LAURANA, Francesco
Il L. è documentato per la prima volta a Napoli il 17 luglio 1453, quando come "Francisco da Zara" insieme con altri maestri ricevette il pagamento per i lavori all'arco trionfale di Castelnuovo, iniziati già nel maggio dello stesso anno (Kruft, 1995, p. 393 doc. I).
Come "Francisco Adzara" oppure "Francesco Atzara" il L. è menzionato a Napoli ancora due volte (31 gennaio e 28 febbr. 1458); in seguito però in tutte le fonti d'archivio il suo nome appare come "Francesco de Laurana" oppure "Francesco Laurana". La sua provenienza è ulteriormente specificata accanto al nome in altre due occasioni: il 10 nov. 1464 è menzionato come "Franciscus de Lorana de Venesia"; e il 16 ag. 1469, come "Franciscus Laurana[…] civitatis Venetiarum" (ibid., pp. 393 s., docc. II-IV; 398, doc. XI).
Dato che nel 1453 a Napoli il L. era già citato come maestro e che morì tra il 10 nov. 1500 e il marzo 1502, si può collocare la sua data di nascita fra il 1420 e il 1430 (ibid., p. 18). E "Laurana" indicherebbe il suo luogo di nascita, l'odierna Vrana, vicino a Zara in Dalmazia, in quel periodo parte del dominio veneziano.
Secondo alcuni studiosi il L. fu fratello dell'architetto Luciano Laurana, figlio dell'orefice e scultore Martino di Pietro da Zara (Rolfs, 1904, p. 98 n. 2). Già Rolfs (1907, pp. 3-5) e successivamente Dudan (1922, p. 329 n. 138: si veda anche Kruft, 1995, p. 18) hanno accennato all'assenza di ogni notizia sul grado di parentela tra il L. e Luciano; ma l'ipotesi compare ancora nella più recente bibliografia (per esempio, Damianaki, 2000, p. 9; Sciolla, 2003, p. 191). Secondo Höfler (1988, p. 540; 2004, p. 76) il L. potrebbe essere identificato con Francesco di Matteo da Zara ("Franciescho di Mattei da Giara"), menzionato insieme con il fratello Matteo nel Libro delle spese di Maso di Bartolomeo (Firenze, Biblioteca nazionale, Mss. Baldovinetti, 70, 1449-55, cc. 15v, 25r). I due fratelli vennero da Roma per lavorare con Maso al portale di S. Domenico a Urbino dal gennaio fino al marzo 1451. Il L. sarebbe, così, figlio di un certo Matteo e sicuramente non fratello di Luciano.
Nel 1453, quando a Napoli ricevette insieme con Pere Johan, Pietro di Martino da Milano e Paolo Romano il pagamento per i lavori all'arco di Castelnuovo, i suoi colleghi erano tutti già rinomati scultori, e anche il L., menzionato come maestro, doveva godere di una certa fama, sebbene fosse probabilmente ancora piuttosto giovane. A causa dell'assenza di documenti anteriori al 1453 e della scarsità di opere documentate, la formazione e lo sviluppo stilistico del L. prima del suo arrivo a Napoli rimangono poco chiari.
Esistono però in merito numerose ipotesi. Rolfs (1907, pp. 17-45) e Burger (1907, pp. 8 s., 96-100) ripetendo l'errore di G. Vasari (Le vite de' più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, a cura di R. Bettarini, III, Firenze 1971, pp. 197 s.), frutto di un'errata lettura del testo di Antonio Averlino, detto il Filarete (Trattato di architettura, a cura di A.M. Finoli - L. Grassi, Milano 1972, pp. 172 s.: si veda anche Valentiner, 1940, pp. 82, 85), ipotizzarono che il L. avesse avuto insieme con Domenico Gaggini un tirocinio artistico presso Filippo Brunelleschi e che i due artisti avessero in seguito collaborato alla cappella di S. Giovanni Battista nel duomo di Genova. Ma il problema stesso dell'identificazione dello "Schiavone" nei testi del Filarete e di Vasari sembra essere insolubile (Kruft, 1995, p. 17; Caglioti, 1998, p. 88 n. 36). A. Venturi (1908, pp. 1022-1024) e L. Venturi (1914, pp. 440 s.) hanno ricondotto l'educazione stilistica del L. ad Agostino di Duccio e, mediante l'attribuzione delle pilastrate della cappella di S. Sigismondo nel tempio Malatestiano, hanno datato la sua attività a Rimini nel periodo 1448-52. In un momento immediatamente successivo, e comunque prima del 1453, gli stessi studiosi hanno attribuito al L. i due angeli ai lati del primo altare a sinistra del duomo di Sebenico (cfr. Mariano, 2003, pp. 22 s.), che ormai vengono però ritenuti di Niccolò di Giovanni Fiorentino e della sua bottega (Fisković, 1960; A. Markham Schulz, Niccolò di Giovanni Fiorentino and Venetian sculpture of the early Renaissance, New York 1978, p. 59). Dudan (1922, p. 277) propose come opera giovanile del L. un bassorilievo nella cattedrale di Zara, rappresentante S. Anastasia, sull'autografia del quale la critica è tuttora incerta (Kruft, 1995, p. 19; Damianaki, 2000, pp. 9, 13; P. Marković, in La Renaissance en Croatie, 2004, p. 246). Ma è più plausibile riferire la lastra a un anonimo maestro proveniente dall'Italia settentrionale, da uno dei centri rappresentativi dell'ultima fase del gotico (Kruft, 1995, p. 19; Fisković, 1999, p. 474); e poiché finora in Dalmazia non sono state rintracciate opere dello stesso autore, la lastra, nonostante la grandezza, potrebbe esservi stata trasportata. La formazione del L. in Dalmazia è stata collegata da alcuni studiosi