MALGERI, Francesco
Nacque a Messina il 13 genn. 1900 da Eugenio - discendente da un antico casato calabrese, di Bova Marina, professore di liceo e grecista amico di G. Pascoli - e da Ida D'Agostino. Nel capoluogo siciliano frequentò il liceo; nel 1916 si iscrisse quindi alla facoltà di giurisprudenza, dividendo il proprio tempo tra gli obblighi della formazione universitaria, la presidenza del sottocomitato studentesco della società Dante Alighieri e gli impegni alla Gazzetta di Messina e delle Calabrie, il giornale che ne ospitò il precoce esordio e del quale fu nominato, nella primavera del 1917, redattore capo. Non ancora diciottenne, fu chiamato alle armi e incorporato nel 1( reggimento granatieri; il conflitto terminò precedentemente all'impiego della sua classe, che fu smobilitata senza aver partecipato ai combattimenti.
Nell'immediato dopoguerra si trasferì con la famiglia a Roma. Da fuorisede portò a termine gli studi conseguendo, nel luglio 1920, la laurea in legge all'Università di Messina, con la tesi "Il pensiero di G. Romagnosi e l'odierna crisi del diritto penale in Italia" che gli valse la lode e le congratulazioni del Senato accademico. Nonostante i promettenti risultati nel campo della scienza giuridica e l'iscrizione all'Albo degli avvocati e dei procuratori, il M. non intraprese la strada della professione forense. Fin dal suo arrivo nella capitale si dedicò piuttosto al giornalismo, facendo evolvere l'apprendistato giovanile nella collaborazione con il foglio di cui sarebbe divenuto direttore, Il Messaggero dei fratelli Perrone. Assunto, nel dicembre 1918, come articolista del supplemento giudiziario guidato da S. D'Amelio, fu trasferito alla redazione del quotidiano, dove realizzò una celere carriera nel settore politico-parlamentare (dicembre 1919); il talento, l'intraprendenza personale e la campagna di nuovi ingaggi determinata dall'allontanamento dei nittiani A. Cianca e A. Giannini gli consentirono di commentare da una tribuna di prim'ordine la dissoluzione dell'Italia liberale.
Lungi dal limitarsi all'analisi degli eventi che avrebbero condotto, nell'ottobre 1922, B. Mussolini al potere, il M. (o Fram, come prese a firmare i propri articoli) non esitò a manifestare le proprie simpatie per il fascismo.
I servizi sul gruppo parlamentare fascista formatosi alla Camera dopo le elezioni del maggio 1921; l'intervista che il futuro duce gli concesse, in esclusiva, a seguito delle dimissioni di G. Giolitti (A crisi scoppiata. Dichiarazioni e impressioni di Mussolini, in Il Messaggero, 28 giugno 1921); i resoconti pubblicati dal teatro dell'Augusteo nel novembre 1921, in occasione del congresso di fondazione del Partito nazionale fascista (PNF); la cronistoria della marcia su Roma, nel corso della quale fu in stretto contatto con i gerarchi del Quadrumvirato d'azione e con il comandante della milizia, A. Teruzzi; l'opera di propaganda svolta a ridosso del delitto Matteotti (1924) e della secessione dell'Aventino: i temi e il tenore di questa produzione testimoniano della posizione del M., sempre più prossima e interna al movimento e al regime, rafforzata, nell'ottobre del 1924, dalla domanda di tesseramento al PNF.
Nella seconda metà degli anni Venti collaborò all'opera di fascistizzazione della stampa indirizzata tanto al disciplinamento dei giornalisti quanto al controllo, capillare e diffuso, dell'opinione pubblica.
Senza trascurare la redazione del Messaggero, del cui ufficio romano venne nominato responsabile, fu parte attiva delle organizzazioni nazionali e locali che affiancarono il partito nella gestione della politica culturale: componente della commissione "Propaganda e stampa" della federazione fascista di Reggio Calabria (1927), presidente della Federazione fascista della Cooperazione edilizia, membro del primo Consiglio nazionale delle corporazioni (1930-33), del consiglio direttivo del Circolo della stampa (1930) e della commissione di Propaganda della federazione dell'Urbe (1931), per non citare che alcuni degli incarichi svolti nella fase della costruzione della dittatura.
