MALAGUZZI VALERI, Francesco
Nacque a Reggio nell'Emilia il 23 ott. 1867 dal conte Gherardo e dalla nobile padovana Giulia Gaudio. Frequentò il collegio di Reggio e poi il S. Carlo a Modena, dove si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza benché fosse incline a interessi artistici sollecitati dall'esempio paterno. Trasferitosi a Roma, concluse gli studi nel 1890 con una tesi su Il diritto di grazia (Reggio Emilia 1894). Nella capitale entrò in contatto con A. Venturi, all'epoca ancora attivo presso la direzione generale delle Antichità e belle arti, il quale sarebbe stato determinante nelle scelte successive del giovane.
Ritornato a Reggio si dedicò a ricerche d'archivio focalizzando il suo interesse sugli artisti locali (Notizie di artisti reggiani, 1300-1600, Reggio Emilia 1892), e in particolare su Prospero Spani (Lo scultore Prospero Spani, detto il Clemente, Modena 1893). L'incoraggiamento di Ippolito Malaguzzi Valeri, suo cugino e cognato, che reggeva l'Archivio di Stato di Modena, fu fondamentale in questa prima fase della formazione del M.; Ippolito lo avrebbe ancora chiamato con sé nel 1899, una volta nominato direttore dell'Archivio di Stato di Milano. Nel 1892 il M. aveva intanto iniziato a frequentare come allievo l'Archivio di Stato di Bologna sotto la guida di C. Malagola che lo indirizzò nell'opera di ordinamento dei codici miniati.
Di questi primi studi il M. lasciò traccia sul quotidiano bolognese Il Resto del carlino (I recenti aumenti nelle collezioni artistiche del R. Archivio di Stato di Bologna, 11 e 18 dic. 1893) e in contributi scientifici poi confluiti nel Catalogo delle miniature e dei disegni posseduti dall'Archivio di Stato di Bologna pubblicato a Bologna nel 1898. Furono per il M. ancora anni di orientamento sia nella definizione del campo di ricerca, sia degli aspetti metodologici. Una testimonianza emblematica è offerta dal ricco ventaglio di articoli che andò redigendo dagli anni Novanta. Frequentemente scrisse sul prestigioso Archivio storico dell'arte diretto da Venturi dal 1888 (dieci anni dopo la rivista avrebbe mutato il nome in L'Arte), campo di sperimentazione di molti storici dell'arte (tra gli altri suoi contributi si ricordano I Parolari da Reggio e una medaglia di Pastorino da Siena, V [1892], pp. 34-50; Lavori d'intaglio e tarsia nei secoli XV e XVI a Reggio Emilia, ibid., pp. 348 s.; La collezione delle miniature nell'Archivio di Stato di Bologna, VII [1894], pp. 1-20; Nuovi documenti, ibid., pp. 364-371). Firmò articoli, ma più saltuariamente, per gli Atti e memorie della Regia Deputazione di storia patria per le province modenesi e parmensi e di quella per le province di Romagna (di cui divenne socio), riviste note anche per le battaglie sui temi della tutela del patrimonio artistico. Dal 1896 iniziò la collaborazione con il Repertorium für Kunstwissenschaft, allo scopo di permettere una maggiore diffusione delle ricerche di storia dell'arte italiana e bolognese in particolare. Molti dei suoi contributi sono infatti studi sul patrimonio artistico della città, o recensioni su volumi relativi a complessi monumentali nazionali, o anche, più genericamente, presentazioni di mostre. Sporadici, invece, furono gli interventi su altre due riviste non specialistiche, ma fondamentali nel panorama dell'editoria italiana, l'Archivio storico italiano e il Bollettino dell'Istituto storico italiano. Il M. si dedicò inoltre alla numismatica con ricerche sulle zecche di Reggio Emilia (1894) e di Bologna (1901).
