LUINO (Luini), Francesco
Nacque a Luino il 22 marzo 1740 da Carlo (che una fonte dice "dottore") e Maria Caterina Iugali.
Alcuni lo dissero nato a Lugano, e questa indicazione ha prevalso. Tuttavia i catalogi della provincia milanese della Compagnia di Gesù, unica fonte diretta sugli anni anteriori al 1770, lo dicono nato nell'archidiocesi di Milano, e l'atto di battesimo (in Baroli) dirime la questione. In esso il cognome è Luvino, e il nome Francesco Antonio; da adulto, anche nei frontespizi delle opere a stampa, il L. si disse sia Luino sia Luini, ma con prevalenza della prima forma, che ricorre anche nei documenti gesuitici; quanto al nome si dirà solo Francesco.
Nulla è noto sulla vita e gli studi fino al 3 maggio 1757, quando entrò nel noviziato gesuitico milanese. I catalogi hanno un vuoto di due anni (1759-61) tra il noviziato, di regola biennale, e l'inizio degli studi filosofici; poiché questa era la durata del corso di retorica, è probabile che il L. lo seguisse allora. Nel 1758 e 1759 fu nel noviziato di Chieri; dal 1760 al 1763 seguì il corso filosofico nel collegio milanese di Brera sotto il padre Pasquale Bovio, avendo in matematica un docente di spicco, G.A. Lecchi. Bovio, passato subito dopo a insegnare teologia scolastica, gli fu poi docente anche di questa disciplina; la durata di questo rapporto è notevole, trattandosi di un docente "moderno", che associava competenze e interessi tradizionali ad altri scientifici aggiornati (fu tra i promotori della costruzione della specola di Brera, e pubblicò osservazioni astronomiche). Dal 1763 il L. insegnò grammatica a Brera; dal 1765 frequentò il corso quadriennale di teologia e fu insieme "academicus mathematicae": seguì cioè il corso avanzato che nei principali collegi della Compagnia formava docenti e specialisti.
Dal 1763 l'insegnamento della matematica era passato da Lecchi, preso da consulenze idrauliche per il governo e per privati, al gesuita francese L. Lagrange, astronomo competente; tuttavia Lecchi risiedeva ancora nel collegio, dove dal 1764 soggiornò nei periodi di vacanza R.G. Boscovich, da quell'anno nell'Università di Pavia. Il L. fruì quindi di un contesto scientifico d'alto livello; il corso successivo dei suoi interessi e delle pubblicazioni mostra che l'influsso centrale su di lui fu quello di Boscovich, perché il L. fu soprattutto un matematico puro, anche se partecipò inizialmente all'attività della specola di Brera e poi insegnò matematica applicata e fisica. Questo è confermato da affermazioni dello stesso Boscovich (che elogiò il L. in lettere a più corrispondenti, e dopo la rottura dei rapporti lo accusò di ingratitudine) e dal fatto che l'allievo fu assegnato al corso di perfezionamento non subito dopo quello filosofico - come usuale - ma solo nel 1764-65, dopo l'arrivo del gesuita di Ragusa. La prima pubblicazione scientifica del L., ancora studente, Delle progressioni e serie libri due (Milano 1767), fu approvata e forse promossa da Boscovich, che ne definì originali alcune parti e fece stampare in appendice due sue memorie, Metodo di evitare i logaritmi negativi e Appendice sui logaritmi delle quantità negative. Seguirono presto uno scritto su Interpolazione delle serie, e suo uso nell'astronomia (ibid. 1767), stampato anche nelle tesi di un allievo del L., G. Veneziani (Trattenimento matematico da tenersi nella Università di Brera( Anno 1768), una Esercitazione sull'altezza del polo di Milano (Milano 1769), una Esercitazione matematica tenuta nel collegio di Brera dai pp. della Compagnia di Gesù (ibid. 1770) e una dissertazione su Oggetto e principî del metodo flussionario (ibid. 1770). Pur se non di assoluta avanguardia, alcuni di questi scritti furono apprezzati da un esperto quale B. Oriani e furono noti all'estero attraverso il Journal des savants (1769, p. 46 e 1770, p. 696).
