LORENZI, Francesco
Figlio primogenito di Lorenzo e di Francesca Ganassini, nacque nel 1723 a Mazzurega, nel Veronese.
L'anno di nascita del L., tardivamente tramandato dalla storiografia (Zannandreis), trova riscontro indiretto fra le notizie che egli stesso fornisce nell'autobiografia redatta in terza persona nel 1774 per i Professori del disegno di M. Oretti (Baldissin Molli, 1994; Tomezzoli, 1996).
La famiglia, di origini veronesi, riparò in Valpolicella nel 1630 a seguito dell'epidemia di peste; in una polizza d'estimo del 3 dic. 1732 il padre dichiarava possedimenti, oltre che a Mazzurega, anche a Pastrengo e a Verona. Tra i fratelli del L., che vantava parentela con A. Badile, primo maestro e suocero del Veronese (P. Caliari), il secondogenito Lodovico (nato nel 1728) vestì l'abito ecclesiastico e fu oratore di fama locale; l'abate Bartolomeo fu autore, fra l'altro, del poemetto Della coltivazione de' monti pubblicato nel 1778 e corredato dalle illustrazioni eseguite dal più giovane dei fratelli, Giandomenico (1738-1815), incisore di discreta fama, su disegni del Lorenzi. Nello stato d'anime allegato alla polizza del 1732 è stata riconosciuta una sorella, Lucia, di "anni 2" (Brenzoni, p. 189).
Numerose e dettagliate sono le informazioni sul periodo giovanile del Lorenzi.
Studiò con precettori privati fino all'ingresso, nel 1738, nella scuola pubblica, dove seguì un percorso formativo basato sulle discipline letterarie, teologiche e filosofiche e sull'approfondimento dei principî di architettura civile, matematica, geometria e prospettiva. Le Memorie redatte dal fratello Bartolomeo (Baldissin Molli, 1992-93) raccontano di un L. fortemente interessato allo studio della poesia e particolarmente versato nel disegno del nudo; dal 1742, con l'ingresso nella bottega del pittore M. Brida, si orientò decisamente verso le discipline artistiche pur continuando a coltivare interessi letterari, sostenuti da intensi rapporti di amicizia e frequentazione con S. Maffei, col gesuita S. Bettinelli e con altri letterati dell'ambiente veronese.
A fronte di una fisionomia culturale ben delineata, non risultano testimonianze della produzione artistica degli anni della formazione; solo col trasferimento a Venezia nel 1745 e con l'ingresso nella bottega di G.B. Tiepolo, la ricostruzione biografica può arricchirsi di più saldi riferimenti sui debiti artistici del Lorenzi. Il quinquennio veneziano fu caratterizzato da un'intensa e qualificata attività di apprendistato che portò il L. a cimentarsi con lo studio e la copia di opere da Tiziano, dal Veronese e da F. Solimena (ben rappresentato nella collezione di casa Baglioni presso cui il L. dimorava), e a un serio confronto con la pratica del linguaggio tiepolesco: il S. Pietro in cattedra a San Pietro in Cariano - prima opera esposta al pubblico, secondo lo stesso L. - e il Cristo nell'orto di Mozzecane, collocabili in questa fase del catalogo, sembrano riflettere una precoce ma evidente acquisizione dei modi del maestro (Tomezzoli, 1997-98).
Sono da riferire al periodo veneziano anche i contatti con G.B. Piazzetta e presumibilmente la conoscenza dell'opera di Rosalba Carriera e di J.-E. Liotard, di cui si dà conto nell'autobiografia pur in assenza di una precisa collocazione temporale.
Il trasferimento di Tiepolo a Würzburg nel 1750 coincise col ritorno del L. a Verona; l'apertura di una bottega e l'elaborazione di un perduto trattato sui precetti dell'arte furono i primi segnali concreti dell'attività autonoma dell'artista ormai ventisettenne. Piuttosto problematico risulta il riordino cronologico dei numerosissimi dipinti - per lo più pale d'altare - realizzati dopo il ritorno in patria del L.: la scarsità di opere databili con precisione e l'adattamento della maggior parte della critica alla scansione temporale dettata dall'artista stesso nello scritto autobiografico e riprodotta da Zannandreis rendono inevitabile, allo stato attuale, una ricostruzione del corpus del L. basata quasi esclusivamente sull'indagine stilistica e sulle ricorrenze tipologiche.
