LOREDAN, Francesco
Nacque, presumibilmente a Stra, presso Venezia, il 19 ott. 1656, primogenito del patrizio Leonardo di Francesco, del ramo di S. Vidal (o di S. Stefano), e di Alba Soranzo di Andrea, del prestigioso ramo detto del Tocco d'oro.
Da Leonardo e Alba, che celebrarono il loro matrimonio, il 5 febbr. 1655, nel monastero di S. Maria delle Vergini, nacquero altri tre maschi e sei femmine: Giovanni (1662-1725), Andrea (1664-1704) - l'unico che contrasse matrimonio, generando con Caterina di Antonio dei Grimani dei Servi numerosi figli, tra cui Francesco, eletto doge nel 1752 - e Girolamo. Le figlie, eccetto una che si fece monaca, si accasarono, riccamente dotate, con i rampolli di alcune delle famiglie più in vista: Francesca con Almorò Dolfin di Leonardo, Elisabetta con Antonio Da Mula di Andrea, Maria con Marino Zorzi di Marino, Maddalena con Antonio Giustinian di Girolamo (II) e Paolina con Domenico Zane di Alvise.
Il padre - che aveva svolto una carriera politica non eccezionale, ma aveva lasciato un considerevole patrimonio a lungo alimentato dalle entrate della commenda abbaziale della Vangadizza - venne a mancare nel 1674 cadendo da un ponte. Alla vedova toccò la responsabilità dei figli, alcuni dei quali giovanissimi. Anticipata l'entrata in Maggior Consiglio nel 1677, a ventun anni, grazie all'estrazione della balla d'oro, favorito dal prestigio familiare, il L. esordì in politica nel 1682 con l'elezione a savio agli Ordini, carica che reiterò nel primo semestre del 1683, per passare, lo stesso anno, provveditore sopra Offici.
Dopo l'elezione al magistrato dei Dodici offici nel marzo 1685, la carriera del L. fece un salto di qualità e nello stesso anno fu nella rosa dei candidati all'ambasciata di Francia in diverse tornate di scrutinio, entrando in novembre in Collegio con la nomina a savio di Terraferma, carica alla quale fu richiamato per dieci volte tra il 1685 e il 1696. Nominato, nel 1692, provveditore ai Lidi, nel 1696 fu prescelto savio cassier (marzo) e successivamente (dicembre) fu elevato alla carica di savio del Consiglio, carica confermatagli nel settembre del 1697. Nel novembre del 1697 iniziarono le sedute di scrutinio che lo portarono, il 16 genn. 1698, alla nomina ad ambasciatore ordinario a Vienna, in sostituzione di Carlo Ruzzini mandato a guidare la delegazione della Serenissima al congresso di Carlowitz come plenipotenziario. Ricevuta la commissione il 30 agosto, il 15 settembre fu a Padova e il 18 ottobre spedì il primo dispaccio da Vienna.
Incaricato non solo di riprendere con vigore le trattative sulle annose e irrisolte questioni dei confini e del commercio del sale istriano, ma soprattutto di rinsaldare l'alleanza con l'Impero, assicurandosi nel contempo delle intenzioni asburgiche sulla lega antiturca e le trattative di pace in corso, il L., nella prima fase del suo mandato, assunse prioritariamente un ruolo di supporto all'azione diplomatica del Ruzzini, ruolo rivelatosi gravoso e irto di difficoltà. Fin dalla prima udienza con l'imperatore Leopoldo I d'Asburgo, al di là delle convenzionali manifestazioni di elogio del sovrano, avvertì la rigidezza della controparte sulle questioni bilaterali e la scarsa propensione a condurre di comune accordo le trattative con i Turchi, riprese nel novembre 1698 a Carlowitz. In sintonia umana e politica col Ruzzini, in una posizione distinta ma complementare, si adoperò assiduamente sia con i governanti asburgici sia con gli ambasciatori delle grandi potenze - massimamente quelli di Inghilterra e Olanda, paesi mediatori nelle trattative di Carlowitz - per tenere alta la guardia nei confronti della tattica dilatoria dei Turchi, cavillosi negoziatori, pronti a sfruttare le divisioni tra gli Stati della Lega. Superando frequenti cadute di salute, vincolato alle disposizioni di un governo desideroso di ottenere condizioni di pace favorevoli, ma impacciato dalla irresolutezza e dalla intempestività del governo veneto, già incline a una neutralità equidistante, il L. svolse il non facile compito di contemperare l'urgenza di finire una lunga e onerosa guerra con la volontà di non cedere alle pretese ottomane. I lunghi, densi e frequenti dispacci inviati a Venezia, nonché il carteggio con il Ruzzini, documentano la lucida consapevolezza del L. sulla difficile posizione veneziana e sul venire meno, nei fatti, della compattezza tra gli alleati. "Io non so arrivare a sperare che il minor male" (Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 399 [=8625], c. 334) scrisse al Ruzzini, che ne condivideva le perplessità nei confronti della linea del proprio governo e che, come lui, era interprete dello stato d'animo di quei patrizi che guardavano con ansia al futuro a causa della inaffidabilità dei Turchi. Concluse, il 21 febbr. 1699, le trattative con la firma degli accordi anche da parte della Serenissima, in un dispaccio dell'11 aprile al Senato, commentando alcune clausole accolte da Venezia, il L. osservava che "la qualità più gelosa de' suoi acquisti, la maggior moderatione delle sue forze e la più accesa animosità de' Turchi contro la stessa, fanno troppo giustamente temere che portino gli ottomani a rivolgere i primi tentativi contro la Serenissima" (Arch. di Stato di Venezia, Dispacci degli ambasciatori, Germania, f. 181, n. 36).
