LANZA (Lanza di Paola), Francesco
Nacque il 5 luglio 1897 a Valguarnera Caropepe, presso Enna, dall'avvocato Giuseppe e da Rosaria Berrittella.
Quarto di sette fratelli, il L. poté contare solo sull'affetto e l'appoggio della madre, unica a sostenerlo nella sua solitaria e drammatica vita, angustiata anche da gravi difficoltà finanziarie.
Nel 1915 completò gli studi superiori al liceo Spedalieri di Catania e si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Roma, nonostante la già evidente predilezione per gli studi letterari. Nell'agosto 1916 morì in guerra Antonino, uno dei fratelli: alla sua memoria il L. dedicò una serie di liriche d'ispirazione foscoliana, ma modellate su una metrica e uno stile carducciano che, insieme con altri componimenti giovanili, pubblicò qualche anno dopo col titolo Poesie di gioventù (Roma 1926). Nel 1918 fu lo stesso L. a partecipare, come ufficiale di artiglieria, alle ultime battute della Grande Guerra. Congedato nel 1920, tornò nel suo paese natale, dove fondò una sezione del partito socialista assumendone la carica di segretario politico. Ciò non gli impedì, più tardi, di aderire al fascismo, più nella speranza di una definitiva soluzione del problema agrario siciliano che per reale convinzione politica.
Sempre intorno al 1920, il L. contrasse una grave forma dell'influenza spagnola che gli lese un polmone e lo costrinse a un lungo periodo di convalescenza, trascorsa a Valguarnera, nei suoi poderi di S. Francesco e di Cafeci. In quel periodo, tra il 1920 e il 1922, il L. completò la sua formazione: si dedicò alla lettura dei classici latini e greci, degli autori contemporanei, italiani e stranieri, delle opere politico-filosofiche di K. Marx e Lenin, ma anche all'approfondimento delle tradizioni popolari siciliane. Scrisse alcuni racconti, poesie e un romanzo rimasto incompiuto, Vita e miracoli di Giustino Lambusta.
Il 1922 segnò una svolta fondamentale nella vita e nella carriera del L.: si laureò in legge a Catania con una tesi su P.-J. Proudhon e cominciò la sua lunga e intensa attività giornalistica. Il L. nel corso della sua vita collaborò a numerose e importanti testate, tra cui il Corriere di Sicilia, Il Popolo, la Rivista d'Italia, il Corriere italiano, L'Ambrosiano, la Rassegna italiana, Galleria e Il Selvaggio. Il 1922 fu l'anno dell'incontro a Catania con G. Lombardo Radice, che gli propose di redigere insieme un libro di testo per combattere l'analfabetismo dei contadini del Mezzogiorno. I due si divisero il lavoro: al L. spettò la parte poetica, a Lombardo Radice quella più strettamente didattica e scientifica, ma, di lì a poco, G. Gentile chiamò Lombardo Radice a Roma per lavorare alla riforma dell'istruzione elementare. Il L. dovette continuare l'opera da solo e decise di trasferirsi a Roma, dove aveva sede l'Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia, che curava l'edizione del libro a lui affidato. L'Almanacco per il popolo siciliano (con stampe di A. Soffici e illustrazioni di C. Aloisi, Roma 1924), in linea con la riforma Gentile, si uniformò alle direttive sui sussidiari regionali e ricalcò gli schemi propri di quel tipo di pubblicazione. Avvalendosi della suddivisione dell'anno in mesi e stagioni, il L. inserì prose e poesie di vario genere, leggende, brani evangelici, consigli medici, motti popolari: la Sicilia e il mondo contadino ne costituirono il tema centrale. Uno dei tratti caratterizzanti l'Almanacco stava nella totale adesione alla materia trattata e alla mentalità dei suoi lettori.
L'incontro con Lombardo Radice fu importante non solo per l'ideazione dell'Almanacco, ma anche perché introdusse il L. nella società letteraria della capitale. Egli entrò in contatto con i principali scrittori vociani e rondisti, quali G. Prezzolini, E. Cecchi, A. Baldini, G. De Robertis, A. Baccelli, B. Barilli e V. Cardarelli, anche se non aderì pienamente a una specifica corrente letteraria. La poetica e lo stile del L. si inserirono piuttosto nello sperimentalismo degli anni Venti e Trenta, ma i suoi modelli restarono G. Pitrè e G. Verga.