Il presidente della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna era G. Carducci. Erano gli anni dell'importante campagna di neomedievalizzazione della città che aveva visto proprio Carducci artefice, attraverso il Manifesto ai Bolognesi (1878), di una raccolta di fondi per la ripresa dei lavori al complesso monumentale di S. Stefano iniziati da R. Faccioli e destinati all'eliminazione delle aggiunte barocche.
Qui incontrò, tra gli altri, O. Guerrini, alias Lorenzo Stecchetti, colto filologo e direttore della Biblioteca universitaria presso la quale aveva lavorato fino al 1893 C. Ricci, poi trasferito alla direzione della R. Galleria di Parma e della R. Galleria Estense di Modena. Erano gli stessi luoghi frequentati dal M., che ebbe modo di confrontarsi con il più anziano studioso sui restauri di Ravenna, dove nel 1897 si era stabilita la sede di una speciale soprintendenza - la prima e modello per tutti gli organismi successivi - posta sotto la guida dello stesso Ricci (I ristauri di Ravenna, in L'Illustrazione italiana, XXVII [1899], pp. 76-80). Il giovane M. ebbe l'opportunità di sperimentare sul campo la messa a punto di nuove metodiche di restauro improntate sulla conduzione parallela tra scavo d'archivio e ricerca sui complessi architettonici, accompagnate da una sistematica documentazione fotografica.
Nel gennaio del 1899 si trasferì a Milano presso l'Archivio di Stato dove lavorò fino al 1903 dando luogo a una serie di ricerche fra le quali s'impose il volume dedicato ai Ricamatori e arazzieri a Milano nel Quattrocento, Milano 1903.
Nel 1903 vi fu una svolta decisiva nella sua carriera. Ricci, direttore della Pinacoteca di Brera dal 1898, consapevole di essere trasferito di lì a poco a Firenze alla direzione delle Regie Gallerie e desideroso di passare le consegne a un uomo di sua fiducia, richiese il M. come collaboratore al riordinamento delle sale, ma soprattutto lo coinvolse nella stesura del catalogo dei dipinti della galleria.
Nella documentazione conservata presso la Biblioteca Classense di Ravenna, dove è depositato un monumentale Fondo Ricci, vi è un ricco epistolario che testimonia la genesi e la stesura di questo importante catalogo edito nel 1908 dall'Istituto italiano d'arti grafiche di Bergamo, "con cenno storico di Corrado Ricci".
Il M. aveva iniziato frattanto la collaborazione con Emporium (1899) e con Il Marzocco (1901) e la condirezione della rivista Rassegna d'arte con G. Cagnola. L'incontro con questo importante collezionista e conoscitore milanese significò per il M. un ampliamento delle relazioni di lavoro, estese anche a studiosi stranieri quali F. Mason Perkins e B. Berenson. Gli interessi di studio del M. presero a definirsi meglio e soprattutto a specializzarsi. Il vivace ambiente milanese, dove avevano commercio numerosi antiquari e dove abitavano molti collezionisti, lo stimolò a indirizzare le ricerche nell'ambito della storia dell'arte lombarda rinascimentale. In questi primi lavori, dedicati a un'indagine sui caratteri della primitiva scuola lombarda, si delineano i suoi orientamenti metodologici tesi all'analitica ricostruzione documentaria di un periodo, di un artista, di un ambiente. Non a caso per la rivista curò la sezione "Dagli archivi" nella quale travasava, dopo un attento vaglio, le fonti documentarie. Accanto a un'attività di studio delle opere della Pinacoteca di Brera, compresi i disegni (I disegni della R. Pinacoteca di Brera, Milano 1906), il M. - che nel 1907 era stato nominato ispettore - si dedicò a una serie di perlustrazioni e sopralluoghi nel territorio lombardo. Particolarmente incisiva, anche perché si trattava di luoghi pressoché inesplorati, fu la sua ricognizione in provincia di Sondrio, che lo portò a stendere una prima bozza di inventario degli oggetti d'arte proprio con lo scopo dichiarato di bloccare la preoccupante e sciagurata dispersione del patrimonio artistico (1905).