a Giorgio di Matteo da Sebenico (da Zara) (Dudan, 1922, p. 289; Pope-Hennessy, 1996, p. 241) oppure allo stile, oltre che dello stesso Giorgio da Sebenico, di Bonino di Iacopo da Milano e ad altre influenze veneziane (Damianaki, 2000, p. 13). È assai difficile condividere queste opinioni, perché nelle opere documentate del L. a Napoli, in Sicilia e in Francia non si possono individuare elementi stilistici di questi maestri, né si riescono a rintracciare altre opere del L. in Dalmazia. Infatti, sembra che una prima formazione del L. in questa regione pur possibile non abbia avuto un influsso decisivo sulle opere posteriori. L'ipotesi di Bottari (1949, p. 329) di cercare le origini stilistiche del L. a Venezia, nell'arte di Bartolomeo Bon, non ha avuto alcun seguito. Per la proposta di Gvozdanović (1975, p. 114) e Kruft (1995, p. 19), secondo la quale la sua formazione a Zara si svolse nel campo dell'oreficeria, non esistono ulteriori prove; e non può essere confermata nemmeno la tesi sul reliquiario di s. Caterina alla Mostra permanente di arte sacra di Zara visto da Gvozdanović come una possibile fonte per i busti femminili del Laurana. Gvozdanović (1975, pp. 115-123; 1981, pp. 106-113) e Kruft (1995, pp. 20-34) hanno cercato di confermare l'ipotesi di Valentiner (1937, p. 513), secondo cui il L. sarebbe giunto a Napoli da Ragusa (Dubrovnik) dove per alcuni anni avrebbe lavorato nella bottega di Pietro di Martino da Milano, che nel 1452 fu chiamato alla corte di re Alfonso. Le opere ragusee attribuite al L. da Gvozdanović (parti della fontana minore e alcuni capitelli e mensole del palazzo del Rettore, tra cui la Giustizia, l'Udienza del rettore e due figure maschili sul capitello dell'Esculapio) e da Kruft (due bassorilievi della fontana minore e l'Esculapio del palazzo del Rettore), dopo una più mirata indagine sulla formazione e le imprese ragusee di Pietro da Milano risultano essere opere di quest'ultimo, oppure degli altri maestri lavoranti a Ragusa (R. Novak Klemenčič, La prima opera documentata di Pietro da Milano, in Nuovi studi, Rivista di arte antica e moderna, V [2001], 8, pp. 5-11, e Kiparski…, in corso di stampa). Inoltre, nella vasta documentazione d'archivio a Ragusa finora non è stato trovato il nome del Laurana. Tra i tentativi di rintracciare opere giovanili del L. si può citare la recente riproposta di Sciolla (2003, pp. 191-193) a favore dell'attribuzione della scultura lignea di S. Maria Maddalena nella chiesa della Maddalena a Roma formulata in primis da Bucarelli (1932) e che però non è stata accolta negli studi successivi.
La prima opera a cui partecipò il L. rimane così l'arco di Castelnuovo. Il 31 gennaio e il 28 febbr. 1458 il L. è citato insieme con Pietro da Milano, Paolo Romano, Isaia da Pisa, Antonio da Pisa e Domenico Gaggini (Kruft, 1995, p. 393, docc. II-III; per l'identità di Antonio si veda Caglioti, 1993, p. 26 n. 96).
Le antiche fonti napoletane attribuiscono a Pietro da Milano e al L. anche la responsabilità della struttura architettonica dell'arco. Un passo della lettera del 1524 di Pietro Summonte al veneziano Marcantonio Michiel (Nicolini, 1925, p. 166: "In la entrata del Castelnuovo nostro è un Arco trionfale, fatto ad tempo del re Alfonso primo di gloriosa memoria […] per mano di maestro Francesco schiavone") ha portato ad accreditarne l'attribuzione al solo L. (Rolfs, 1904, pp. 81-101). Esiste però una testimonianza più sicura, cioè l'epigrafe che si leggeva sulla tomba di Pietro da Milano nella chiesa S. Maria la Nova a Napoli, trascritta dallo storico Giovanni Antonio Summonte (Dell'historia della citta, e Regno di Napoli, III, Napoli 1675, pp. 14 s.), secondo la quale l'architetto dell'arco sarebbe stato proprio il defunto. Inoltre, l'insistenza di Alfonso d'Aragona affinché Pietro arrivasse da Ragusa a Napoli il più presto possibile (Fabriczy, 1902, pp. 4 s.) fa pensare a un suo coinvolgimento anche nella fase progettuale della struttura. Numerosi tentativi di attribuire le sculture dell'arco a vari maestri documentati nel cantiere, a parte qualche caso raro, non hanno portato a risultati convincenti, perché la conoscenza delle loro opere prima dell'arrivo a Napoli è troppo lacunosa, com'è appunto il caso del Laurana. Nei contributi più recenti gli studiosi attribuiscono al L. l'Ambasciata tunisina del fregio trionfale e la grande figura della Giustizia nella nicchia alla sommità dell'arco; le loro opinioni divergono invece sulle altre parti attribuite al L. (Kruft, 1995, pp. 54-59; Abbate, 1998, pp. 187 s., 191; Damianaki, 2000, pp. 12, 15). Di queste, il rilievo con Ferrante d'Aragona e il suo seguito è stato convincentemente attribuito da Caglioti (1993, pp. 12-15) ad Andrea dell'Aquila e datato al 1455-56. Ultimamente con il chiarimento della formazione stilistica di Pietro di Milano risulta che almeno la figura della Giustizia sull'arco è opera sua (Novak Klemenčič, 2000, pp. 64-68, e La prima opera…, 2001, pp. 5-11).
