MAC DONALD, Francesco
Figlio di Giuseppe e di Eloisa Malloy, nacque a Pescara il 19 febbr. 1776.
Il padre, di origine scozzese, era allora aiutante maggiore del reggimento "Re", un reparto proveniente dal servizio spagnolo i cui quadri erano composti prevalentemente da cattolici irlandesi e scozzesi, esuli dopo aver appoggiato i tentativi degli Stuart di riconquistare il trono britannico; anche la madre, di origine irlandese, apparteneva a una famiglia di ufficiali.
Avviato alla carriera delle armi, nel 1789 il M. entrò come allievo nella Real Accademia militare di Napoli, uscendone nel 1793 con il grado di alfiere. Assegnato al reggimento di fanteria "Real Napoli", partecipò in quello stesso anno alla spedizione di Tolone. Rimpatriato, fu nominato secondo tenente nel 1794, continuando a prestare servizio nel medesimo reparto sino alla fine del 1795, quando fu trasferito nel real corpo delle guardie, un'unità composta interamente da ufficiali, che aveva sostituito la compagnia delle reali guardie del corpo, sospettata di infiltrazioni massoniche. Promosso primo tenente, fu poi allontanato dal corpo per indisciplina. Rientrato nel suo vecchio reggimento, nel 1798 venne nominato aiutante di campo del brigadiere G. Brocco, marchese di Pietramaggiore, al seguito del quale prese parte, nel settore dell'Adriatico, alla breve guerra franco-napoletana del 1798.
Caduta in dicembre Pescara, il M. si portò a Napoli dove, il 23 genn. 1799, fu proclamata la Repubblica, cui aderì. Il 26 febbraio venne destinato alla legione campana e il 27 aprile fu promosso capitano nella legione lucana, per essere poi assegnato allo stato maggiore generale. Quando, a giugno, Castel Nuovo capitolò, il M. finì in carcere, ma riuscì a evitare processo e persecuzioni rifugiandosi a Marsiglia. Qui si arruolò, il 3 maggio 1800, nella legione italica e fu inquadrato come capitano soprannumerario in una compagnia granatieri, con la quale passò le Alpi e partecipò alla riconquista della Lombardia. In estate ebbe il comando di una compagnia esploratori e fu nominato comandante di piazza a Domaso. Sul finire dell'anno prese parte all'ultima fase della campagna, come facente funzioni di aiutante maggiore del battaglione granatieri italici, passando poi al comando di una compagnia granatieri della seconda mezza brigata italica.
Sopraggiunta la pace, con la riorganizzazione delle truppe cisalpine il M. non fu mantenuto in servizio e dovette attendere il 16 marzo 1802 perché una determinazione ministeriale lo destinasse al corpo topografico per conto del quale iniziò i rilievi della zona di Peschiera. Nominato caposezione il 7 sett. 1802 e poi, nel luglio del 1803, facente funzioni di capo dell'ufficio topografico, ebbe anche in affidamento temporaneo il deposito. Il generale A. Trivulzio, ministro della Guerra, lo nominò suo aiutante di campo il 5 apr. 1804, anche se il M. non poté inizialmente assumere tale incarico perché ancora destinato a dirigere, interinalmente, l'ufficio topografico. Solo dopo che Trivulzio fu assegnato al comando della divisione italiana in Francia il M. poté raggiungerlo, rimanendogli al fianco fino alla morte, avvenuta a Parigi il 3 marzo 1805. Rientrato in Italia, il M. chiese ma non ottenne di essere assegnato allo stato maggiore generale: tornò dunque, nel maggio 1805, all'ufficio topografico con il ruolo di caposezione e con il compito di preparare la carta militare del Regno Italico.
A fine anno, in occasione della guerra contro la terza coalizione, il M. riuscì infine a farsi assegnare allo stato maggiore; di stanza in Veneto, venne promosso capo battaglione e insignito della Legion d'onore. Nel frattempo, rifugiatisi i Borboni in Sicilia e insediatosi sul trono di Napoli Giuseppe Bonaparte, gli ufficiali napoletani esuli in servizio nell'esercito italiano e in quello francese vennero fatti rimpatriare nel corso del 1806. Assegnato al genio, il M. ebbe modo di distinguersi nell'assedio di Amantea, salendo per primo sulla breccia aperta nelle mura della città il 6 febbr. 1807. Rimase poi in Calabria, come sottodirettore del genio - dal 1809 con il grado di tenente colonnello - finché il 25 dic. 1810, con la promozione a colonnello e l'assegnazione al 7( reggimento fanteria di linea "Real Africano", venne accolto il suo desiderio di essere impiegato al comando di truppe.
