LAPARELLI, Francesco
Nacque a Cortona il 5 apr. 1521 da Niccolò, morto nel 1547, di nobile famiglia come la moglie, della quale le fonti tramandano il casato, Ridolfini, e l'iniziale (N.) del nome. Sposò Beatrice Baldacchini, da cui ebbe Marcantonio, poeta, morto nel 1591 (Venuti).
Già in giovane età si applicò alla scienza militare e alla meccanica, "per suo divertimento, e per esemplo alla nobiltà cortonese che, come tutte quelle della provincia, era piuttosto oziosa" (ibid., p. 2).
L'inizio della sua carriera di architetto civile e ingegnere militare è da collegare alla sua partecipazione alla guerra di Siena, nelle file degli Imperiali (1550-55). In particolare, la sua formazione nell'arte della guerra e i prestigiosi incarichi degli anni successivi sono in gran parte legati ai rapporti con Gabrio Serbelloni, gentiluomo milanese al soldo di Cosimo I de' Medici e cugino di Giovanni Angelo Medici, futuro papa Pio IV. Tra i maggiori esperti dell'epoca nell'arte di difendere e fortificare le piazze, Serbelloni giunse a Cortona nel 1553, inviato dal duca con il compito di rafforzare le difese della città posta al confine tra il Ducato di Firenze e la Repubblica di Siena. Fu in questa occasione che il L. ne fece la conoscenza, inaugurando una sincera e profonda amicizia oltre che un'intensa e proficua collaborazione professionale. Risalgono al 1554, infatti, i disegni di progetto del L. per la ristrutturazione e l'ampliamento del forte cortonese del Girifalco.
La nuova fortezza, che nelle intenzioni di Cosimo I avrebbe dovuto costituire un solido punto di saldatura al confine tra lo Stato toscano e quello pontificio, fu costruita tutt'intorno e sui resti della rocca eretta dagli Aretini nel 1258. L'imponente struttura difensiva fu realizzata tra il 1556 e il 1561, e alla sua esecuzione presero parte Serbelloni, revisore delle opere, e Chiappino Vitelli. Non è chiaro quali siano le parti attribuibili con sicurezza al L.; né dai suoi disegni è possibile ricavare i dati necessari per ricostruire e comprendere i modi e le fasi di formazione dell'opera. È assai probabile che l'intervento sia stato eseguito in diversi momenti e da vari direttori dei lavori.
Il comportamento tenuto durante il conflitto tra Firenze e Siena valse al L., e ad altri quattro nobili cortonesi, la cittadinanza fiorentina.
Secondo certa tradizione storiografica, il L. avrebbe redatto nel 1555, o al più tardi nel 1559, il progetto della chiesa di S. Maria della Reggia, costruita appena fuori del borgo di Fratta, l'odierna Umbertide, dal 1560 in avanti (Belforti - Mariotti; Guerrini; Marconi, 1970). Tuttavia vari studiosi, a partire da Pesci, hanno ritenuto che l'assenza di qualsiasi riferimento al L. nei libri dei pagamenti della chiesa, conservati però solo dal 1560, costituirebbe un valido indizio circa la sua estraneità all'opera. Ricerche recenti, confortate da rilievi sistematici della fabbrica, confermerebbero questa tesi (Capotorto).
Prima di trasferirsi a Roma, progettò e diresse i lavori per il nuovo campanile della cattedrale di Cortona realizzato, forse a partire dal 1556, in sostituzione di una più antica torre crollata. L'opera, terminata nel 1566, potrebbe essere stata eseguita con la supervisione di G. Vasari (Venuti; Mancini).
Subito dopo l'ascesa di Giovanni Angelo Medici al soglio pontificio (25 dic. 1559), il L. fu chiamato a Roma da Serbelloni, capitano generale della guardia pontificia. Grazie all'interessamento di quest'ultimo, fu mandato da Pio IV a presidiare, con una compagnia di 200 uomini, la fortezza di Civitavecchia. Il L. fortificò le mura e il porto e ne tenne il governo, col favore della popolazione, fino al 19 sett. 1560.
Tra il 1561 e il 1570, anno della sua morte, svolse gli incarichi più complessi e prestigiosi della sua carriera di architetto pontificio, partecipando alla progettazione e alla realizzazione di strutture difensive e impianti urbani dislocati nei territori dello Stato della Chiesa e a Malta.