Il L. rimase a Napoli almeno fino alla morte di Alfonso d'Aragona nel 1458. A questo periodo napoletano dovrebbe appartenere un ritratto del sovrano, citato nella lettera di Pietro Summonte, che nonostante numerosi tentativi non è stato ancora convincentemente individuato (Kruft, 1995, pp. 59-63). Al L. sono attribuite ancora due Madonne napoletane databili negli anni Cinquanta del Quattrocento.
L'attribuzione della prima, posta nella lunetta del portale di S. Barbara in Castelnuovo, fu proposta da Kruft (1995, pp. 63-65, 374). La seconda, nel Museo civico di Castelnuovo, proveniente dalla chiesa di S. Agostino alla Zecca, è stata attribuita al L. da Causa (1950, pp. 143-148), ma datata negli anni Ottanta. La datazione è stata cambiata da Sciolla (1972, 126, pp. 20 s.), che, come Leone de Castris (in Castel Nuovo…, 1990, p. 94) e Kruft (1995, pp. 65 s.), la inserisce nel primo periodo napoletano del Laurana.
Al 1461 sono datate le prime medaglie firmate che il L. eseguì in Francia alla corte di Renato d'Angiò, duca di Lorena e re titolare di Napoli, e cioè quelle della seconda moglie del duca Giovanna di Laval e di Triboulet, il suo buffone.
Negli anni seguenti il L. in Francia firmò altre sei medaglie, di cui quattro sono anche datate: nel 1463 la medaglia di Renato e Giovanna di Laval; nel 1464 quella di Giovanni d'Angiò, figlio di Renato e duca di Calabria e di Lorena; e nel 1466 quella di Giovanni Cossa, conte di Troia. Allo stesso periodo appartengono due altre medaglie firmate di Carlo d'Angiò, fratello di Renato e conte del Maine, e di Luigi XI, nipote di Renato e re di Francia. Al L. è stata attribuita anche una medaglia di sconosciuto (Heiss, 1882, pp. 15-36; Kruft, 1995, pp. 69-77, 390 s.).
In questo periodo il L. trascorse alcuni anni a Marsiglia, dove il 22 nov. 1464 e il 2 marzo 1465 è menzionato nelle fonti d'archivio in qualità di testimone (ibid., pp. 394 s., docc. V-VI). Il 10 nov. 1464 sottoscrisse il contratto per l'ingrandimento della fontana a Le Puy-Sainte-Réparade: il L. prometteva di aggiungere due vasche e due grifi di bronzo con lo scudo di Renato. L'11 apr. 1465 è di nuovo documentato in connessione con i lavori per la fontana (ibid., pp. 395 s., doc. VII).
Al suo soggiorno in Francia sono stati collegati anche i due busti di Renato d'Angiò e Giovanna di Laval nel castello di Tarascona, originariamente posti in una nicchia, eseguita in stile rinascimentale italiano. Purtroppo i busti furono così pesantemente mutilati durante la Rivoluzione francese che non è più possibile avanzare alcuna attribuzione (ibid., pp. 78 s.). Il riferimento al L. di un altro busto di Giovanna di Laval (New York, collezione Michael Hall) da parte di Kruft (1995, pp. 80 s., 376 s., ignorato da Damianaki, 2000) non sembra accettabile per ragioni formali.
La firma e la data 1466 sulla medaglia di Giovanni Cossa documentano il L. in Francia in quell'anno (Kruft, 1995, pp. 78, 82). Nel maggio 1468 lo si trova in Sicilia, già attivo a Sciacca e a Partanna. La maggior parte degli studiosi propone di datare tra il 1466 e il 1468 il suo secondo soggiorno a Napoli, dove il L. potrebbe essersi messo in contatto con il suo primo committente siciliano, Carlo Luna, conte di Caltabellotta e signore di Sciacca, che dopo il 1465 si trovava alla corte napoletana (ibid., p. 82).
