LONDONIO, Francesco
Nacque a Milano, nella parrocchia di S. Alessandro in Zebedia, il 7 ott. 1723, da Antonio e Teresa Lesma, quartogenito di sette figli.
Fu allievo del milanese Ferdinando Porta; al periodo dell'apprendistato dovrebbe risalire il viaggio a Parma dove il L. si sarebbe recato per studiare Antonio Allegri, detto il Correggio (Basan; Crescini - Franchetti), instaurando sin dalla giovinezza un rapporto privilegiato con la città emiliana. Le fonti, tuttavia, lasciano in ombra le ragioni della svolta dell'artista, che passò dalla pittura di storia, appresa dal suo maestro, al genere animalista e pastorale, riformulato però secondo una concezione capace di corrispondere alle istanze più avanzate della cultura milanese del secondo Settecento.
Tra le fonti plausibili del L. vanno citati gli incisori olandesi N. Berchem, A. van de Velde e P. Potter; i pittori olandesi P. van Laer detto il Bamboccio e W. Romeyn; l'incisore tedesco J.H. Ross e soprattutto il figlio pittore P.P. Roos detto Rosa da Tivoli. Oltre ai nordici, ebbero un peso nella formazione del suo stile G.B. Castiglione (il Grechetto), per gli animali, e G. Ceruti per le figure, pur toccate dall'agile grazia barocchetta di Porta.
La conversione alla pittura di genere del L. avvenne presumibilmente nel quinto decennio del Settecento in Lombardia, a Milano o a Cremona, dove la famiglia Londonio si era trasferita prima del 1742. Più di uno stimolo poteva venirgli dalla milanese galleria della Porta, già Parravicini, specializzata nella pittura di genere nordico-romana e ricca di bambocciate di Laer con cavalli o armenti.
Risale solo al 1753 la prima opera certa del pittore, un inedito disegno dal vero con Un toro e una mucca in riposo (Milano, Biblioteca Ambrosiana, F.267 inf., n. 28); mentre è del 1756 il primo dipinto firmato, un Mercato di bestiame di collezione privata milanese (Böhm, p. 236, fig. 3), che denuncia con chiarezza le fonti olandesi dell'artista. Non si hanno termini di confronto sicuri per valutare la produzione degli anni Cinquanta, se si eccettua la serie di acqueforti del 1758-59 con cui l'artista esordì come incisore (Scola, nn. 1-17), dove l'ottica ravvicinata delle figure isolate e l'intonazione patetica dei pastori bambini palesano il forte ascendente di Ceruti.
Il L. apprese la tecnica dell'acquaforte dall'incisore lombardo Benigno Bossi (Basan), come attestano due incisioni eseguite dal maestro su disegno del L. nel 1759 (Scola, p. 126, nn. I-II e fig. 14a). L'apprendistato dovette aver luogo a Milano nel 1758, quando il L. data le sue prime lastre e quando Bossi, fuggito nel 1757 dalla Germania in guerra, è attestato nella capitale lombarda prima di trasferirsi a Parma (1759).
L'opera incisa del L., oggetto di un recente catalogo ragionato a cura di Scola, risulta composta complessivamente da 103 acqueforti suddivise in 10 serie, tratte da disegni e talvolta da dipinti tutti di mano dell'artista. L'ultima delle numerose tirature venne eseguita a Parma nel 1837, per iniziativa dei mercanti editori D. Crescini e A. Franchetti, che avevano acquistato da una nipote del pittore le lastre di rame incise (oggi in gran parte conservate nella Calcografia nazionale di Roma) e la prima prova delle incisioni, impresse in carta azzurra e lumeggiate a biacca dall'artista stesso.
Al settimo decennio, il più fecondo e il meglio documentato della carriera del L., risalgono i due cicli di tele per i Grianta e gli Alari, che si intercalano ai soggiorni di studio a Roma (1763) e Napoli (1763-64), seguiti da una probabile tappa a Genova cui accenna Basan, fondamentali per l'assestamento del linguaggio dell'artista.