I lavori più importanti compiuti in Italia sotto il pontificato di Pio IV vanno dalla consulenza tecnica in merito alla costruzione della cupola vaticana, alla ricognizione sistematica, tra il febbraio del 1562 e il 1565, delle città e delle fortezze dello Stato, fino al completamento della cinta e al piano urbanistico di Borgo.
Il L. giunse a Roma chiamato da Pio IV, forse su sollecitazione di Michelangelo che, oramai ultraottantenne, premeva per essere sostituito nella direzione della Fabbrica di S. Pietro. Pare che Michelangelo avesse scelto il L. perché gli sembrava che, in quel momento, potesse meglio di altri eseguire, "senza fare il dottore, le sue idee, ed i suoi studiati disegni" (Venuti, p. 6). Il L. seguì i lavori e compilò un'accurata relazione tecnica sulla cupola senza percepire, per sua stessa volontà, alcun compenso, nonostante l'offerta di una provvigione mensile di 70 scudi (Zoppici). Portò a termine il lavoro in modo encomiabile, tanto da meritarsi la fiducia e il favore del papa che gli affidò l'incarico di sovrintendere alle principali fortezze dello Stato e, all'occorrenza, proporre "il modo di ridurle a miglior difesa" (Venuti, p. 7). Tra il febbraio del 1562 e il 1565, il L. effettuò due viaggi, seguendo due distinti itinerari che toccarono diverse città dello Stato pontifico.
La ricognizione sistematica delle città e delle fortezze dello Stato fu registrata con cura meticolosa in un rapporto esaustivo accompagnato da una serie di planimetrie. Le due visite furono programmate e compiute seguendo una logica tutta militare: la prima, riferibile ai primi mesi del 1562, toccò i capisaldi urbani dislocati lungo i confini occidentale (verso la Toscana granducale) e orientale (verso l'Adriatico e il Regno delle Due Sicilie) dello Stato pontificio; due anni più tardi, invece, percorrendo l'Aurelia, il L. visitò i centri della costa laziale, tra Marina di Montalto e Terracina. L'originalità delle proposte e delle soluzioni messe a punto è da riferire, innanzitutto, al metodo adottato. Attraverso una serie di indagini sulla situazione politica e socio-economica di ciascuno dei centri visitati, egli fissò i criteri con cui valutare, di volta in volta, l'opportunità di un intervento sulle fortificazioni, riuscendo persino a suggerire modi e soggetti cui riferirsi per la copertura delle spese.
Nel maggio del 1561 Pio IV decise di riprendere i lavori, avviati da Paolo III e successivamente sospesi, per la costruzione delle nuove mura del Borgo vaticano. L'incarico fu affidato al L. che riuscì, in tempi rapidi e nel modo migliore, a completare un'impresa fortemente segnata, sin dal 1545, dalle aspre controversie sorte tra militari di carriera e architetti in merito alle soluzioni tecniche e progettuali da adottare.
Al momento in cui il L. fu chiamato in Vaticano, la linea di difesa settentrionale compresa tra il Belvedere e il castello era ancora costituita dal cosiddetto "corridore" di Alessandro VI. All'esterno e a notevole distanza dal muro alessandrino il L. fece erigere una poderosa muraglia rettilinea, spezzata al centro e delimitata da un fossato in cui vennero convogliate le acque della vicina Valle dell'Inferno. La cortina laparelliana, cancellata dagli interventi successivi, seguiva un andamento segmentato, pressoché coincidente con il tracciato delle attuali vie di Borgo Angelico e via Vitelleschi. L'impresa, la cui direzione generale fu affidata a Serbelloni, fu svolta sotto la consulenza di Latino Orsini e Mario Savorgnano (Marconi, 1966).
Con lo spostamento verso nord del fronte delle mura, si liberò una vasta zona pianeggiante che andò ad aggiungersi al popoloso Borgo. Il L. elaborò anche il piano di lottizzazione di quest'area, all'epoca la più grande tra quelle messe a disposizione per un ampliamento.
Impostato su una matrice ortogonale di strade innervate da un grande asse est-ovest, il piano di Borgo Pio precede di poco i progetti del L. per La Valletta e documenta, insieme con pochi altri esempi europei della metà del XVI secolo, gli strumenti e i metodi di disegno urbano adottati nelle espansioni e nei nuovi insediamenti.