Da documenti di Sciacca, risalenti al 13 e al 22 maggio 1468, risulta chiaro che il barone Onofrio Graffeo, feudatario di Partanna, sequestrò dalla locale bottega del L. due figure di marmo alabastrino e i suoi attrezzi, per costringerlo ad andare a lavorare per lui a Partanna (ibid., pp. 83, 396 s., docc. VIII-IX). Secondo un terzo documento, datato 28 sett. 1471, il L. da Palermo mandò un procuratore a Sciacca per riscuotere una rata del pagamento per la Tomba di Giovanni Amato fatta da lui in quella città (ibid., pp. 398 s., doc. XII). È pressoché impossibile però collegare le opere esistenti a Sciacca e a Partanna con i documenti menzionati. Nella ricerca di opere autografe del maestro in questa parte della Sicilia sono state attribuite al L. varie Madonne (per esempio, Castelvetrano, Museo civico; Salemi, Museo civico; Caltabellotta, S. Agostino; Partanna, Istituto Renda), un fonte battesimale nella chiesa madre a Partanna, lo scudo della famiglia Graffeo nella stessa città e il portale laterale della chiesa di S. Margherita a Sciacca: proposte che però sono state respinte da Kruft (1995, pp. 84-92) con l'unica eccezione della figura della S. Maddalena nel portale di S. Margherita; ma anche questa, per la sua mediocre qualità, potrebbe essere un lavoro della bottega oppure di qualche seguace. Secondo Kruft (1995, pp. 92, 94 s., 380) il L. potrebbe essere stato chiamato a Partanna per scolpire la Tomba di Eleonora d'Aragona, morta nel 1405 e sepolta nel convento di S. Maria del Bosco di Calatamauro. Il busto femminile, adesso nella Galleria regionale della Sicilia a Palermo, fino alla fine dell'Ottocento era posto sulla tomba d'Eleonora. Il ritratto è stato identificato anche con Isabella d'Aragona (Valentiner, 1942, pp. 293 s.) e Beatrice d'Aragona (Rolfs, 1907, pp. 343-345) e datato in diversi periodi della carriera del maestro; ma la datazione nei tardi anni Sessanta sembra la più plausibile (Kruft, 1995, p. 380; Damianaki, 2000, pp. 51-55).
Tra i busti assegnati al L., si trovano a Parigi altri due esemplari molto simili a quello palermitano. Quello nel Museo del Louvre, documentato per la prima volta nel 1818 a Versailles, per Kruft (1995, pp. 153-156, 380 s.) appartiene al soggiorno napoletano della metà degli anni Settanta; mentre Damianaki (2000, pp. 92-96) pensa che per qualità e stile potrebbe essere opera di Tommaso Malvito intorno al 1500. La prima notizia sul secondo busto, al Museé Jacquemart-André, risale al 1883, quando il collezionista fiorentino Stefano Bardini lo comprò a Napoli. Per la sua esecuzione meno raffinata è stato datato da Kruft (1995, pp. 153-156, 381) negli anni Ottanta. Dubbi sull'autografia del L. furono però espressi già da Burger (1907, p. 118) e dallo stesso Kruft (1970, p. 164); e anche secondo Damianaki (2000, pp. 111-113) si tratta di una copia ottocentesca del busto del Louvre.
Il soggiorno a Sciacca e Partanna durò ben poco; e il 2 giugno 1468 il L. firmò insieme con Pietro de Bonitate il contratto per la decorazione scultorea della cappella di Antonio Mastrantonio in S. Francesco d'Assisi a Palermo (Kruft, 1995, pp. 397 s., doc. X).
In un anno e mezzo i due scultori avrebbero dovuto eseguire la facciata della cappella secondo il disegno, da loro presentato a Mastrantonio, nonché il pavimento con le scale, il sepolcro con la lastra tombale, una tomba sopra le colonne, un altare sopra quattro colonne e una Madonna. Alcuni pezzi citati nell'inventario della cappella, menzionati ancora nella descrizione di quest'ultima di Antonio Mongitore (1663-1743), come le tombe, una figura giacente, l'altare e l'iscrizione davanti all'altare, disperse già nell'Ottocento, forse in seguito al terremoto del 1823; la facciata dopo la seconda guerra mondiale fu riadattata in base a quella della cappella contigua (Kruft, 1995, pp. 98-100, 379). Fra gli studiosi non si è ancora raggiunto alcun consenso sulla divisione della decorazione scultorea tra i due maestri. Dato che Pietro de Bonitate nel contratto è citato per primo si potrebbe pensare che ebbe il ruolo di capomastro. Di solito al L. sono attribuiti il putto, i Ss. Gerolamo e Gregorio e S. Geremia sul pilastro sinistro e S. Luca sul pilastro destro (ibid., pp. 102 s., 379). Tuttavia il disegno e l'esecuzione della facciata non sono confrontabili con l'opera documentata di Pietro de Bonitate, cioè con il portale del duomo di Messina, e, in più, rivelano alcuni elementi fiorentini, non ravvisabili neanche nelle opere documentate del Laurana. La Madonna nella cappella Mastrantonio è una copia di quella documentata del L. nel duomo di Palermo, e opera probabilmente di Pietro de Bonitate (ibid., p. 104; Patera, 1989, p. 23). Durante i lavori per la cappella Mastrantonio i due maestri s'impegnarono in altre imprese. Pietro de Bonitate il 31 ott. 1468 firmò il contratto per il portale del duomo di Messina, promettendo di scolpirlo in due anni a Palermo e poi di mandarlo a destinazione (Kruft, 1995, p. 102); il L. invece nel 1469 scolpì una Madonna per la chiesa madre di Erice simile a quella trecentesca venerata a Trapani. La Madonna del L. fu però sequestrata dai reggitori della città di Palermo e rimase nel duomo palermitano. L'arciprete della chiesa madre di Erice fu costretto a ordinare al L., il 16 ag. 1469, un'altra replica della statua trecentesca; ma questa volta il committente si cautelò e impose all'artista di trasportare la statua non finita a Erice per terminarla sul posto (ibid., pp. 104-106, 378 s.). Paragonando l'opera certa lasciata dal L. nel duomo palermitano con quella nella chiesa madre di Erice, in cui solitamente si riconosce l'esito della promessa contrattuale fatta dallo scultore al prelato il 25 marzo 1470, emerge una differenza stilistica sostanziale, tanto che non si fatica a ravvisare nella seconda la mano di Domenico Gaggini. Ma a Erice, nella chiesa di S. Giovanni esiste un'altra Madonna lauranesca, purtroppo mutila, che potrebbe essere almeno opera della bottega del L. (Accascina, 1970, pp. 259-262). Nei tardi anni Sessanta si può datare anche una lastra tombale, ora al Museo diocesano di Palermo, in cui è rappresentata una figura di giovane, che potrebbe corrispondere a quella descritta da Mongitore. Dato che la provenienza della lastra è incerta - secondo la tradizione locale potrebbe pervenire dalla distrutta chiesa dei Ss. Giovanni e Giacomo a Porta Carini a Palermo forse proveniente dalla chiesa di S. Giacomo la Mazzara - è comunque difficile collegarla con il monumento della cappella Mastrantonio disperso probabilmente sin dall'Ottocento, anche se per lo stile la figura è effettivamente confrontabile con le opere del L. (Bernini, 1966, pp. 155 s.; Accascina, 1970, p. 295; Kruft, 1995, p. 110). Middeldorf e Kruft (1971) hanno attribuito al L. tre busti maschili, secondo loro riconducibili a questo periodo siciliano: quello di Ferdinando il Cattolico (Berlino, Staatliche Museen), di Antonio Barresi proveniente dal castello di Pietraperzia (già in Inghilterra, collezione privata, ora a Zagabria, Hrvatski restauratorski zavod [Istituto croato del restauro]: si veda P. Marković, in La Renaissance en Croatie, pp. 254 s.) e di Un giovane (Stoccolma, Museo nazionale). Anche nella successiva monografia di Kruft (1995, pp. 106-109, 370 s., 377, 382 s.) figurano ancora come opera del L. sebbene la critica avesse già più volte espresso dubbi su tali proposte attributive (per esempio, Hersey, 1973, p. 77; Patera, 1992, p. 101 n. 195). È frequente il riferimento al L. di opere, commissionate da Pietro Speciale, che secondo Kruft (1995, p. 111) fu un committente fedele di Domenico Gaggini: fra queste la figura giacente di Antonio Speciale nella chiesa di S. Francesco d'Assisi è opera documentata di Gaggini (Kruft, 1972, pp. 78, 249 s.); il Busto di Pietro Speciale, già nel palazzo Speciale-Raffadali, ora in deposito presso il Museo regionale di Palazzo Mirto a Palermo, con una ghirlanda d'alloro, per ragioni stilistiche viene assegnato sempre a Gaggini (ibid., p. 252; Caglioti, 1998, p. 88 n. 20). Il Busto di giovinetto nella Galleria regionale della Sicilia a Palermo, invece, è stato variamente attribuito al L. (Hersey, 1973, pp. 76 s.; Patera, 1992, pp. 56, 58), a Gaggini (identificandolo con uno dei busti ordinati da Pietro Speciale per la cappella in S. Francesco d'Assisi: Kruft, 1972, p. 253) nonché a Pietro de Bonitate (Accascina, 1970, p. 294).
Fatta eccezione per le medaglie scolpite in Francia, l'unica opera firmata e datata del maestro è la Madonna col Bambino detta Madonna della Neve nella chiesa del Crocifisso a Noto. Sul bordo superiore della base reca l'iscrizione "Franciscus Laurana me fecit 1471", al centro della stessa si trova il rilievo della Natività, negli sguanci l'Annunciazione e la Presentazione al Tempio e, ai lati, due angeli reggistemma con lo scudo di Noto, elemento questo che fa pensare a una commissione della città. Questa statua potrebbe comunque essere stata realizzata nella bottega palermitana, poiché il 28 sett. 1471 il L. è ancora documentato a Palermo (Patera, 1997, p. 30: si veda anche Kruft, 1995, pp. 112, 377 s., 398 s., doc. XII). Secondo Patera (1989, p. 22) anche la Madonna della Grazia nella chiesa dell'Immacolata a Palazzolo Acreide fu eseguita a Palermo subito dopo la Madonna della Neve.