Questo reparto traeva la propria denominazione dal fatto di essere stato inizialmente costituito, come Pionniers noirs, con elementi di colore provenienti da Haiti e dalla Martinica, e tenuto a numero - almeno parzialmente - con elementi provenienti dall'Africa e dal Levante. Ovviamente tali fonti di reclutamento divennero progressivamente insufficienti e, con l'immissione di reclute napoletane, la componente di colore rimase confinata alle compagnie scelte.
Nella primavera del 1812 il 7( di linea, su due battaglioni, partì per la Russia inquadrato nella I brigata napoletana. Destinato a Kowno, venne invece diretto con il resto del contingente a Danzica, ove giunse il 17 ottobre. Con l'avanzata dei Russi, le compagnie scelte (granatieri e volteggiatori) dei tre reggimenti di fanteria di linea napoletani di stanza a Danzica vennero fatte partire per Elbing, nei primi giorni del 1813, formando un reggimento scelto, di circa 1500 uomini, alla cui testa fu posto il Mac Donald.
Inquadrato nella divisione Gerard, il reggimento venne costantemente utilizzato per coprire la ritirata, dalla linea della Vistola a quella dell'Elba, lasciando sul terreno, morti o prigionieri, circa 600 uomini. Il 5 apr. 1813 il battaglione volteggiatori si distinse a Möckern, mentre l'intero reggimento trovò la sua giornata di gloria il 2 maggio a Eissdorf, perdendo oltre 250 uomini tra morti e feriti. Il reggimento era ancora impegnato il 6 e il 7 maggio e soltanto l'11 poté raggiungere Dresda sfilando davanti a Napoleone. Già promosso a maresciallo di campo l'8 aprile, il M., per il comportamento tenuto a Bautzen il 20 e 21 maggio, ottenne dall'imperatore la commenda della Legion d'onore. Al reggimento scelto vennero uniti i superstiti del 4( reggimento leggero e dei marinai della guardia reale: il M. ebbe quindi ai suoi ordini un'intera brigata napoletana, della forza però di meno di 1500 uomini. Dopo un breve armistizio, riprese le ostilità a metà agosto, la brigata si batté a Bautzen, dove lo stesso M. fu ferito a una gamba, a Lipsia e a Hanau. Quando a novembre tornò in patria il corpo contava poche centinaia di superstiti.
Sul finire del 1813, quando il re di Napoli Gioacchino Murat, inizialmente senza rivelare le sue vere intenzioni nei confronti di Napoleone, fece avanzare le truppe nel Regno Italico, il M. fu posto al comando di una brigata che nel gennaio del 1814 si portò ad Ancona, sede di una guarnigione italo-francese al comando del generale G. Barbou.
La presenza napoletana in città si protrasse ambiguamente per più giorni, senza che nessuna delle parti contrapposte prendesse l'iniziativa di azioni di forza. Soltanto nella notte del 12 febbr. 1814 gli Italo-Francesi, che si erano ritirati nella cittadella, aprirono le ostilità operando una sortita. Cominciò allora l'assedio che si protrasse fino alla capitolazione della cittadella, avvenuta il 18 febbraio. Il re volle premiare il M. assegnandogli l'unica commenda dell'Ordine di Leopoldo pervenutagli dall'imperatore d'Austria, perché, a suo giudizio, la destinasse al generale più meritevole.
Un riconoscimento di maggior peso fu attribuito al M. il 31 marzo, con la nomina a ministro della Guerra, e il 21 ag. 1814, con la promozione a luogotenente generale. A differenza di molti suoi colleghi, in questi mesi il M., pur non nascondendo la sua ostilità verso l'Austria, si tenne in disparte dalle questioni politiche e cooperò lealmente con Gioacchino Murat per preparare un esercito in grado di sostenere i disegni del sovrano, peraltro, in quel momento, ancora incerti.
Abolita la leva, ma obbligando al servizio militare quanti, già chiamati, erano renitenti o disertori, si cercò di potenziare l'esercito in tutti i modi, ricorrendo anche ai reduci italici delle Marche - che non erano state restituite al papa - e ai napoletani che avevano seguito i Borboni in Sicilia. In pari tempo, approfittando della fine della guerra, si cercò di acquistare, ovunque possibile, cavalli e armi. Tuttavia il vero problema dell'esercito, che nel 1815 poteva mettere in linea, secondo le diverse fonti, tra i 35.000 e i 50.000 uomini, rimase l'inesperienza dei suoi generali in materia di comando di grandi unità e nella quasi totale mancanza di reparti sperimentati nella guerra, visto che le unità utilizzate in Spagna e in Germania si erano più che dissanguate, e di conseguenza i reggimenti erano formati in larghissima parte da giovani reclute o, comunque, da soldati nuovi alle operazioni militari. Queste ragioni, unite al prematuro aprirsi della campagna contro l'Austria nel marzo del 1815 e alla mancata rispondenza delle popolazioni del vecchio Regno Italico al proclama di Rimini, portarono, a poco più di un mese dall'avanzata verso il Po, alla ritirata e alla giornata di Tolentino.