Il catalogo risulta ancora piuttosto disarticolato fino al 1760 (l'Estasi del Battista di Monte di Sant'Ambrogio; la Madonna del Rosario in oratorio privato a Verona e poco altro), per poi affollarsi decisamente a partire dal settimo decennio: la Sacra Famiglia in S. Lorenzo a Brescia, la Presentazione al tempio di Cologno al Serio, la Condanna dei ss. Fermo e Rustico di Berzo San Fermo e l'Adorazione dei pastori di Melara, tutte databili agli anni 1762-63. Sono opere in cui la risposta del L. agli obblighi del formato verticale è giocata, in maniera piuttosto ripetitiva, sull'utilizzazione di moduli compositivi costruiti prevalentemente sulle diagonali, e nelle quali l'arditezza degli scorci risulta spesso cautamente riequilibrata nel contesto di impianti scenografici di stampo veronesiano, secondo una declinazione provinciale del tiepolismo informata al gusto accademico della tradizione locale. Databili dalla metà del settimo decennio e oltre sono il S. Lorenzo Giustiniani nella cattedrale e il S. Filippo Benizzi in S. Maria della Scala a Verona, la Madonna col Bambino e santi di San Martino Buonalbergo, le tele di Gardone Valtrompia e molte altre opere che testimoniano una notevole diffusione territoriale della fama del L.: è l'artista stesso a informarci sul numero totale di opere eseguite, "le quali tra grandi, e picciole ascendono al numero di 305" (Tomezzoli, 1996, p. 131), e sulla loro distribuzione in numerose città italiane ed estere. La critica è concorde nel riconoscere, nella fase matura della produzione a olio del L., orientamenti stilistici rivolti verso una crescente monumentalità basata su un'interpretazione timbrica del tonalismo tiepolesco (Caiani) - pur nel progressivo abbandono delle densità d'impasto del primo periodo - e su un evidente accostamento ai modi dell'accademico veronese G. Cignaroli (Pallucchini).
Nulla è finora emerso della produzione a pastello e dell'attività ritrattistica, cui peraltro si fa cenno nell'autobiografia, mentre dipinti di soggetto profano, dispersi fra il collezionismo privato e l'occasionalità del mercato antiquario, risultano poco studiati o genericamente avvicinati al modello tiepolesco (Pallucchini; Guzzo). Al netto delle finalità encomiastiche le fonti più antiche tramandano la figura di un L. particolarmente attivo anche come disegnatore per l'editoria e per la committenza privata.
Dal 1750 è documentata una cospicua produzione grafica che comprende ex libris, ritratti e illustrazioni per trattati scientifici e opere letterarie; al 1755 risale la realizzazione del modello in cera per una medaglia commemorativa di S. Maffei. Le prove più significative della produzione grafica del L. vanno però rintracciate nell'estro e nella ricercatezza espressiva delle illustrazioni per i poemetti di Z. Betti (Del baco da seta del 1756) e di G.B. Spolverini (La coltivazione del riso del 1758), in entrambi i casi incise da D. Cunego; importanti serie di disegni attribuibili al L. sono conservate presso la Biblioteca Poletti di Modena e il Museo di Castelvecchio a Verona (Marini; Tomezzoli, 1999).
Il 1761 è l'anno in cui convenzionalmente si situa l'esordio del L. come frescante, al seguito di G.B. Tiepolo, chiamato a Verona per la decorazione (oggi perduta) di palazzo Canossa. Nonostante l'artista affermasse di "non aver mai provato il dipingere a fresco" prima di tale data (Tomezzoli, 1996, p. 130), la critica è orientata nell'ipotizzare, realisticamente, un approccio più graduale a tale tecnica (Guzzo; Chignola), anche se non risultano convincenti le proposte integrative del catalogo avanzate da A.M. Caiani. Perduta anche la decorazione in casa Betti, risale al 1764 il primo incarico documentato del L. (figurista in palazzo Ferrari a Verona, oggi Verità Poeta), come collaboratore di A. Galli Bibiena. Solo due anni dopo, a riprova di una fama crescente in patria, il pittore ricevette il prestigioso incarico per il ciclo dell'Aurora in palazzo Giusti del Giardino; tra il 1772 e il 1776 fu attivo, con discreto successo, ancora nel Veronese (oratorio Huberti a San Martino Buonalbergo; chiesa di Mazzurega; villa Vecelli Cavriani) e nel Vicentino (palazzi Leoni Montanari, Godi Nievo e Pojana; affreschi nella cappella Da Porto a Dueville e la pala con Madonna e santi a San Vito di Leguzzano), dove instaurò una proficua collaborazione col quadraturista P. Guidolini. Dal 1778 al 1783 la presenza dei due artisti è documentata a Casale Monferrato, per la decorazione dei palazzi Gozzani di Treville, Gozzani di San Giorgio e Cocconito da Montiglio; in una pausa della trasferta piemontese il L. tornò a Verona per affrescare due sale in palazzo Emilei Forti e un soffitto, oggi perduto, in palazzo Ottolini.