Le date esatte del viaggio in Italia centromeridionale si deducono da un gruppo di incisioni datate rispettivamente "Roma 1763", "Napoli 1763" e "Napoli 1764", ma anche da una decina di disegni dal vero della costiera napoletana datati tra l'ottobre e il novembre 1763 e conservati a Milano nella Biblioteca Ambrosiana (F.267 inf., nn. 81, 83, 85-89 e F 278 inf., n. 115). Si tratta di pittoreschi scorci marini della scogliera di Posillipo e paesaggi con ruderi romani invasi dalla vegetazione, tra i quali spicca la mitica tomba di Virgilio (F 267 inf., n. 81, datata "26 Ot.e Napoli 1763"), riconoscibile per l'epitaffio cinquecentesco latino trascritto in calce dal pittore. Sono appunti di viaggio che rivelano nel L. una sensibilità tra neoclassica e preromantica, stimolata dall'ambiente aggiornato e cosmopolita delle due capitali, mete predilette del grand tour. Non a caso egli dedicò ai suoi estimatori inglesi le due serie di acqueforti eseguite a Roma e Napoli (Scola, nn. 34-46, 53-64). Le composizioni si sono fatte complesse e articolate, mentre le figure lasciano spazio a un paesaggio più mediterraneo, arricchito di archi e rovine e punteggiato di pini marittimi. La medesima tendenza si avverte anche nei due dipinti datati "Roma 1763", i Due pastori con pecore e asini del Castello Sforzesco (Coppa, 2000, n. 910) e il Ragazzo in groppa a un asino con gregge (Catalogo Finarte, Milano 31 maggio 1966, lotto n. 6: Scola, p. 75).
Verso il 1762-63 il L. realizzò la decorazione di una sala del palazzo Grianta a Milano, tappezzata da un complesso di 21 dipinti a soggetto pastorale variati per formato e dimensioni sino a grandezze da arazzo, oggi parzialmente conservati alla Pinacoteca di Brera.
Cade negli stessi anni l'imponente ciclo di 24 tele di soggetto pastorale e agreste destinato alla villa Alari (poi Visconti di Saliceto) a Cernusco sul Naviglio (Milano), scalabile tra il 1762 e il 1766, come indicano le date dei dipinti maggiori (Coppa, 1984; Geddo, 1998, nn. 1-8). Il committente, conte Francesco Giacinto Alari, nel 1778 interverrà come padrino al battesimo del figlio del L. Giacinto Natale Baldassarre. Il complesso, smembrato e disperso tra varie collezioni private dopo il 1944, ma parzialmente ricostituito in un'esposizione recente (Milano, galleria Piva, 1998), decorava la sala da pranzo e una sala attigua della villa, assemblando 7 dipinti di dimensioni monumentali (di cui due riprodotti in incisione dallo stesso L.) e altri 17 minori, suddivisi in serie diverse per misure e formato. Al ciclo Alari si collegano quattro studi preparatori dell'Ambrosiana (F.278 inf., n. 4; Geddo, 1998, nn. 1, 5, 8).
Alla prima metà degli anni Sessanta sembra risalire anche buona parte dei numerosissimi studi preparatori a olio su carta destinati a più ampie composizioni (spesso siglati), modellati con pennellata morbida e vibrante e sbalzati da un vivace chiaroscuro. Ne risulta un copioso repertorio di singoli motivi, che il L. riutilizzava in composizioni sempre diverse anche a distanza di tempo.
La Pinacoteca di Brera ne conserva il corpus più cospicuo, costituito da 61 pezzi legati nel 1836 dal nipote del pittore Carlo Londonio, provenienti direttamente dalla bottega dell'avo. In questi bozzetti, valorizzati dalla mostra Brera mai vista… (Coppa - Geddo, 2002), le congiunture con Ceruti delle figure, già riscontrate nelle acqueforti giovanili, si intrecciano tanto alle scrupolose riprese dal vero di casolari lombardi (si veda il Fienile datato 1761: ibid., p. 16, fig. 28), quanto alle suggestioni di paesaggi con cascate e tronchi divelti che rielaborano fantasticamente spunti offerti dai disegni napoletani del 1763. Un analogo ma più ridotto corpus di studi (circa 35 pezzi) è quello donato da Angelo Bertarelli alla Pinacoteca Ambrosiana negli anni Trenta del Novecento (Böhm), di cui facevano parte il Cascinale e la Casa natale del Parini a Bosisio (Paredi - Dell'Acqua - Vitali, 1967, p. 515, figg. 182 s.), oggi introvabili. L'Ambrosiana conserva anche il più ingente fondo grafico del L. (circa 250 disegni, ora catalogati in rete da R.R. Coleman).
