BECCANUGI, Francesco Ismera
Fiorentino, nato intorno al 1275, apparteneva a una fra le più illustri famiglie del sestiere di San Brancazio: suo padre, Iacopo, fu priore nel 1284. È ricordato in vari documenti dell'Archivio di Stato di Firenze: uno, del 9 dic. 1299, lo annovera tra le persone deputate a sopraintendere all'erezione del "nuovo palazzo dei signori priori e del vessillifero"; in un altro, 26 genn. 1300, in cui compare fra i testimoni Francesco da Barberino, autore del Reggimento e costumi di donna, èdichiarato canonico di S. Andrea di Cersino in Firenze. Poco tenne questa carica, e infatti un documento del 1º febbr. 1300, steso da Lapo, Gianni, denuncia la sua rinuncia alla prebenda canonicale connessa a questo incarico. Nel 1312 fece parte della commissione di "probi e discreti" cittadini che stabilirono gli stanziamenti per richiamare tutti i guelfi banditi da Firenze nel 1311. Nel 1331 fu incaricato dal Comune fiorentino della custodia della città di Pistoia. La data della sua morte va collocata probabilmente, intorno al 1335. Fu forse figlia sua una Lotteria, ricordata in un passo di Giovanni da Vinci di S. Guido come figlia di Francesco de' Beccanugi.
Al B. è attribuita la canzone, contenuta nel cod. Ricc. 2846 e nel Chig. L. VIII. 305, "Per gran soverchio di dolor mi movo", costituita da sei lasse assonanzate, in cui il poeta dichiara, di doversi gravemente lamentare della "partenza gravosa" che lo ha portato lontano dalla sua donna.
A ricordare il momento di quella partenza sente crescere il suo affanno e la sua angoscia, tanto più in quanto egli non l'ha voluta; ormai non ha più il coraggio di lottare contro chi gli vuol nuocere e solo spera che Dio voglia concedergli di soffrire meno, consentendogli di farsi servitore d'amore. Riconosce d'essere in colpa e promette che, se farà ritorno alla sua donna, non se ne allontanerà più. Nulla al mondo gli appare bello quanto la visione della sua donna alla quale invia la canzone, affinché la corregga s'egli vi ha commesso qualche errore.
La canzone, piuttosto disordinata nel suo svolgimento, ha i modi tipici della poesia duecentesca toscana, risente della tradizione provenzaleggiante e ha i suoi momenti migliori nell'evocazione di paesaggi e di usi di vita cortese. Più incerta è l'attribuizione al B. di un sonetto dato dal codice Vat. 3214, nel quale viene proposta una specie di indovinello intorno agli effetti che derivano dal passaggio della luce attraverso l'acqua e il vetro. Assai meno interessante della canzone, questo sonetto è forse diretto a Dino Compagni.
Fonti e Bibl.: P. Bembo, Prose della volgar lingua, in Opere in volgare, a cura di M. Marti, Firenze 1961, pp. 308, 434, 441; G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, Venezia 1730, II, p. 68; L. Fiacchi, Rime antiche, Firenze 1812, p. 59; U. Bucchioni, Per un umile poeta del Trecento, Rocca San Casciano 1910.