Durante la sua breve esistenza, il L. tornò nella capitale diverse volte: Roma rappresentò per lui la salvezza, la fuga dall'isola, da quella Sicilia amata ma anche, soprattutto negli ultimi anni di vita, odiata, percepita come "una trappola". L'isola, che pur lo attirava e lo tratteneva, offrendogli spunto per i suoi lavori, esercitava su di lui un'azione di repulsione, spingendolo ad allontanarsene. Fu tra il 1920 e il 1928 che si sviluppò l'intera produzione teatrale del L.: la commedia in tre atti Cosa darei per sapere come è fatta una donna, la favola ariostesca Fiordispina, l'atto unico Corpus Domini, Una moglie brutta e Il vendicatore.
Tali commedie mostravano evidenti debiti nei confronti del teatro dannunziano e pirandelliano e in esse trovavano già posto il comico, la parodia e il rovesciamento di valori comuni che, successivamente, caratterizzarono i racconti dei Mimi siciliani. La commedia Corpus Domini, inizialmente pubblicata nel periodico Galleria (1924) con il titolo Giorno di festa, fu l'unica a essere messa in scena a Roma il 18 febbr. 1927 al teatro degli Indipendenti per la regia di A.G. Bragaglia.
Tornato nel 1926 a Valguarnera, il L. tentò di avviare un'operazione commerciale, una bottega di calce e gesso, che si rivelò ben presto fallimentare. Più proficua risultò la collaborazione con Vera Gaiba per la stesura di un volume di letture per le scuole elementari, Spighe d'Italia (I-II, Torino 1927).
Nuovamente a Roma, il L. nel 1927 divenne redattore del Tevere, dove continuò la rubrica umoristica tenuta da E. Patti dal titolo: "Signor Pott", firmandola "il collega del signor Pott". In quello stesso anno fondò il Lunario siciliano, un periodico pensato per il popolo, contenente leggende, poesie, proverbi e informazioni utili sulle attività agricole, in cui veniva narrata ed esaltata una Sicilia contadina e popolare, attraverso le sue tradizioni. Al mensile collaborarono numerosi e autorevoli letterati del tempo, quali N. Savarese, G. Centorbi, A. Navarria, R. De Mattei, E. Cecchi, R. Bacchelli, T. Interlandi, E. Falqui, G. Ungaretti, A. Soffici. Il primo numero del Lunario si aprì con un significativo omaggio a G. Verga e ottenne una lusinghiera segnalazione nella Fiera letteraria: "A Enna si è cominciato a stampare un giornale letterario che ha la pretesa di farsi leggere oltre i confini di una regione [e] la pretesa è più che giustificata" (6 genn. 1928). Fu però proprio per il suo carattere così strettamente regionalistico che il Lunario, dopo un breve trasferimento a Roma (aprile-novembre 1929), sospese la sua attività; la pubblicazione fu ripresa nel 1931 a Messina con l'uscita di soli tre numeri (cfr. la rist. anast. del Lunario siciliano, 1927-31, con il titolo Il Lunario ritrovato. L'avventura culturale di F. L. e N. Savarese, a cura di V. Consolo, Enna 1999).
Nel 1928 furono pubblicati i Mimi siciliani (Milano), di certo l'opera più nota del Lanza. Molti racconti erano già apparsi in diversi giornali e riviste, quali il Corriere italiano (1923-24), Galleria (1924) e La Fiera letteraria (1926-27), con il titolo di Storie di Nino Scardino: fu Soffici a suggerire al L. di mutare tale titolo con il fortunato Mimi siciliani, per la somiglianza con i Mimiambi di Eroda.