Fu negli anni della stabilizzazione totalitaria, tuttavia, che la sua carriera registrò un vero e proprio salto qualitativo, quando fu tra i protagonisti del processo di modernizzazione avviato da Mussolini al fine di adeguare la stampa nazionale agli standard del giornalismo europeo e alle inclinazioni del nascente pubblico di massa. Esortati a partecipare al rinnovamento in atto, i Perrone decisero di affidare Il Secolo XIX al M., la cui giovane età era controbilanciata dal prolungato e invidiabile stato di servizio interno come dalle solide credenziali fasciste, conformi alla normativa sulle nomine dei direttori adottata dal regime fin dal 1927.
La scelta si rivelò ben fondata: sotto l'impulso del M. (dall'agosto 1931 condirettore con M. Fantozzi; dal marzo 1932, direttore), l'antico foglio di Genova recuperò la visibilità perduta e aumentò il numero di copie vendute, riuscendo a vincere la temibile concorrenza de Il Lavoro e a conquistare parte del suo storico uditorio popolare.
Non fu quindi un caso se il M. fu presto richiamato a Roma per sostituire C. Crispolti alla guida del Messaggero. Nei nove anni in cui si trovò al vertice del principale organo di stampa della capitale (4 dic. 1932 - 18 luglio 1941), egli ne modificò profondamente la fisionomia, rimodernandone stile e tecniche giornalistiche e innalzando la competenza e la personalità del gruppo redazionale.
Le trasformazioni riguardarono, innanzitutto, la dimensione materiale del quotidiano: adozione di un formato più dinamico, di otto pagine su sette colonne; impiego diffuso delle fotografie; potenziamento delle campagne promozionali e velocizzazione dei tempi di distribuzione. Furono coinvolti, in secondo luogo, la ripartizione e il linguaggio degli articoli: maggiore spazio alle notizie locali e alla cronaca nera; ricorso ai reportages degli inviati speciali; potenziamento dei servizi dedicati allo sport; inaugurazione dell'inserto del lunedì, Il Meridiano, per "inserire nel giornale quotidiano la ricchezza e la varietà del settimanale" (Murialdi, 1986, p. 116). Il M. puntò, in terzo luogo, a reclutare professionisti intelligenti e capaci, a prescindere dalla loro ortodossia politica; esemplificativi furono i casi di G. Sprovieri e A. Zuanino, non iscritti all'Albo dei giornalisti, o di F. Maratea, massone, e A. Jacchia, ebreo.
L'atteggiamento pragmatico e tollerante del direttore contribuì ad accrescere il prestigio del foglio romano suscitando, al tempo stesso, la diffidenza e le perplessità degli apparati di regime, che aumentarono con il procedere dell'irreggimentazione dei mezzi di comunicazione e la gestione accentratrice e autoritaria da parte del nuovo ministro della Stampa e propaganda, D. Alfieri.
Le tensioni con il potente dicastero, congiuntamente al ritardo con cui il quotidiano si uniformò alla politica razziale della dittatura, acuirono il clima di sospetto nei confronti del Messaggero, malgrado l'aumento della tiratura, che nel 1939-40 raggiunse le 240.000 copie, e le prove di fedeltà che il M. offrì nel 1936, arruolandosi volontario per l'Africa orientale (divisione Camicie nere "1( febbraio") e, nel 1941, visitando il Terzo Reich insieme con il collega de La Stampa A. Signoretti. Tuttavia, nell'estate dello stesso anno, Mussolini diede il via libera al licenziamento: uno scarno trafiletto avvertì i lettori che il M. era stato sostituito da F. Buoninsegni, "fascista del 1919 e combattente" (Il Messaggero, 18 luglio 1941).