La scultura, che sulla base porta l'iscrizione "Sancta Maria dela Gratia de Palazu", il rilievo con la Dormitio Virginis, lo scudo degli Alagona e un altro, ancora non identificato, con un leone, è stata probabilmente commissionata dalla famiglia Alagona per la chiesa di S. Maria della Grazia e dopo la distruzione di quest'ultima spostata nella collocazione attuale (Kruft, 1995, pp. 113 s., 378). L'autografia del L. per la Madonna col Bambino del Museo regionale di Messina, proveniente dalla chiesa di S. Agostino, è stata messa in dubbio; e la statua è ormai quasi concordemente attribuita a Pietro de Bonitate (ibid., pp. 114 s.). Anche le attribuzioni delle altre opere del Museo regionale di Messina al L. sono state respinte da Kruft (ibid.).
Alcuni studiosi individuano nei lavori di questo periodo un cambiamento stilistico del L., soprattutto riguardo alle fattezze del volto, che per la sua forma ovale e la stilizzazione farebbe pensare alle opere di Antonello da Messina.
Questo confronto è stato per la prima volta avanzato da Berenson nel 1913. In seguito è stato piuttosto presupposto l'influsso del L. su Antonello (A. Venturi, 1917, pp. 275 s.; Bottari, 1939, pp. 55-57); poi le analogie formali tra le opere dei due artisti sono state spiegate "sul piano della similarità di talune esperienze" (Bottari, 1949, p. 330). A partire dal saggio di D'Elia (1959, pp. 14 s.) si proponeva l'esistenza di influssi antonelleschi sulle ultime opere del periodo siciliano dello scultore - qualche volta basandosi però su opere la cui attribuzione al L. è stata poi contestata (Patera, 1965, pp. 529, 531, 539 s.; Kruft, 1995, pp. 96 s.) - ma è stata anche ipotizzata ovviamente una reciproca influenza tra lo scultore e il pittore (Damianaki, 2000, p. 21).
Successivamente il L. è documentato a Napoli il 26 marzo 1474, quando dalla Tesoreria aragonese ricevette il pagamento per la Madonna col Bambino, posta il 20 apr. 1474 dal maestro Matteo Forcimanya nella nicchia sopra il portale della cappella palatina in Castelnuovo (Kruft, 1995, pp. 120, 374, 399, doc. XIII).
Purtroppo la scultura essendo molto rovinata non può offrire significativi confronti con altre opere attribuite al Laurana. Una di queste è la Madonna col Bambino, datata tra 1472 e 1474, nel Museo nazionale di Capodimonte, proveniente dalla chiesa S. Maria Materdomini. L'attribuzione al L. proposta da Causa (1954, p. 18) è stata accettata dalla maggior parte degli studiosi (Kruft, 1995, pp. 122 s.) anche se secondo Damianaki (2000, p. 23) si tratta piuttosto di un'opera di bottega. Nel periodo tra l'esecuzione della Madonna di Palazzolo Acreide e di quella della cappella palatina napoletana alcuni studiosi collocano un viaggio del L. in Puglia (per esempio, Abbate, 1998, pp. 215 s.), dove a lui spetterebbe il busto di Francesco Del Balzo, duca di Andria, collocato nella chiesa di S. Domenico di quella città, del quale però l'attribuzione a Domenico Gaggini è più probabile (Kruft, 1995, p. 125). La seconda opera, attribuita al L. in Puglia, è il bassorilievo della Madonna col Bambino nella lunetta del portale della chiesa madre a Santeramo in Colle, che però secondo Kruft (ibid., pp. 124, 381 s.) potrebbe essere stato scolpito a Napoli, trasportato in Puglia e lì posto in opera da un aiuto lombardo che avrebbe aggiunto anche elementi decorativi.
Nella prima metà degli anni Settanta per ragioni non solo stilistiche è datata anche la maggioranza dei ritratti del L., dei quali il busto femminile del Kunsthistorisches Museum di Vienna è sicuramente l'esemplare meglio conservato.
Si è infatti mantenuta - almeno in parte - la policromia del vestito, dei capelli e dei particolari del volto, oltre alle applicazioni di cera sulla rete che orna l'acconciatura. Per il ritratto sono state proposte varie identificazioni con personaggi della casa d'Aragona, di recente con Eleonora (Damianaki, 2000, pp. 66-76). Ma si è anche proposto il nome di Ippolita Maria Sforza (Kruft, 1995, pp. 139 s., 384 s.) oppure quello della Laura petrarchesca (Götz-Mohr, 1993; Prijatelj Pavičić, 2003). La datazione dipende naturalmente, nella maggior parte dei casi, dall'identificazione: per esempio, nel caso di Eleonora l'esecuzione del busto è stata collegata con il suo matrimonio con Ercole I d'Este che si celebrò nel 1473; mentre Kruft considerando l'età di Ippolita Maria Sforza colloca l'opera negli anni 1474-75; Götz-Mohr (1993, p. 168), invece, suggerisce per ragioni stilistiche una data compresa negli anni 1472-74.
