LAURANA (o Azzara o da Zara), Francesco
Scultore, architetto, medaglista, originario di Vrana presso Zara. Sono ignoti l'anno di nascita, il suo maestro, le sue vicende finché compare (1458) a lavorare a Napoli in Castel Nuovo, all'arco trionfale d'Alfonso d'Aragona.
Escluso di recente ogni suo lavoro giovanile nel Palazzo ducale d'Urbino, solo l'arco di Napoli potrebbe fornirci indizî sulla formazione di lui: ma finora non si è riusciti a distinguere bene la parte del L. scultore da quella dei molti collaboratori, anche se la critica moderna lo ritenga, con Pietro Summonte, ideatore di tutta l'opera. Si valse, nell'architettarla, dei modi di Leon Battista Alberti. Nella plastica, v'improntò dappertutto il suo armonico senso del volume, più chiaro in certe parti, velato in altre dalla diversità della mano esecutrice. Preferì perciò l'altorilievo anche se in certi riquadri ricordi vagamente quelli a "schiacciato" di Donatello a Padova. Vide a Firenze la cantoria di Luca della Robbia, o, a Roma, rilievi d'età augustea? È pura ipotesi, ma suggerita da analogie evidenti.
Nelle medaglie eseguite tra il 1461 e il 1466 in Francia, alla corte di Renato d'Angiò, imita, ma mostrando assai meno sensibilità pittorica, il Pisanello. In Sicilia, dove poi lavorò, innalza, con Pietro di Bontate, a Palermo, in S. Francesco, la facciata della cappella Mastrantonio (1468-69), ricercando, nei riquadri a bassorilievo degli stipiti, unità luminosa in modi che ricordano vagamente l'arte fiorentina. Frutto di questa esperienza si ha nelle opere seguenti, più che nella Madonna, eseguita per Monte di San Giuliano e poi, sino a oggi, custodita nel Duomo di Palermo, certo nella Madonna di Noto (1471) di gran lunga più bella. Il L. comprende ora come la luce possa permeare i piani del rilievo: nel busto creduto di Eleonora d'Aragona nel museo di Palermo, infonde per essa intensificata vita alla geometria della forma, creando il suo capolavoro. Molte Madonne, in Sicilia, rivelano il suo influsso o direttamente o attraverso i Gagini, spesso suoi collaboratori.
A Napoli, nel 1474, forse lasciò a un aiuto l'esecuzione della Madonna all'esterno della Cappella in Castel Nuovo, che i documenti gli riferiscono. Sua è invece una serie di busti, forse ritratti di Beatrice d'Aragona, poi regina d'Ungheria, certo lavorati a Napoli in questi anni, oggi sparsi in varie collezioni. In tutti, specie nel migliore (Berlino, Kaiser-Friedrich-Museum), di nuovo rifiuta, a vantaggio di una più rigida stilizzazione formale, la sottile vibrazione luminosa di quello di Palermo. Lievi ornati, talvolta la policromia (Vienna) avvivano appena queste immagini assorte, quasi estranee alla vita. Si giunge alla glaciale immobilità del busto di Battista Sforza (Firenze, Bargello), forse tratto da maschera funebre. A questo momento vanno riferite, oltre al busto di Francesco del Balzo (Andria, San Domenico), e altre opere poco certe, anche le immobili maschere di marmo, forse destinate a sepolcri, sparse in varî musei, di Berlino, e della Francia meridionale, donde quasi tutte provengono. Il L. visse in Francia i suoi ultimi anni. La sua arte parve ritornare gotica aderendo alle stilizzazioni della plastica francese. Lo mostrano le statue di santi condotte, con aiuti, nella cappella di S. Lazzaro, nel duomo vecchio di Marsiglia (1477-81), ancora albertiana nell'architettura che forse il collaboratore lombardo Tommaso Malvito male rivestì di triti ornati. Così nell'Andata al Calvario oggi in San Didier ad Avignone (1479-81), dossale d'un altare oggi perduto, il L. stesso, autore forse soltanto della patetica testa del Cristo e di alcune donne a destra, dall'esempio della scultura lignea francese è spinto per la prima volte a ricerche di movimento drammatico senza riuscire a uniformare a questo tono spirituale tutta la narrazione. Altre opere gli si attribuiscono in Francia, dove i documenti lo ricordano fino al 1500.
V. tav. LXXV.
Bibl.: F. Burger, F. L., Strasburgo 1907; W. Rolfs, F. L., Berlino 1907; F. Schottmüller, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXII, Lipsia 1928 (con la bibl. preced.); G. de Francovich, in Boll. d'arte, n. s., VIII (1928-29), p. 481 segg.; M. Accàscina, ibid., IX (1929-30), pp. 397-400; E. Brunelli, in L'Arte, XXXIII (1930), p. 373; G. F. Hill, A corpus of Italian medals of the Renaissance, Londra 1930; R. Filangieri di Candida, L'arco di Alfonso d'Aragona, in Dedalo, XII (1932), pp. 439-66, 594-626; C. Kennedy, in Mitt. d. kunsth. Inst. in Florenz, 1932, p. 25; P. Bucarelli, Questioni lauranesche, in Boll. d'arte, 1932, pp. 90-95; L. Planiscig, Ein Entwurf für den Triumphbongen, ecc., in Jahrb. d. preuss. Kunst, LIV (1933), pp. 16-28.