Il L. divenne sacerdote nel 1767 o 1768 (il generale L. Ricci respinse la sua richiesta di anticipare l'ordinazione a fine 1766); nel 1769, quando l'avvio della specola assorbì interamente Lagrange, lo sostituì nell'insegnamento della matematica a Brera e dal 1770, quando il governo asburgico attivò nelle Scuole palatine di Milano un corso per la formazione di ingegneri, con due cattedre di matematica pura e applicata, assunse la seconda, detta di "matematica elementare teorico-pratica", mentre l'altra fu data al barnabita P. Frisi. Contribuì anche al piano di studi del corso (il "Piano degli ingegneri", solitamente quasi sempre attribuito al solo Frisi), ma le sue proposte non sono note distintamente. Il suo rapporto con il barnabita sembra essersi limitato alla colleganza: l'estesissimo epistolario di Frisi non ha lettere del L., e i due non si citarono reciprocamente nelle opere; è probabile che la tensione - ideologica e scientifica - tra il primo e gli esponenti della scuola di Brera si estendesse anche al secondo.
Uno degli allievi del L. a Brera fu A. De Cesaris, futuro direttore della specola, che anni dopo fornì le notizie sul maestro pubblicate da C. Rovida nella Prolusione agli studi nel solenne aprimento del liceo di Milano (ibid. 1813, pp. 61-63). Dall'insegnamento nelle Palatine, aperto da una prolusione poi edita (Orazione recitata nell'aprimento della nuova cattedra di matematica elementare teorico-pratica ad uso de' giovani ingegneri, ibid. 1770) derivarono le Lezioni di matematica elementare (I-III, ibid. 1772-73), prima parte di un manuale per la formazione degli ingegneri, tra i primi esempi italiani di un nuovo genere di testi, che introduceva parti della matematica recente nella preparazione di ruoli tecnici. Il L. vi confermò il rapporto con Boscovich, anticipando (pp. 41-44, n. 7) che il secondo stava per stampare una dissertazione sulle potenze di esponente irrazionale, poi non pubblicata. Il primo volume incluse aritmetica, algebra, progressioni, logaritmi, aritmetica finanziaria; il secondo la geometria; il terzo le sezioni coniche. Una seconda parte dell'opera, mai apparsa, doveva intitolarsi Scienza pratica dell'ingegnere geodeta e trattare di "division delle terre, arte topografica" e strumenti geodetici.
Il L. tenne i due insegnamenti fino al 1772, quando lasciò il primo al confratello C. Gianella. Si trovò quindi coinvolto nello scontro per la direzione della specola tra Boscovich (suo ideatore e figura scientificamente superiore) e Lagrange, più organico al collegio, meno "ingombrante" e insofferente. Il primo dava per scontato il pieno appoggio del L., che invece - mentre in lettere alle autorità di governo sottolineò i meriti di Boscovich e la sua indispensabilità perché la specola si ponesse tra gli osservatori di alto livello - sostenne un'ipotesi conciliativa, quella di affidare al dalmata la programmazione delle indagini e al francese la direzione gestionale, probabilmente per mantenere i rapporti personali con entrambi e non rompere con i superiori, favorevoli a Lagrange. Boscovich vide in questo solo slealtà; lasciata la Lombardia dopo aver rifiutato un'ipotesi conciliativa simile a quella del L., propostagli dal ministro plenipotenziario conte Carlo di Firmian, troncò per sempre i rapporti, sprezzando alcune lettere esplicative dell'ex protetto (una del 4 nov. 1774 da Pavia, in Vienna, Nationalbibliothek, Italienischsprachigen Handschriften, series nova, 617, cc. 227-228, documento di significato anche umano, è pubblicata in Paoli, pp. 256-258) e i tentativi di ripresa dei rapporti che il L. proseguì fino al 1779-80.
Nel 1773, con il riassetto delle docenze dovuto alla partenza di Boscovich e alla soppressione della Compagnia di Gesù, che portò alla statizzazione della scuola di Brera, il L. fu trasferito nell'Università di Pavia, dove prima insegnò geometria elementare e fisica generale, e dal 1777 fisica generale e astronomia; il suo nome figura già nel ruolo del 1773 ma forse iniziò i corsi l'anno successivo, quando tenne la prolusione (che resta manoscritta). Di questa fase didattica - che per più ragioni sarebbe importante conoscere - l'unico documento è un'operetta pubblicata nel 1778 con qualche cautela ma che, malgrado questo, condizionò decisivamente il futuro, non solo professionale, dell'autore.