Uno dei busti femminili del L., alla Frick Collection di New York, reca sul petto l'iscrizione "Diva Beatrix Aragonia" che ne suggella inequivocabilmente l'identificazione.
Il busto potrebbe essere stato commissionato per il fidanzamento di Beatrice con Mattia Corvino nel 1474. Esso è menzionato per la prima volta nel 1871, quando fu acquistato da Gustave Dreyfus (Kruft, 1995, pp. 126-128, 376 s.). Secondo Damianaki (2000, p. 27) anche questo busto avrebbe avuto in origine un ornato molto simile a quello dell'esemplare viennese.
L'altro celebre busto su cui è iscritto il nome della donna ritratta "Diva Baptista Sfortia Urb. R(e)g." si trova nel Museo nazionale del Bargello a Firenze. Battista Sforza morì nel 1472; e si è ipotizzato che il ritratto venne eseguito a Napoli oppure ad Urbino dopo la sua morte utilizzando la maschera funeraria (Kruft, 1995, pp. 128-131, 371; Damianaki, 2000, pp. 27, 55-65). Il presunto soggiorno in quest'ultima città si collocherebbe dopo l'esecuzione della Madonna col Bambino per la cappella palatina a Napoli e prima del 6 febbr. 1475, quando il L. è di nuovo documentato in Provenza.
Si sa che il L. sposò la figlia del pittore Gentile il Vecchio, che tra 1456 e 1479 abitava a Marsiglia e che Maragda, figlia del L., nel 1477 sposò il pittore Jean de la Barre, residente ad Avignone. Si può dunque supporre che il L. fosse tornato in Francia anche per motivi di famiglia; inoltre Renato d'Angiò nel 1475 gli fece avere una rendita annuale di 200 fiorini (Kruft, 1995, pp. 166, 399, doc. XIV). Come primo impegno su grande scala del L. di solito viene citata la Tomba di Carlo d'Angiò, fratello di Renato, morto nel 1472, nella cattedrale di Le Mans (Ciaccio Motta, 1908, pp. 410, 412). Soltanto il sarcofago con la figura del defunto tuttavia è databile nel Quattrocento; e comunque sembrerebbe un'opera riferibile piuttosto alla bottega (Kruft, 1995, pp. 167-169, 371 s.).
Il 6 ott. 1477 il L. fu pagato da Renato per il trasporto di certe "immagini" da Avignone a Tarascona (ibid., pp. 400 s., doc. XXII). Dato che dal documento risulta chiaro che il L. nel 1477 eseguì alcuni lavori per Tarascona, secondo Kruft sarebbe possibile attribuirgli il Monumento di Giovanni Cossa, morto nel 1476, collocato nell'antica cripta della chiesa di S. Marta. Il monumento è molto rovinato; ma le parti più leggibili rivelano un livello qualitativo non molto alto (ibid., pp. 169-171). Nella stessa chiesa si trova anche l'antico Sepolcro di s. Marta, ora tutto frammentario e mal conservato, attribuito al L. da Ciaccio Motta (1908, p. 413). Sembrerebbe tuttavia più condivisibile l'opinione di Kruft (1995, pp. 172 s.) che lo ritiene un'opera eseguita più tardi sotto l'influsso del Laurana. Anche la S. Anna Metterza datata 1476 nella chiesa parrocchiale a Les Pennes-Mirabeau (ibid., pp. 173 s.) e una Giovane santa nel palazzo dei papi ad Avignone (Mognetti, 2003, pp. 22 s.) potrebbero spettare alla bottega del Laurana. Previtali (1987, p. 19) gli ha inoltre attribuito la testa del Bambino, aggiunta a una Madonna trecentesca nel Musée du Château-Comtal a Carcassonne. Il L. fu anche pagato il 18 giugno 1477 "pro cisura et intalhatura unius magni lapidis" sulla facciata del palazzo comunale di Avignone (Kruft, 1995, p. 400, doc. XVIII). È piuttosto recente la proposta di attribuire al L. una figura di S. Quirico a mezzo busto, ora nel J. Paul Getty Museum di Malibu, che secondo Fusco (1996, pp. 8-16), per la base ovale che forma un tutt'uno con la figura e per la superficie del marmo nonché il modellato del vestito, spetterebbe al L. e potrebbe essere datata negli anni Settanta del Quattrocento, verosimilmente dopo il 1475.
Probabilmente nel 1478 lo scultore cominciò a lavorare al rilievo dell'Ascesa al Calvario per l'altar maggiore della chiesa dei celestini ad Avignone, ora collocato nella chiesa di St-Didier nella stessa città (l'originale dello scudo di Renato d'Angiò e Giovanna di Laval si trova al Louvre).
