MAGLIANO, Francesco
Nacque a Montorio nei Frentani (in Molise, ma all'epoca appartenente all'Alta Capitanata) il 9 febbr. 1764 da Giuseppe Antonio e da Rosa Salottolo, di antica famiglia intestataria di diritti feudali.
La famiglia Magliano - originaria di San Giuliano di Puglia, ove possedeva un palazzo baronale e godeva di diritti giurisdizionali - si stabilì nel 1714 a Montorio. Qui, presso la porta medievale del borgo, edificò un palazzo, inserendosi nella società locale che già annoverava diverse famiglie, notabili per consistenza economica (terreni e allevamenti), grado di istruzione, attività professionali, abitazioni di rilievo e oculate scelte matrimoniali.
Qui si formò e maturò, sotto la guida di valenti maestri privati, la personalità di giovane studioso del M.: furono infatti l'arciprete B. Pinto per la parte classico-letteraria e l'avvocato G.M. Montanaro per il diritto civile e canonico che gli fornirono gli strumenti (biblioteche dotate di testi fondamentali e aggiornati) sollecitandone la precoce vocazione. In conclusione: all'età di diciotto anni il M., "terminati gli studi, fu dall'istesso arciprete Pinto condotto in Napoli, per poter ivi principiare ad esercitare la professione di avvocato" (Vincelli, p. 9). Professione che iniziò con l'introdursi nell'alta società napoletana e in particolare nell'ambiente forense, l'uno e l'altra ben conosciuti da Pinto mercé un contenzioso avuto con il vescovo di Larino (Molise).
Il M. ottenne "subito favore e protezione specialmente da parte del caporuota [del Sacro Regio Consiglio] marchese Cito, che ne ammirò i suoi grandi talenti" (ibid.). E a quel periodo (1787-89) risalgono i suoi primi successi giudiziari in importanti cause ereditarie che ne facilitarono l'inserimento in quel ceto legale, a entrare nel quale aveva ambito fin dal suo arrivo a Napoli.
Avendo aderito al gruppo dei riformatori seguaci di G. Filangieri, strinse amicizia con personaggi impegnati in attività politico-cospirative, come M. Pagano, D. Cirillo, D. Tommasi (cfr. Rovito, pp. 171 s.); fu nominato, durante il periodo della Repubblica del 1799, membro della Commissione legislativa, da cui si distaccò in considerazione dell'andamento astratto dei lavori. Al ritorno di Ferdinando IV di Borbone il M. non subì, tuttavia, alcuna conseguenza personale, anzi continuò ad affermarsi come avvocato del ceto nobiliare, dedicandosi nello stesso tempo a studi giuridici più in sintonia con il clima della rivoluzione. Difatti, nel 1806 Giuseppe Bonaparte, conquistato il Regno, "dimandò alla nobiltà napoletana di voler conoscere colui che fra gli avvocati più si distingueva per il suo sapere, per la sua probità e onestà e fu da essa unanimamente risposto che questi era don Francesco Magliano". Fu anche insignito del titolo di cavaliere delle Due Sicilie e infine, per nomina regia, chiamato a far parte, in qualità di consigliere, della Gran Corte di cassazione malgrado appartenesse all'ordine degli avvocati. È di quel periodo la stampa del De iuris interpretandi ratione tractatus (Neapoli 1808; rist. anast., ibid. 2005), che contribuì notevolmente ad accrescere la sua notorietà e che sul piano dell'interpretazione giuridica ha conservato una sua validità.
In tale opera, infatti, quanto era stato studiato ed esposto per il passato dai filosofi del diritto (H. Grozio, S. von Pufendorf, Chr. Wolff, ecc.) e dagli ermeneuti (J. de Coras, V. Forster, ecc.) veniva esaminato e rinnovato alla luce del codice Napoleone, entrato in vigore tradotto in italiano nel 1809. In altri termini "la svolta del giurista molisano - propedeutica e funzionale all'introduzione dei codici francesi nel Napoletano - era radicale. Veniva così affermato che compito precipuo del giudice era quello di accertare "la ratio" della legge e ad essa attenersi. Si concludeva "il tempo storico" del diritto giurisprudenziale e, in suo luogo, emergevano ordinamenti statualistici, totalizzanti e indifferenti all'articolarsi della fenomenologia sociale. Di tale teoresi il De juris interpretandi ratione costituiva, oltre che un supporto teoretico, uno strumento delucidativo ed applicativo, indispensabile in una fase di transizione" (Rovito, p. 175).
Sotto Gioacchino Murat e a seguito della codificazione napoleonica, "fu al Magliano affidata la cura di esaminare tutti coloro che aspiravano alle cariche di Magistrati ed a seconda della loro abilità venivano da lui situati in nomina di Cancellieri circondariali e di Giudici di Circondario o di Tribunale" (Vincelli, p. 11). In tale veste il M. si adoperò per svecchiare e risanare l'apparato giudiziario, incrostato da clientele e parassitismi. Con decreto del febbraio 1815 re Gioacchino gli conferì il titolo di barone con maggiorasco e relativi appannaggi.