Il frontespizio celò parzialmente il nome del L. (Meditazione filosofica di Francesco L*** P. P., Pavia 1778; 60 pagine di testo e 5 di note esplicative dell'autore). L'introduzione, di un anonimo ex gesuita, fece risalire la pubblicazione a conversazioni avute nel 1774 con il L. sul diffondersi dell'incredulità religiosa. Il matematico aveva detto che "si vedeva costretto a condannare gl'increduli" ma anche "la maggior parte de' loro accusatori", perché, se i primi "sempre ragionano a difesa del vizio, noi quasi sempre ragioniamo a difesa della virtù", confondendo "la Chiesa col Parroco, il Teologo coll'Ascetico, le popolari tradizioni colle tradizioni divine". Difetti capitali degli apologeti cattolici, dunque, gli apparivano la convenzionalità e l'incapacità di toccare il fondo ontologico delle questioni (rilievi analoghi compaiono anche in lettere tarde); così, aveva spiegato il L., nello stendere le proprie lezioni di fisica generale ne aveva premesse sei "sulla metafisica della fisica", "parte precipua" della disciplina. Le aveva mostrate all'anonimo, che l'aveva convinto a pubblicarle, iniziando dalla prima (appunto la Meditazione), tradotta in italiano dall'originale latino. L'edizione fu quindi presentata come suggerita - quasi imposta - al L. da altri, ma forse il corso degli eventi fu diverso. Secondo il domenicano Carlo Domenico Rossi, che in una lettera da Pavia del 14 apr. 1778 (ora in Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, SO, Stanza storica, GG.4.h, c. 23r) denunciò l'opera al S. Uffizio, il L. aveva chiesto a Parma il permesso di stampare l'opera, negato però prima da tre censori e in seguito, dopo un ricorso al duca Ferdinando di Borbone, da altri tre; solo questo lo avrebbe indotto a chiedere il permesso al censore di Pavia, lo scolopio Martino Natali, che lo aveva concesso previa aggiunta delle note, le quali però a giudizio del Rossi non avevano attenuato, ma accentuato l'eterodossia del testo. Questa versione non ha finora riscontri documentari, ma è improbabile che il frate mentisse alla congregazione su fatti facilmente verificabili; inoltre Boscovich scrisse a un corrispondente che il centro di distribuzione dell'opera era stato Parma, e che era stata la corte ducale a segnalare alle autorità di Milano l'eterodossia dell'opera. Non è chiaro quanto la Meditazione si fosse attenuta al testo delle lezioni; struttura e stile, non didattici, suggeriscono una profonda revisione, e così il contenuto, che non è una riflessione sui principî della fisica (che sarebbe venuta nelle lezioni successive), ma una premessa a essa in forma di una metafisica monista. Nell'assunto del L., Dio avrebbe creato sostanze di un genere unico (che, senza dirlo esplicitamente, sembrò interpretare nei termini della teoria di Boscovich sulla struttura puntiforme della realtà fisica) alle quali solo a posteriori (almeno in senso logico) e senza necessità intrinseca avrebbe conferito proprietà diverse (che l'operetta tende a interpretare come manifestazioni di forze). L'aggiunta di tali forze a sostanze identiche le avrebbe differenziate in spirituali (centri di attività mentale) e materiali (centri di azioni fisiche). Le cinque lezioni successive menzionate dall'anonimo, che dovevano connettere questa ipotesi di massima generalità al discorso fisico concreto, non furono edite e sembrano perdute. La mancata pubblicazione derivò dalle reazioni seguite alla Meditazione, che forse il L., data la forma semiocculta in cui la stampò, aveva paventato, ma anche sottostimato. Dopo la denuncia di Rossi, il 17 dic. 1778 il S. Uffizio decretò una proibizione incondizionata; il dispositivo della decisione non è noto, perché per quell'anno i verbali delle sedute e i pareri e censure dei consultori sono perduti (la data del decreto compare nelle edizioni successive dell'Index librorum prohibitorum e, prima, in una annotazione del segretario della congregazione dell'Indice: Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della fede, Index, Diari, 18, c. 71r; alcuni Rilievi fatti sul libro intitolato Meditazione filosofica, datati Milano 20 maggio 1778 - e che