Nel marzo di quello stesso anno il L. fece visita a Renato e gli mostrò "certains ouvraiges d'ymaigerie en painture" (Kruft, 1995, pp. 369, 401, doc. XXIV): cioè forse un disegno della pala con le indicazioni dei colori. Dal 28 giugno 1478 fino al 7 maggio 1479 sono documentati vari pagamenti al L. (ibid., pp. 401 s., docc. XXVI-XXXI). In questo periodo potrebbero essere stati portati a compimento tutti i lavori relativi alle sculture, perché i documenti posteriori (fino al 1481) si riferiscono alla messa in opera e alla parte lignea dell'altare (ibid., pp. 402-404, docc. XXXIII-XXXVI, XL). Secondo Kruft (ibid., pp. 180 s.) spetta al L. soltanto la testa del Cristo nella parte sinistra del rilievo con le figure dei soldati; mentre nella parte destra con le donne che accompagnano la Madonna, gli si possono attribuire alcuni dei volti delle accompagnatrici. Le altre parti furono eseguite da maestranze locali.
La cappella di S. Lazzaro nella cattedrale vecchia di Marsiglia è ricordata per la prima volta il 4 genn. 1479, quando Tommaso Malvito, che in un contratto per la vendita di un terreno appare come testimone, fu nominato "sculptor lapidum operis capelle beati Lazari" (Kruft, 1995, p. 188). Il L. è menzionato solo nell'ultimo documento riguardante la cappella (14 maggio 1483), dal quale si deduce che i lavori erano già finiti e che egli aveva firmato prima un contratto con il committente e poi un altro con Tommaso Malvito.
La cappella, che in due luoghi porta la data 1481, è nota agli studi anche come la prima opera di architettura italiana in territorio francese. La decorazione scultorea non è però attribuibile al L., ma a Malvito (S. Lazzaro sul trono, le figure sopra gli archi, alcune forse su un disegno del L.) e ad altri collaboratori (colonne e pilastri: ibid., pp. 194-203).
La cappella di S. Lazzaro è comunque l'ultima opera per cui è documentato il nome del Laurana. Negli anni seguenti nelle fonti d'archivio si trovano soltanto notizie riguardanti la vita privata dello scultore. In assenza delle testimonianze d'archivio tra 1484 e 1492 nonché tra 1493 e 1498 alcuni studiosi hanno suggerito l'ipotesi di un ritorno del L. a Napoli e in Sicilia, dove gli hanno attribuito alcune opere, come per esempio la Lastra tombale di Cecilia Aprile, morta nel 1495, ora nella Galleria regionale della Sicilia a Palermo. Dato che la maggioranza di queste opere secondo studi recenti non spetta al L., e che non si hanno notizie documentarie sul suo soggiorno in Italia meridionale, rimane più probabile che egli negli ultimi venti anni della sua vita sia rimasto in Francia insieme con la famiglia (ibid., pp. 118 s., 203-205; Damianaki, 2000, p. 28) e forse dopo gli impegni a Marsiglia tornò ad Avignone per vivere nella casa della figlia Maragda e del genero Jean de la Barre.
A questi ultimi anni si data un gruppo di busti, fra loro assai simili, conservati nella Frick Collection di New York, nella National Gallery di Washington e negli Staatliche Museen di Berlino, nonché le maschere femminili, conservate in Francia (Aix-en-Provence, Bourges, Chambéry, Puy-en-Velay, Villeneuve-lès-Avignon; una perduta, già a Carpentras), a Berlino, Milano, Torino e New York (Kruft, 1995, pp. 159-165, 386-389). Secondo Damianaki (2000, pp. 188-196) le ultime quattro e quella di Chambéry, tutte apparse sul mercato nel tardo Ottocento oppure all'inizio del Novecento, non sarebbero originali. Il busto della Frick Collection fu trovato nel Settecento nel porto di Marsiglia, il busto berlinese fu comprato nel 1877 da Wilhelm von Bode in palazzo Strozzi a Firenze, mentre il terzo busto simile nella Mellon Collection della National Gallery di Washington apparve per la prima volta nel 1884, quando Stefano Bardini lo comprò a Napoli. Secondo Kruft (1995, pp. 141-153, 370, 376, 383 s.) si tratta delle tre varianti del Ritratto di Isabella d'Aragona, sposa di Gian Galeazzo Maria Sforza nel 1488, che il L. eseguì a Milano tra 1490 e 1492. Dato che i rilievi della base sono diversi fra di loro, i tre busti sarebbero originali. Secondo Damianaki (2000, pp. 28, 101-111), invece, il busto berlinese e il busto della Mellon Collection sarebbero copie ottocentesche. Recentemente Gentilini (1997, pp. 55-60) ha ricondotto all'opera del L. la Testa di un giovanesanto in terracotta (frammento di statua), la Testa femminile, che probabilmente raffigura una Madonna, oggi a L'Aquila nel Museo nazionale, e una Testa femminile appartenente a una collezione privata di Mongardino d'Asti, proposte che Damianaki (2000, pp. 5 s.) non ha tuttavia accolto.
L'ultima attestazione che documenta il L. ancora in vita risale al 10 nov. 1500 (Kruft, 1995, p. 408, doc. LIV). Probabilmente lo scultore morì in Provenza all'inizio del 1502, poiché il 14 marzo di quell'anno il debito contratto nel 1498 con il genero Jean de la Barre fu cancellato (ibid., pp. 205, 405 s., doc. XLIX) e il 28 aprile la figlia Maragda ottenne il patronato di una cappella con il permesso di usarla per la sepoltura nella chiesa agostiniana di Avignone (ibid., pp. 408 s., doc. LV).
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