Ormai stabilmente attivo a Milano, l'8 sett. 1768 il L. si sposava in S. Lorenzo con una nipote orfana, Cecilia Biraschi. Dei sette figli avuti dalla moglie, cinque morirono in età infantile, mentre sopravvissero Antonio e Marianna. La fama ormai raggiunta dal L. nel genere pastorale è sancita da un elogio tributatogli dal poeta dialettale, l'accademico Trasformato Domenico Balestrieri (1772), che di lui possedeva "qualche quadro", al pari del collega Carlo Antonio Tanzi.
Negli anni Settanta la pittura del L., sostanzialmente priva di fasi evolutive dopo l'assestamento iniziale, non conobbe sviluppi di rilievo. Il pittore sembra anzi ripetere, in forma più blanda e priva dello smalto iniziale, formule già sperimentate nel decennio precedente; mentre la pennellata diviene più corsiva e nervosa. È quanto accade sia nella Vecchia contadina filatrice con bestiame del Castello Sforzesco, datata 1775 (Böhm, p. 249; Coppa, 2000, n. 914), sia nella coppia di tele con Vecchia con scaldino e pecore e Pastore con mandola e armenti già Piva, Milano, riferibili al 1772 (Geddo, 2000).
Risalgono, almeno in parte, a questa fase, altri importanti complessi di opere del L., come quelli realizzati per i Borromeo, i Greppi e i Mellerio.
La collezione Borromeo dell'Isola Bella possiede circa 40 dipinti del L. (Böhm), di cui almeno due commissionati dal cardinal Vitaliano Borromeo (Scola, nn. 76, 81), ma la maggior parte acquistati nei primi decenni dell'Ottocento dal conte Giberto Borromeo, che nel 1826 ottenne anche due volumi di incisioni dal figlio del L. Antonio (Isola Bella, Archivio Borromeo, Famiglia Borromeo, cart. 124).
Il conte Antonio Greppi, in contatto col pittore almeno dal 1775 quando era stato padrino al battesimo di Marianna, possedeva nel suo palazzo milanese di via S. Antonio 14 opere del L. (Bianchi): 2 studi a olio su carta, 8 dipinti "a lesena" (ossia bislunghi) e 4 Scene pastorali. Queste ultime coincidono probabilmente con quelle "stragrandi" offerte al collezionista da un mercante modenese nel 1777, le stesse segnalate presso i discendenti da Böhm (p. 251); ma Greppi accenna anche, nel 1780, a 5 paesaggi con pastori e bestiami del L., stimandoli tra le rare opere "d'eccellente Scola Italiana" della sua quadreria.
Per la villa del Gernetto di Lesmo (Milano) del conte Giacomo Mellerio, documentato in rapporto col pittore nel 1770 in veste di padrino del figlio Antonio, il L. realizzò svariate opere (elenchi in Böhm, pp. 252, 256), disperse sul mercato poco prima del 1972. Nella villa, poi passata in proprietà della Somaglia Patrizi, si trovavano infatti: una collezione di presepi, un ciclo inedito di 6 grandi tempere con figure isolate davanti a una quinta arborea, 3 delle quali riprodotte in incisioni datate tra il 1760 e il 1763, i 10 disegni originali (matita e biacca) e la relativa serie di 10 acqueforti dedicata al committente (Scola, nn. 66-75), databile con certezza post 1776.
Al di fuori della prediletta tematica pastorale, il L. coltivò anche, sia pure marginalmente, la natura morta e il ritratto.
Oltre agli inserti di nature morte in composizioni di soggetto agreste, oggetto di studi specifici, il L. dipinse anche, infatti, nature morte autonome, come quelle con Selvaggina in collezione Borromeo all'Isola Bella (Morandotti, p. 309, figg. 364 s.). Quanto ai ritratti, si conoscono l'inedito Ritratto del fratello prete Giuseppe (1710 - post 1801), già presso gli eredi Ferrari Scaravaglio (Böhm, p. 250), e tre ritratti dell'artista stesso, due dipinti e un disegno, variamente collegati tra loro. Il notissimo Autoritratto del Castello Sforzesco può essere ora anticipato al 1763 circa, poiché da esso deriva il disperso Autoritratto al cavalletto in miniatura inciso da Angelo Rossena (Geddo, 2002, p. 37, fig. 26) che riproduce un'incisione datata 1763 (Scola, n. 43). In diretto rapporto col ritratto del Castello è anche il disegno dell'Ambrosiana appartenente alla serie dei milanesi illustri commissionata dal canonico G.C. Agudio e tradizionalmente riferita a B. Bossi (Storia di Milano, XII, tav. f.t., pp. 709 s.); deve invece considerarsi più tardo l'Autoritratto a carboncino dell'Accademia Albertina di Vienna (Beschreibender Katalog…, n. 472, tav. 102; Storia di Milano, XII, tav. f.t., pp. 772 s.).