dunque non sono quelli fatti a Roma - sono tra i documenti concernenti il L. in Arch. di Stato di Milano, Autografi, 138, 20). Tuttavia è indubbio che i censori ecclesiastici colsero nella Meditazione un'ammissione, pur parziale e indiretta, di un nesso sostanziale tra spirito e materia, dunque un'apertura al materialismo, sia pure creazionistico. Informando il fratello Alessandro sull'opera e sui rischi che si addensavano sull'autore, Pietro Verri scrisse che la teoria, ispirata a "i punti inestesi di Boscovich", era accusata di materialismo, mentre a lui pareva "piuttosto una spiritualizzazione della materia" (Milano, 3 giugno 1778, in Carteggio, IX, p. 307; la risposta di Alessandro fu drastica: "Mi sembra una vera pazzia e la dottrina, e la condotta dell'ex gesuita [(]; va a porre in campo gli atomi pensanti in un secolo in cui non si gustano per nulla simili deliri. Ora si fanno esperienze, e si ragiona con sobrietà": ibid., p. 311). Lettere del L. mostrano che il governo milanese iniziò accertamenti sull'opera già prima della denuncia di Rossi, e una di Boscovich dell'agosto mostra che già nella tarda estate, nonostante le giustificazioni dell'autore, si decise di rimuoverlo dalla cattedra pavese; il L. rimase formalmente nei ruoli, sembra per un atto di personale benevolenza del plenipotenziario C. Firmian, ma ebbe la propria cattedra assegnata al docente di fisica sperimentale, lo scolopio C. Barletti, sostituito a sua volta da Alessandro Volta, che quindi entrò nei ranghi accademici in conseguenza dell'infortunio dell'ex gesuita, inviato a sostituire Volta su quella di fisica del liceo di Como. A questo provvedimento forse si unì (anche se non attestato) un sequestro degli esemplari della Meditazione, ora rari. Questo ha contribuito a che l'operetta non sia quasi menzionata negli studi sul pensiero italiano del secondo Settecento (in generale poco attenti alle opere collegate alla teoria boscovichiana), sebbene, pur nella brevità e genericità a cui avrebbero forse ovviato le parti successive, sia un episodio non trascurabile di una storia poco indagata, quella della metafisica di modello non scolastico in Italia, tra gli Elementa metaphysicae di A. Genovesi (1747) e la Protologia di E. Pini (1803). A parte l'avvenuto distacco dall'autore, Boscovich negò che l'ontologia monistica del L. fosse un'inferenza legittima dalla propria, della quale ribadì a più corrispondenti il carattere dualistico, paventando che l'estrapolazione arbitraria dell'ex allievo "farà del torto anche a me". Non sembra che la Meditazione e l'autore trovassero difensori; anche a J.-J. de Lalande, che aveva incontrato il L. a Milano, la proibizione romana sembrò motivata (Voyage en Italie, Genève 1790, I, p. 394).
Dell'insegnamento del L. a Como non restano tracce significative. Tenui informazioni vengono da una lettera di Volta, che rilevò che il L. - a conferma di un orientamento già rilevato - curava poco gli esperimenti, e da alcune lettere dell'ex gesuita conservate nell'Archivio di Stato di Milano (parte delle quali sono in copia anche nell'Archivio dell'Osservatorio di Brera), che mostrano che gli fu anche affidata la regolazione delle acque di un torrente. L'invio in una sede provinciale, unito allo scioglimento della Compagnia, alla rottura con Boscovich e al sospetto generato nelle autorità asburgiche, limitò le sue prospettive: se in precedenza la sua carriera era stata rapida e la sua produzione scientifica aveva giustificato attese, dopo di allora entrambe entrarono in una sostanziale stasi. L'avvenimento più notevole di questi anni sembra essere stato un viaggio in compagnia di un giovane nobile, L. Malaspina, che tra l'aprile e l'autunno del 1783 portò il L. - supplito sulla cattedra da un abate Le Cloarec - in Savoia, Francia e Inghilterra e, al ritorno, nelle Fiandre e in Svizzera. Nelle soste del viaggio inviò lettere ad amici milanesi, che dopo il ritorno raccolse in volume (Lettere scritte da più parti d'Europa a diversi amici, e signori suoi nel 1783, Pavia 1785; le lettere edite sono 28, più "frammenti", ma non è certo che siano tutte quelle che scrisse).