Nella seconda parte del suo mandato il L. tornò alla routine sforzandosi, con scarso successo, di risolvere le questioni bilaterali e di decifrare nel contempo i complessi meccanismi del potere asburgico insieme con un'attenta lettura dello scenario internazionale. Spedito l'ultimo dispaccio in data 13 aprile, il 5 maggio 1703 il L. ottenne il permesso di rimpatriare. Le travagliate vicende di Carlowitz e l'intensa e sofferta attività dispiegata presso la corte imperiale non trovano però spazio nella succinta e scialba relazione pervenutaci.
Il 5 giugno 1702 fu elevato alla prestigiosa carica di procuratore di S. Marco de citra, cui poté aggiungere il titolo di cavaliere, conferitogli dall'imperatore all'atto del congedo; rimpatriato a Venezia, il 30 giugno 1703 entrò savio del Consiglio. Nel gennaio 1705 fu eletto regolatore alla Scrittura e in giugno nuovamente savio del Consiglio. La carriera proseguì intensa e in ruoli prestigiosi: savio del Consiglio (1705, 1706 e 1709), riformatore allo Studio di Padova (1705, 1709, 1713), savio alla Mercanzia (1706), aggiunto ai savi alla Mercanzia (1709), soprintendente alla Formazione dei sommari delle leggi (1710) e deputato alla provvision del denaro (giugno 1710). Al termine dell'ultimo incarico, di riformatore allo Studio di Padova, ammalatosi "de febre et resepolia nella testa", dopo ventidue giorni morì, nella casa di S. Vidal, il 10 luglio 1715.
Rimasto celibe, lasciò un patrimonio di tutto rispetto, accresciuto negli anni, nonostante le ingenti spese sostenute per l'ambasceria, e costituito da immobili a Venezia e da vasti possedimenti fondiari, abbelliti da prestigiose dimore padronali, nel Veneziano, nel Trevigiano, nel Padovano, nel Veronese e soprattutto nei territori di Rovigo e del Polesine, al fratello superstite, Giovanni, anch'egli celibe, e ai nipoti, figli del fratello Andrea.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, c. 342; Avogaria di Comun, Nascite, X, reg. 60, c. 188v; Ibid., Matrimoni, V, reg. 92, c. 156; Notarile, Testamenti, b. 57, n. 370; Segretario alle Voci, Elezioni in Pregadi, regg. 19, c. 132v; 20, cc. 17v, 18v, 19v; 21, cc. 3v, 4v, 7v, 11v, 49, 51, 56v, 63v, 70v, 75v, 158v; Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 23, cc. 22v, 84v; 25, cc. 112v, Commissioni, f. 14, c. 173v; Senato, Corti, regg. 63, passim; 75, c. 107; 80, cc. 24, 38; Dispacci degli ambasciatori, Germania, ff. 181-185; Archivio ambasciata Germania, bb. 17-33; Procuratia di S. Marco de supra, b. 86; Commissarie, bb. 72, 84, 91-99; Dieci savi alle decime, bb. 157 bis, nn. 429, 516 (redecima 1582); 212, n. 372 (redecima del 1661); 281, n. 830 (redecima 1712); Provv. alla Sanità, Necrologi, reg. 912; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd.Donà dalle Rose, 253 (relazione); Ibid., Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 399 (=8625), cc. 320-392; 849 (=8928), Consegi, cc. n.n.; 850 (=8929), cc. 101v, 137v, 155, 156, 157, 172, 306v, 312, 382, 388v; 851 (=8930), cc. 31v, 34-35, 49v, 66v, 74v, 85, 111, 117, 153v, 209v, 245, 248, 310v, 316, 318, 328, 357v, 414, 418v; 852 (=8931), cc. 9v, 88v, 104v, 106, 152v, 176v, 193, 271, 346; 853 (=8932), cc. n.n.; 854 (=8933), cc. n.n.; 855 (=8934), cc. n.n.; Arch. di Stato di Venezia, Dispacci degli ambasciatori al Senato. Indice, Roma 1959, p. 120; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, II, Germania, a cura di L. Firpo, Torino 1970, p. LX; IV, Germania, ibid. 1968, pp. 364, 442; D. Frattina, Il cuore del principe veneto…, Venezia 1703, passim; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti…, Roma 1927, p. 250; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VII, Venezia 1974, pp. 360 ss.; VIII, ibid. 1975, pp. 1 ss.; Palazzo Loredan e l'Istituto di scienze lettere ed arti, a cura di G. Gullino, Venezia 1985, passim; A. Pizzati, Commende e politica ecclesiastica nella Repubblica di Venezia tra '500 e '600, Venezia 1997, ad ind.; S. Perini, Venezia e la guerra di Morea (1684-1699), in Archivio veneto, s. 5, CXXX (1999), 188, p. 90; S. Andretta, La Repubblica inquieta. Venezia nel Seicento tra Italia ed Europa, Roma 2000, pp. 176, 179.