Oltre a lavorare al potenziamento delle mura e alla pianificazione di Borgo Pio, il L. intervenne anche nei lavori di restauro e nella bastionatura pentagonale di Castel Sant'Angelo, perfezionando così uno schema difensivo concepito da Antonio da Sangallo il Giovane e posto in essere da Giacomo Castriotto nel triennio 1546-49, subito dopo la morte di Antonio.
Alla fine del 1565 il papa, accogliendo un suggerimento di Serbelloni, decise di inviare il L. a Malta, governata dal gran maestro dell'Ordine gerosolimitano, Jean Parisot de La Vallette. L'isola, uscita vittoriosa, ma stremata dall'assedio di cui era stata stretta per quattro mesi da Solimano II, doveva rinforzare rapidamente le proprie difese per diventare nel Mediterraneo un potente baluardo delle forze cristiane contro i Turchi (Formosa, p. 27).
Prima di raggiungere l'isola, il L. fece tappa in Sicilia. In questa occasione avrebbe disegnato le fortificazioni di Augusta e, fatto importante, potrebbe aver visto Carlentini, fondata nel 1550 secondo un piano urbanistico dal disegno assai simile a quello elaborato per La Valletta (Hughes, 1956; Marino; I castelli…).
Il 28 dicembre il L. sbarcò a Malta. Il mandato affidatogli dal papa fu svolto con decisione nonostante le critiche che, di lì a poco, sarebbero sorte intorno al suo lavoro. Egli effettuò sopralluoghi e misurazioni, rilievi grafici e saggi nelle rocce per verificarne la durezza, e il 3 genn. 1566, a meno di una settimana dal suo arrivo, presentò al gran maestro la sua prima relazione.
In questo rapporto proponeva la costruzione di una nuova città fortificata sul dorso del monte Xeberras, forse accogliendo un'idea dello stesso La Vallette e, impegnandosi a portare a termine la linea di difesa esterna in soli tre mesi, chiedeva 3500 guastatori, 100 mastri e 3000 soldati. Intorno alla proposta si sollevò un gran dibattito, per lo più alimentato dal viceré di Sicilia, col risultato di bloccare ogni attività fino al 14 marzo, data dell'arrivo di Serbelloni sull'isola. Col completo appoggio di quest'ultimo, il L. vide finalmente approvato il proprio progetto e poté cominciare i lavori. Il 28 marzo si tenne la solenne cerimonia della posa della prima pietra, accompagnata dalla decisione di assegnare alla nuova capitale il nome La Valletta, in onore del gran maestro dell'Ordine. Il 18 giugno il L. presentò un nuovo rapporto che illustrava in dettaglio il piano per la nuova città: una superficie urbana di 140.000 canne quadrate; una piazza d'arme di 30 x 45 canne; otto piazze dinanzi ad altrettanti "alberghi" delle Nazioni; tre piazze in altri luoghi pubblici; una strada mediana ampia e diritta, attraversante da nord a sud l'intero abitato, oltre a 10 trasversali; e 1125 comode case.
I lavori procedettero alacremente, tanto che due anni dopo, nell'aprile del 1568, il L. poté recarsi, anche se per breve tempo, in patria. Dopo la morte di La Vallette, sopraggiunta il 21 ag. 1568, il L. fece ritorno a Malta per far parte della commissione incaricata di designare le strade e i lotti da edificare, secondo un piano che sarebbe stato approvato, in via definitiva, il 17 maggio 1569.
Il L. non poté trattenersi sull'isola, poiché fu richiamato in patria dalla Repubblica di Venezia, minacciata a Cipro dai Turchi. Dopo aver lasciato in consegna a Girolamo Cassar, architetto dell'Ordine gerosolimitano, il cantiere della nuova capitale maltese, s'imbarcò diretto in Sicilia. Nel 1570 poté finalmente unirsi a Marcantonio Colonna, che aveva il comando delle galere pontificie e di quelle maltesi, e con lui raggiunse il porto di Suda, nell'isola di Candia dove, a capo della flotta spagnola, li aspettava Gian Andrea Doria.
In attesa di prendere il largo, tra le armate cristiane si diffuse la peste; e il L. ne rimase contagiato. Morì a Candia, non ancora cinquantenne, il 26 ott. 1570.
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