È dubbio che le lettere edite ricalcassero gli originali, sia per la lunghezza talora notevole, sia per il tono stilisticamente elaborato (ispirato alla brillante saggistica francese) e lo scavo di certi contenuti, più gnomico-riflessivi che descrittivo-narrativi. Il L. sostenne che i soli veri viaggiatori sono i "contemplatori", che vedono al di là di "buffonate, giuochi d'ombre, fantasmi accavallati nelle nuvole". La Francia, e soprattutto Parigi non gli piacquero molto ("contrasto di ogni estremo", "caos di lumi avvolti in tenebre"; negativo anche il giudizio sulla facoltà teologica della Sorbona, mentre il L. rivolse alti elogi a d'Alembert e Laplace, con entrambi i quali ebbe modo di intrattenersi). Molto di più apprezzò l'Inghilterra e Londra, sia per il paesaggio naturale e urbano sia per gli atteggiamenti e stili di vita e per l'assetto politico: le tre lettere relative al soggiorno nell'isola sono tra i testi salienti dell'anglofilia italiana nel secolo XVIII. Le Lettere ebbero in seguito solo ristampe parziali; due comparvero nella raccolta di Lettere descrittive di celebri italiani alla studiosa gioventù curata da B. Gamba (Venezia 1819, pp. 245-253); una è stata inclusa in Viaggiatori del Settecento, a cura di L. Vincenti (Torino 1962, pp. 149-154).
Dopo Como - non è chiaro se per decisione governativa o per sua richiesta - il L. passò a insegnare matematica nel ginnasio di Mantova, probabilmente dall'autunno del 1783, anche se la prima attestazione nota è del gennaio 1788, quando un decreto governativo lo assegnò come collaboratore a un altro ex gesuita, G. Mari, direttore della classe di matematica dell'Accademia Mantovana per fare pratica in questioni di bonifica idraulica (Arch. di Stato di Mantova, Intendenza politica di Mantova, b. 35, f. 110); nell'aprile dell'anno successivo Mari chiese di essere abilitato a operare autonomamente (ibid.). Anche di questa fase non restano documenti diretti (due memorie autografe presentate all'Accademia Virgiliana di Mantova, Nova methodus construendi tabulam errorum in divisionibus quadrantis astronomici, del marzo 1776, e Sull'uso delle equazioni del tempo nella pratica astronomia, del novembre 1788, sono in Mantova, Arch. dell'Accademia Virgiliana, Memorie di matematica, B, b. 61, nn. 8, 30); tracce dell'insegnamento del L., almeno quanto ai programmi, sono da ricercare nei documenti residui sul ginnasio mantovano (Arch. di Stato di Milano, Studi, parte antica, bb. 125, f. 7, a-t; 250, ff. 1-36). Dal 1775 fu socio dell'Accademia (il nome del L. compare in una lista di possibili soci: ibid., parte antica, b. 7, f. 1), e tra i soci ordinari come attestato nel Catalogo degli Accademici (Mantova, Arch. dell'Accademia Virgiliana, b. 22), ma non sembra che egli fosse molto partecipe alle iniziative dell'istituzione accademica. A parte cenni ad alcune consulenze idrauliche, sola fonte diretta su questi anni sono alcune lettere al segretario dell'Accademia e tre, di tono diaristico, inviate tra il 15 luglio e il 30 ag. 1789 a un amico, un capitano Bianchi d'Adda, durante una villeggiatura estiva a Solferino. L'ultimo documento noto sul L. è la registrazione della sua presenza alla premiazione degli studenti del ginnasio mantovano il 2 luglio 1792 (Arch. di Stato di Mantova, Regia giunta di Governo, b. 141).