L'operato del M. aveva soddisfatto il re, che il 14 dic. 1814 lo nominò barone. Nella primavera del 1815, all'aprirsi delle ostilità, rimase al suo posto, a Napoli. Di qui provvide ad avviare verso il fronte le poche unità di riserva disponibili, e quando la colonna austriaca del generale L. Nugent, attraversato lo Stato pontificio, si avvicinò ai confini del Regno, il M., il 13 maggio, subentrò al generale Ch.-A. Manhès nel comando della divisione dell'Interno.
Ottenuto un successo iniziale presso Aquino, per non essere aggirato il M. si ritirò a San Germano e a Mignano. Nella stretta che da quest'ultima località trae il nome fece accampare le sue truppe con molta trascuratezza, tutte lungo la medesima strada, con la cavalleria in coda cosicché quando, nella notte tra il 15 e il 16 maggio, gli Austriaci attaccarono di sorpresa, la cavalleria dovette risalire lungo la strada attraverso la fanteria in fuga e non fu in grado di contrastare il nemico. Ripiegò, anzi, essa stessa e il M., peggiorando le cose, anziché consentirle di riordinarsi nelle retrovie ordinò ai reparti di fanteria rimasti, ancora per poco, saldi di aprire il fuoco: il che provocò lo sbandamento totale e una disastrosa ritirata.
Rientrato a Napoli durante il blocco della squadra navale inglese, al momento della stipula della convenzione di Casa Lanza il M. seguì la regina Carolina Bonaparte nell'esilio, imbarcandosi con lei e alcuni ministri sul vascello "Tremendous" che li condusse a Trieste. Nonostante le proteste della regina, il gruppo venne trattenuto a Trieste e, successivamente, a Graz, mentre falliva a Pizzo il tentativo di Gioacchino Murat di riconquistare il trono. Il M. continuò a rimanere a fianco della regina (ora "contessa di Lipona"), che sposò morganaticamente nel 1817 e di cui, nel corso di alcune missioni a Vienna e a Parigi, appoggiò i tentativi di rientrare in possesso dei propri beni e delle proprie rendite. Nel 1820, subito dopo la concessione della costituzione, il M. fu richiamato a Napoli ma il governo austriaco non gli permise il ritorno. Solo più tardi, restaurato l'assolutismo a Napoli e morto Napoleone, la regina e il M. fruirono di una maggiore libertà di movimento, sempre però all'interno dei domini austriaci, stabilendosi dal 1824 a Trieste e successivamente a Venezia.
Finalmente, nel gennaio 1831, la coppia poté fissare la propria residenza al di là dei confini imperiali, usufruendo del clima, assai migliore, dal punto di vista sia meteorologico sia politico, di Firenze. Qui il M. morì il 19 ag. 1837 nella residenza di Borgo Ognissanti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Ministero della Guerra, bb. 1685, 2854, 2856; Almanacco reale del Regno delle Due Sicilie, 1810, p. 194; 1811, p. 205; 1813, p. 172; M. d'Ayala, Le vite de' più celebri capitani e soldati napoletani dalla giornata di Bitonto fino ai dì nostri, Napoli 1843, pp. 419-438; A. Lumbroso, Muratiana: documents inédits, Roma 1898, pp. 60, 67 s., 85, 137; M.H. Weil, Le prince Eugène et Murat, 1813-1814. Opérations militaires, négociations diplomatiques, Paris 1902, ad ind.; Id., Joachim Murat roi de Naples. La dernière année de règne, Paris 1909, ad ind.; C. Cesari, L'assedio di Amantea, in Memorie storiche militari, 1911, n. 1, p. 207; N. Cortese, Memorie di un generale della Repubblica e dell'Impero(, Bari 1927, I, p. CCXXXV; Id., L'esercito napoletano nelle guerre napoleoniche, Napoli 1928, pp. 145, 153, 160-173; L. Murat, Souvenirs d'enfance de la comtesse Rasponi fille de Joachim Murat, Paris 1929, pp. 282, 328, 334, 336, 341; P. Crociani - V. Ilari, Storia militare del Regno Italico, Roma 2004, pp. 410-412, 415, 427.