Il L. dovette avere inoltre un ruolo primario nel rinnovamento del presepe di carta dipinta e ritagliata applicata su cartoncino, in voga nella Lombardia del secondo Settecento (Madini, 1937).
Il L. potrebbe averlo rilanciato sullo stimolo della grande tradizione del presepe napoletano, quindi a ridosso del viaggio a Napoli del 1763-64. Fra i numerosi presepi di carta attribuiti al L. (ibid., pp. 102-104), devono essergli confermati quello, imponente, della chiesa di S. Marco a Milano, siglato dalle due pecore accucciate e da una qualità molto elevata; quello (in tre versioni) già custodito nella storica villa del Gernetto, insieme con una serie di 49 quadretti con Figurine da presepe assegnabili invece alla bottega (Storia di Milano, XII, figg. pp. 458, 819 s.); e quello in 28 pezzi passato sul mercato milanese (Asta di figure…, 1983, come del L.), ricco di motivi desunti dalle incisioni. Può essere inoltre riferito al L. il disegno delle Figurine da ritagliare per comporre un presepe incise da Gerolamo Cattaneo verso il 1770 e ristampate per tutto l'Ottocento dai Vallardi e da C. Battioli (Bertarelli - Monti, pp. 316 s., fig. 203), che testimonia la diffusione seriale e popolare del presepe londoniano.
Noto al folclore meneghino come arguto protagonista della spensierata società milanese dell'epoca, il L. fu inventore del teatro dei Foghetti e fondatore dell'allegra compagnia omonima, secondo un profilo delineato dallo scapigliato Giuseppe Rovani nel romanzo Cento anni (1868), a cui Madini (1934) ha dato spessore storico.
Il teatro dei Foghetti - attivo fino al 1848 circa e custodito ancora nel secolo scorso nella villa Antongini di Varese - era un ingegnoso teatrino ambulante, che preannunciava l'odierno cinema d'animazione. Il nome derivava dai fari del fondale, che illuminavano a intermittenza, tramite una grande ruota girevole, gli schermi intercambiabili del boccascena di carta trasparente forata a spillo e variamente frastagliata, dipinti con scene di svariato soggetto. Ne derivava una sequenza di immagini animate da un dinamico gioco di ombre e luci colorate, che veniva commentata dal L. nella burlesca "lingua d'i" (da un dialetto bustese con desinenze in "i"), nella quale sono scritti i titoli delle scene sugli schermi.
Il 12 nov. 1783, peggiorato di salute, il L. disponeva della propria eredità. Morì a Milano il 26 dic. 1783 e fu sepolto nella chiesa di S. Eufemia, sua parrocchia.
Una serie di acqueforti dell'artista con studi di animali fu pubblicata postuma dal principe Alberico Barbiano di Belgioioso d'Este (Scola, nn. 88-93), per il quale il L. aveva realizzato nel 1780 due disegni con le armi della famiglia, oggi al Castello Sforzesco (Böhm, p. 256).
Il L. non ebbe una scuola vera e propria; ma una schiera di imitatori e seguaci con i quali è stato talvolta confuso (non è sua, per esempio, la coppia di tele con Capretti a Brera: Coppa, 1989, nn. 145 s.). Tra i copisti più fedeli, Malvezzi ricorda il milanese Francesco Terreni, che fra l'altro dipinse "un gran Presepio" per i Cappuccini di Milano.
La pittura del L., oggetto di giudizi critici divergenti, supera i limiti della pastorelleria disimpegnata, agganciandosi invece all'aggiornato contesto culturale milanese sintonizzato fra l'Arcadia e l'Illuminismo, come conferma peraltro l'analisi della sua committenza.
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