austriaca e con l'attenuante di un incombente dissesto finanziario, il duca aveva venduto un centinaio circa fra le tele più prestigiose della sua galleria a Federico Augusto III, re di Polonia ed elettore della Sassonia; e a ben poco valse, tardivo ormai, il tentativo di recuperarle.
Ma certo deve esser visto nel nuovo codice, emanato nel 1774 e filiazione diretta del pensiero del Muratori, il frutto più maturo e significativo dell'opera ducale, simbolo tipico della via italiana al riformismo illuminato. Esso rappresenta un indubbio contributo alla riunificazione del materiale normativo esistente per quel che atteneva al diritto penale, e benché al suo interno vi si ribadisse quel concetto basilare della diversificazione sociale delle pene, comune ai sistemi ancien régime.
Gli interventi riguardanti il diritto civile tendono tutti a dare organicità e coerenza alle disomogenee normative esistenti: snellimento delle strutture dello Stato, imposizione di un freno alla potenza economica del clero, abolizione del foro ecclesiastico, soprattutto regolamentazione della complessa materia feudale e di diritto successorio, potenziamento dell'agricoltura sono le direttive principali su cui ci si muove. Tale normativa, nel suo insieme, giunse solo a una parziale attuazione.
Riforme tardive che, nel loro difficoltoso abbrivio, si intersecheranno ormai con l'89 francese testimoniando i livelli di progettazione politica dei ceti più illuminati di quegli anni modenesi e restituendo al F. il segno significativo di una maturità così tardivamente conquistata.
F. morì nella sua villa di Varese il 22 febbraio 1780.
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