Una buona prova di duttilità politica fu fornita dal M. durante la crisi aperta dalla disfatta di Waterloo, quando, deposto Murat e dileguatisi tutti gli altri ministri, la reggente Carolina Bonaparte non esitò a nominarlo, con decreto del 20 maggio 1815, "incaricato del portafoglio del Ministero della Giustizia e del Culto". Rimasto solo a reggere la cosa pubblica, dopo il ritorno di Ferdinando sul trono fu confermato nel suo incarico, così che, "arrivati i nuovi Ministri nominati ed ignari essi stessi della nuova legislazione ed ordine dello Stato, ha dovuto per due mesi dirigere ed istruire i due Ministri Luigi Medici ed il Marchese Tommasi" (ibid., p. 12). Fu quindi nominato, con decreto del 17 giugno 1815, membro della Commissione consultiva per la riforma dell'ordinamento giudiziario e, successivamente, con decreto del 2 ag. 1815, componente della commissione incaricata della compilazione dei codici civile e di procedura civile.
In questa sede il M. illustrò i pregi e i vantaggi che sarebbero derivati dall'adozione di un nuovo codice civile, sostenendo che "le leggi, quali che esse siano, debbono accomodarsi al carattere, alle abitudini ed alla istruzione del popolo per cui si formano" (Comentarj sulla prima parte del codice per lo Regno delle Due Sicilie, I, pp. 11 s.). In tal modo, e ricalcando il codice napoleonico, il 31 marzo 1819 entrò in vigore il codice per il Regno delle Due Sicilie.
Conclusa tale esperienza, il M. fu nominato, con decreto del 31 genn. 1817, consigliere del Supremo Consiglio di Cancelleria del Regno. In tale qualità, con decreto del 6 luglio 1820, fu da Ferdinando I nuovamente nominato ministro di Grazia e giustizia e degli Affari ecclesiastici, durante la temporanea assenza di Francesco Ricciardi, conte di Camaldoli. Successivamente, con l'abolizione del Consiglio supremo di Cancelleria e in occasione del nuovo assetto costituzionale, fu nominato consigliere di Stato con decreto del 17 dic. 1820.
Revocata la costituzione da parte di Ferdinando I, il M. si allontanò dalla politica e riprese gli studi. È, difatti, di questo periodo la pubblicazione di opere che, pur legate alla contingenza storica della codificazione, sono da considerarsi fondamentali per la conoscenza pratica della nuova legislazione.
Si tratta dei Comentarj sulla prima parte del codice per lo Regno delle Due Sicilie (I-VII, Napoli 1819-25) - in cui sottolinea il valore positivo della codificazione ai fini di una definizione sintetica e sistematica del diritto statuale - e del Corso elementare della legislazione civile del Regno delle Due Sicilie (I-VI, ibid. 1819-23). Successivamente le Considerazioni sulla natura dell'uomo (ibid. 1824) e il Dell'arte poetica di Quinto Orazio Flacco (Roma 1828) testimoniarono, oltre alla sua versatilità nelle materie filosofico-letterarie, il totale e perdurante disimpegno del M. dai consueti temi giuridici.
Il M. prese le distanze da un mondo che non riconosceva più consono ai suoi principî riformatori allontanandosi da Napoli. Si recò a Roma in occasione del giubileo del 1825, poi soggiornò a Firenze. Tornò quindi a Roma, dove "l'attirava il corteggio de' Prelati e Cardinali, che continuamente lo consultavano" (Vincelli, p. 13).
Per le sue non buone condizioni di salute, fece ritorno a Napoli nel 1833, dove morì il 20 giugno 1837 e fu sepolto in una fossa comune del cimitero dei colerosi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Catasto onciario, San Giuliano di Puglia, vol. 7653, cc. 1024, 1032; Necr., in Poliorama pittoresco, III (1838), 1, pp. 135-137; C. De Nicola, Diario napoletano 1798-1825, Napoli 1906, II, p. 830; G.B. Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, Cava dei Tirreni 1952, IV, pp. 307 s., 426; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1953-57, II, p. 431; III, pp. 30, 141, 180; R. Feola, Dall'Illuminismo alla Restaurazione, Napoli 1977, pp. 255-259; A. De Martino, La nascita delle intendenze: problemi dell'amministrazione periferica nel Regno di Napoli (1806-1815), Napoli 1984, p. 47; Gli uomini illustri di Montorio. D. Tommasi e la legislazione, a cura di G. Vincelli, Campobasso 1993, pp. 9-14 (comprende la biografia del M. scritta dal nipote, L. Carfagnini, vissuto tra il 1794 e il 1869); F. De Carolis, La personalità di F. M. e la sua opera innovatrice nel campo giuridico-culturale, in Studi etno-antropologici e sociologici, XXIII (1995), pp. 35-49; M.G. Urciuoli, Il barone F. M.: l'uomo e l'opera, ibid., pp. 76-81; M. Magliano, Profilo del barone F. M. (1764-1837), in Riv. giuridica del Molise e del Sannio, 1995, n. 1-2, pp. 299-308; P.L. Rovito, Da giacobino a "filosofo cristiano". La duttile fermezza di F. M., postfaz. a F. Magliano, Considerazioni su la natura dell'uomo, a cura di G. Vincelli, Napoli 1999, pp. 169-187; Codice per lo Regno delle Due Sicilie, III, Leggi della procedura ne' giudizj civili (Napoli 1840), Milano 2004, p. XII (con introduz. di F. Cipriani); Diz. biografico universale, Firenze 1844-45, III, p. 830; P. Albino, Biografie e ritratti degli uomini illustri della provincia del Molise, Campobasso 1864, III, pp. 2-6; Nuova Enc. italiana, Torino 1882, XIII, pp. 220 s.; Diz. enciclopedico illustrato, Milano 1914, II, p. 197.