La vita privata del L. resta sostanzialmente ignota, anche quanto al mantenimento di un ruolo religioso dopo lo scioglimento della Compagnia; non visse isolato - certe relazioni sociali appaiono nella corrispondenza - ma non lo si incontra tra gli abati salottieri e laicizzanti tipici della vita culturale del tardo '700, anche lombardo. Quanto agli orientamenti culturali di fondo, a parte il tentativo di innovare l'impianto della metafisica cattolica tradizionale nella Meditazione, le lettere del 1783 e altri scritti mostrano notevole familiarità con i dibattiti del tempo e con i principali autori e testi dell'Illuminismo, che non respinse pregiudizialmente e dei quali comprese la logica; tuttavia la conoscenza non trapassò, come in Frisi, in adesione, almeno pubblica. Nel complesso, il ruolo del L. nella "diaspora" dei gesuiti italiani dopo il 1773 resta da indagare (non va dimenticato che Mantova fu centro di raccolta di qualificati ex membri della Compagnia, come S. Bettinelli e J. Andrès).
Le testimonianze sulla morte del L., senza indicarne le cause, la pongono variamente a Mantova o Milano - con prevalenza della seconda località - il 1( o il 7 nov. 1792. Una delle sue lettere al segretario della Virgiliana mostra che nel marzo 1792 era già malato. Secondo una fonte la morte lo colse mentre dimorava nel palazzo di Brera, sua prima sede di studi e insegnamento, forse ospite degli ex confratelli dell'Osservatorio.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Med., 15, cc. 69r, 97r, 132r; 16, cc. 10v, 38r, 63v, 89v, 116r; 17, c. 141v; 18, cc. 9v, 35v, 61r, 85v, 111v, 139r; 45, c. 368v; 69, cc. 50r, 200r, 277v. L'Arch. di Stato di Milano conserva molte lettere e documenti relativi al L. (1771-83) in Autografi, 138, 20 e 253, 15. Copie di alcune delle lettere, insieme con altre originali del L. o a lui dirette, per un totale di 35, sono nell'Archivio dell'Osservatorio di Brera: si veda il Catalogo della corrispondenza degli astronomi di Brera, Milano 1986, I, ad ind.; Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri, a cura di G. Seregni, IX, Milano 1937, pp. 307, 311; R. Navarrini, Tre lettere di F. L. su Solferino, in Civiltà mantovana, V (1972), 30, pp. 395-421; Ed. nazionale delle opere di A. Volta. Indici delle opere e dell'epistolario, Milano 1974, I, sub nomine; R.G. Boscovich, Lettere a Giovan Stefano Conti, a cura di G. Arrighi, Firenze 1980, pp. 271, 273, 276 s.; Ruggiero Giuseppe Boscovich. Lettere per una storia della scienza (1763-1786), a cura di R. Tolomeo, Roma 1991, pp. 78, 96, 129, 133, 143, 152 s., 215, 329, 332; E. Proverbio, Nuovo catalogo della corrispondenza di Ruggiero Giuseppe Boscovich, Roma 2004, nn. 1292, 1358, 1543, 2378, 2481; Gazzetta di Mantova, 9 nov. 1792 (necr.). Un elenco degli scritti editi in C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, Louvain 1960, V, coll. 181-183 e (solo per quelli scientifici) in P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Milano 1952, I, 2, coll. 56-57. Inoltre: A. Mainardi, Dello Studio pubblico di Mantova e de' professori che vi hanno insegnato a tutto l'anno 1848, Mantova 1871, pp. 27 s.; F. Rossi, La cultura inglese a Milano e in Lombardia nel Seicento e nel Settecento, Bari 1970, pp. 75-78; G. Paoli, Ruggiero Giuseppe Boscovich nella scienza e nella storia del '700, Roma 1988, pp. 188, 192, 197, 247, 250, 255-258, 323; S. Baroli, F. Luini (1740-1792), un gesuita contestato, in Verbanus, XXI (2000), pp. 367-378 (fa riferimento a scritti di ambito locale sul L.); W. Mantovani, F. Luini, fisico e paesano d'Europa del '700, in Quaderni di storia della fisica, XI (2003), pp. 49-57.