Nel 1904 il M. fu chiamato a collaborare alla catalogazione e all'ordinamento della Mostra dell'antica arte senese, di cui era presidente Ricci. Questa esperienza fu molto importante e segnò l'origine del passaggio dei suoi interessi, fino ad allora prevalentemente archivistici, a quelli più propriamente museali. Determinante fu tuttavia l'occasione del riallestimento della Pinacoteca di Brera messo in opera sempre da Ricci nei primi anni del secolo.
Prima di passare a Bologna, il M. diede alle stampe una serie di ricerche condotte presso archivi lombardi ed emiliani, che diedero validi contributi documentari. Parte di questi studi confluì successivamente nella monumentale pubblicazione La corte di Ludovico il Moro, in quattro volumi (Milano 1913-23).
I volumi, ritenuti il lavoro più importante del M., si presentano particolarmente sontuosi sotto l'aspetto grafico e sono corredati da una straordinaria mole di documenti e da un ricchissimo apparato illustrativo. Considerata il modello italiano di "Kulturgeschichte", l'opera fu ferocemente criticata dal giovane R. Longhi in successivi interventi su L'Arte (1914, 1916, 1917), salvo rivedere parzialmente il proprio giudizio all'uscita dell'ultimo volume.
Nel dicembre 1914 il M. fu nominato direttore della Pinacoteca di Bologna, con la contemporanea assunzione del ruolo, mantenuto fino al 1923, di soprintendente alle Gallerie di Bologna e della Romagna. Per un breve periodo, tra il 1920 e il 1924, ebbe inoltre la reggenza della soprintendenza archeologica per l'Emilia e la Romagna. Negli anni successivi alla guerra, durante i quali, come molti altri suoi colleghi, era stato impegnato nella salvaguardia del patrimonio artistico, aveva dedicato le sue energie principalmente al riallestimento dei musei e delle gallerie bolognesi - la Pinacoteca e il Museo Davia Bargellini, inaugurati nel 1924 - e del territorio di sua competenza (Cesena, Faenza, Ferrara, Forlì, Imola, Rimini).
Nella Pinacoteca bolognese rivisitò complessivamente l'ordinamento precedente; acquisì importanti dipinti dalle collezioni comunali, molti dei quali disseminati in uffici e magazzini; si batté per un ampliamento del percorso espositivo, recuperando spazi e creandone di nuovi, come un'ala per la presentazione delle grandi pale barocche. Infine, scelse di arredare le sale con sculture e mobili provenienti da diversi palazzi cittadini con lo scopo di dare l'illusione di appartamenti invece che di fredde sale di museo (I primi acquisti della Pinacoteca di Bologna, in Cronache d'arte, III [1926], pp. 14 s.). Questo principio museografico di valore rievocativo trovò piena realizzazione nel Museo Davia Bargellini. Museo d'ambiente per eccellenza, di gusto eclettico, il Davia Bargellini fu ospitato nel prestigioso palazzo seicentesco dei Bargellini. Il M. progettò, raccogliendo materiale dalle provenienze più eterogenee con lo scopo di evitarne "lo sperpero", un museo per le arti decorative, o d'arte "industriale" (Il Museo d'arte industriale di Bologna, ibid., IV [1927], p. 15). Il modello restava il South Kensington Museum di Londra, in seguito diffuso in tutta Europa, che proponeva di arricchire il gusto estetico nella produzione artigianale italiana riferendosi ai manufatti antichi.
Negli ultimi anni il M. riprese gli studi sull'arte emiliana, in particolare sui pittori del XVII e XVIII secolo, contribuendo a una complessiva revisione del giudizio storiografico, anche attraverso l'organizzazione di importanti mostre. Pubblicò contemporaneamente contributi relativi a palazzi e a ville bolognesi su Cronache d'arte, rivista da lui fondata nel 1924 e che interruppe la pubblicazione con la sua morte.
Il M. si suicidò a Bologna il 23 sett. 1928, probabilmente in seguito allo scandalo suscitato dalla sparizione di alcuni dipinti di proprietà del Comune.
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