Nel giudizio complessivo sulla produzione a fresco prevale la tendenza a riconoscere all'artista una certa padronanza della materia iconografica e l'acquisizione di una progressiva scioltezza nell'organizzazione spaziale, riscontrabile soprattutto nei cicli casalesi (Tomezzoli, 2000), a fronte di una fredda rilettura del tiepolismo che lo condurrà verso esiti ormai neoclassici (Caiani; Pallucchini). Fra i seguaci del Tiepolo il L. emerge per l'adozione di un linguaggio pittorico di riconoscibile personalità e versatilità (apprezzabile anche il repertorio di affreschi a monocromo), seppure contrassegnato da scarsa vena innovativa.
Il L. fu accademico degli Aletofili dal 1767; per diversità di vedute con G. Cignaroli, direttore perpetuo dell'Accademia di pittura di Verona, il L. scelse di farne parte solo dopo la morte di Cignaroli, nel 1771. Dopo il quinquennio piemontese il L. tornò a Verona in condizione di sostanziale esclusione dal circuito artistico.
Il L. morì a Verona il 12 febbr. 1787, dopo due anni "di replicata apoplessia" (Brenzoni, p. 189).
Fonti e Bibl.: D. Zannandreis, Le vite dei pittori, scultori e architetti veronesi, Verona 1891, pp. 426-432; R. Brenzoni, Diz. di artisti veneti(, Firenze 1972, pp. 188 s.; A.M. Caiani, Affreschi e disegni inediti di F. L., in Arte veneta, XXVI (1972), pp. 154-166; B. Mazza, in Maestri della pittura veronese, a cura di P. Brugnoli, Verona 1974, pp. 393-400; Museo di Castelvecchio, Verona. La collezione di stampe antiche (catal., Verona), a cura di G. Dillon - S. Marinelli - G. Marini, Milano 1985, pp. 142-144, 148, 150; La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1989, I, p. 142; II, p. 772; G. Baldissin Molli, Giambettino Cignaroli e Saverio Dalla Rosa: postille e note inedite, in Atti e memorie dell'Acc. di agricoltura, scienze e lettere di Verona, CLXIX (1992-93), pp. 411-413; Id., Note biografiche su alcuni artisti veronesi del Settecento, in Boll. del Museo civico di Padova, LXXXIII (1994), pp. 131-168; R. Pallucchini, in La pittura nel Veneto. Il Settecento, Milano 1995, pp. 250-260, 620; G. Marini, Disegni e stampe nelle raccolte di Modena e Reggio, in La pittura veneta negli Stati estensi, a cura di J. Bentini - S. Marinelli - A. Mazza, Verona 1996, pp. 393-414; A. Tomezzoli, L'autobiografia inedita del pittore F. L., in Arte veneta, XLVIII (1996), pp. 127-135; Id., Per l'attività di F. L. in Valpolicella: la pala di San Pietro in Cariano, in Annuario storico della Valpolicella, 1997-98, pp. 243-254; Museo di Castelvecchio. Disegni (catal., Verona), a cura di S. Marinelli - G. Marini, Milano 1999, pp. 19 s. (schede 71-84, a cura di A. Tomezzoli); A. Tomezzoli, F. L. (1723-1787): catalogo dell'opera pittorica, in Saggi e memorie di storia dell'arte, XXIV (2000), pp. 159-288; F. L. (1723-1787): dipinti ed incisioni (catal.), a cura di E.M. Guzzo, Mozzecane 2002; F. L. (1723-1787): gli affreschi (catal.), a cura di I. Chignola, Mozzecane 2002; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 389.