Anche quella descritta nei Mimi era una Sicilia ancestrale, di cui però il L. denunciava l'ingenuità e l'arretratezza, attraverso le categorie del comico e del paradossale. I protagonisti, designati con il solo toponimico, in poche battute e con dialoghi veloci e serrati, rivelavano l'arretratezza e l'arcaicità del mondo contadino siciliano. L'essenzialità del nucleo inventivo e la schematicità dei dialoghi davano ai personaggi caratteri esemplari e paradigmatici: alla figura del furbo si contrapponeva quella dello sciocco e dello stupido, a quella del marito credulone quella del compare sornione. Il linguaggio si adeguava alla materia trattata arricchendosi di termini e di espressioni dialettali che servivano per focalizzare protagonisti e situazioni, per sostenere l'esigenza tutta popolare di materializzare la realtà. Per questo stesso motivo, l'eros e il sesso venivano a rivestire un ruolo di primaria importanza: erano proprio i tradimenti, gli amori e le amicizie che si sviluppavano intorno alle figure della moglie, del marito, del compare a presentare al lettore la dissacrante illogicità e l'ingenua credulità propria del contadino siciliano.
La successiva produzione letteraria del L. risentì fortemente dell'esperienza dei Mimi: novelle come La colubra, Il sorcio, Proserpina e la masseria, Re porco si ispirarono anch'esse alle ambientazioni paesane, a quell'ancestralità contadina che costituì il punto di partenza e, contemporaneamente, d'arrivo dell'intera produzione lanziana.
Tra il 1930 e il 1931 il L. viaggiò come inviato del Tevere in diversi paesi dell'Europa orientale: Ungheria, Romania, Polonia e Unione Sovietica. Il viaggio in Russia, effettuato alla fine del 1930 insieme con C. Sofia, con cui strinse una forte amicizia testimoniata anche dal loro carteggio (Sicilia come trappola: lettere a C. Sofia, introd. di Corrado Sofia, Siracusa 1989), fu per il L. un'esperienza difficile e dolorosa. Tornò in Italia profondamente deluso dal socialismo sovietico, ma decise di non scrivere nulla nel giornale, per non offrire il suo appoggio alle fasce più intransigenti del fascismo. Sul soggiorno in Russia accettò infine di pubblicare solo due novelle, simili per tono e stile ai Mimi, che uscirono rispettivamente il 26 novembre e il 24 dic. 1931 nella Gazzetta del popolo, con lo pseudonimo di F.A. Bunjac, dietro al quale si celavano, oltre al L., C. Sofia e Annie Pohl che collaborarono alla stesura di questi particolari elzeviri. Successivamente soggiornò per un periodo in Tripolitania, dove concepì i Mimi arabi.
Nella primavera del 1931, rientrato a Valguarnera, il L. lavorò a una scelta di testi di G. Meli che fu pubblicata postuma (Le più belle pagine di G. Meli, Milano 1935). Nell'ottobre di quell'anno il L. si recò nuovamente a Roma nella speranza di trovarvi un impiego, ma la morte della madre lo costrinse a tornare in Sicilia. Gli ultimi anni della sua vita furono caratterizzati dalla solitudine, dal riavvicinamento al cattolicesimo e soprattutto dall'affannosa ricerca di un lavoro che lo liberasse dalle difficoltà economiche. Sul finire del 1932 giunse finalmente la notizia della sua assunzione al ministero dell'Aeronautica, ma durante il viaggio per raggiungere la capitale si ammalò gravemente e fu costretto, ancora una volta, a fare ritorno in Sicilia.
Il L. morì a Valguarnera qualche giorno dopo, il 6 genn. 1933.
Opere: Storie e terre di Sicilia e altri scritti inediti e rari, a cura di N. Basile, Caltanissetta 1953; nuova ed. aggiornata, ibid. 1985; Teatro edito e inedito (Catania 1975), Tutto il teatro (ibid. 1997), Opere (ibid. 2002), tutti a cura di S. Zappulla Muscarà.
Fonti e Bibl.: Il Tevere, 6 febbr. 1933 (num. speciale dedicato al L.); Galleria, settembre-dicembre 1955 (num. speciale dedicato a N. Savarese, F. L., V. Brancati); M. Lamartina, Realtà e mito nell'opera di F. L., a cura di G. Cottone, Palermo 1971; M. Di Venuta, La provincia sorniona: l'opera narrativa di F. L., Palermo 1983; S. Li Bassi et al., F. L., Palermo 1989; A. Di Grado, Il mondo offeso di F. L.: dalla casa del nespolo al giardino dei ciliegi, Acireale 1990.