A nulla valsero i tentativi compiuti per riabilitare il proprio nome e tutelarsi dalle accuse; nemmeno la stesura di un memoriale autobiografico, titolato In difesa della verità e inviato personalmente a Mussolini (Arch. centrale dello Stato, Segreteria part. del duce, Carteggio riservato, b. 83, sottofasc. 1-2: Malgeri Francesco), riuscì a restituirgli una funzione all'interno della stampa fascista.
La progressiva emarginazione e le posizioni antitedesche di cui fu ripetutamente imputato ne fecero piuttosto una figura scomoda e isolata, che l'occupante nazista non esitò a imprigionare a Regina Coeli durante l'ultimo anno di guerra.
Nei convulsi mesi della transizione postbellica e del dibattito sull'epurazione il M. optò per l'allontanamento dall'Italia e si imbarcò alla volta del Brasile, dove si stabilì a San Paolo con la moglie e la figlia, riprendendo l'attività giornalistica sospesa in patria. Oltre a scrivere per alcune testate locali, fondò e diresse l'Instituto progresso editorial (1946-49); partecipò quindi con intensità alla vita della comunità degli emigrati italiani, della cui associazione Amici del Brasile divenne presidente. Più che per l'operosità politica e culturale, gli anni brasiliani diedero notorietà al M. per il supporto che egli offrì a un esiliato d'eccezione, L. Federzoni.
Ospitalità, collaborazioni sotto falso nome al foglio Estado de São Paulo e all'Instituto progresso editorial, pubblicazione nei giornali latinoamericani di alcuni estratti delle Memorie di un condannato a morte: dal luglio 1946 all'aprile 1947, l'ex gerarca di Mussolini trovò in casa Malgeri non solo una dimora in cui trascorrere i difficili mesi della latitanza ma anche un valido aiuto economico e professionale, a dimostrazione dell'efficienza della rete di relazioni sulla quale i vertici della dittatura fuggiti in America Latina poterono contare fin dal loro arrivo nel nuovo continente.
All'inizio degli anni Cinquanta il M. rientrò in Italia, dove non tardò a reinserirsi nel giornalismo repubblicano per assumervi incarichi dirigenziali e funzioni di responsabilità. Legatosi alle imprese editoriali del banchiere e senatore democristiano T. Guglielmone, subentrò a L. Barzini jr. alla guida della Settimana Incom illustrata, il rotocalco fondato da S. Pallavicini nel secondo dopoguerra allo scopo di riproporre su carta lo stile e il target dell'omonimo cinegiornale; fu in seguito direttore del quotidiano torinese La Gazzetta del popolo (1( luglio 1953 - 4 genn. 1958) e della sua edizione pomeridiana, Gazzetta sera (1( luglio 1953 - 12 ag. 1957).
Nel 1961 si trasferì a Milano e pose le sue competenze al servizio di E. Mattei, presidente dell'ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), che lo nominò amministratore delegato della Segisa, la società editrice de Il Giorno, affidandogli la gestione dei complessi e non sempre amichevoli rapporti con il direttore I. Pietra e con una delle redazioni più vivaci e anticonformiste dell'Italia del Centrosinistra; negli stessi anni, fu presidente della Radar cinematografica, distributrice del cinegiornale Radar. A coronamento della sua carriera professionale il M. si insediò, dal 1969 al 1976, alla presidenza dell'Agenzia nazionale stampa associata (ANSA), la principale agenzia di stampa nazionale.
Nel corso del proprio mandato promosse e coordinò il trasferimento dell'ANSA dalla sede di via della Propaganda Fide a quella di via della Dataria, conquistandosi la stima e l'apprezzamento della redazione che lo insignì, al termine dell'incarico, del titolo di presidente onorario.
A Roma, dove era tornato ad abitare stabilmente alla fine degli anni Sessanta, il M. morì il 1( maggio 1979.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Segreteria part. del duce, Carteggio ordin., ff. 518800, 518898, 519278, 528698, 544896; ibid., Carteggio riservato, W/R, b. 83, sottofasc. 1-2: Malgeri Francesco; b. 53, f. Il Messaggero, sottofasc. Gestione Malgeri; Ministero dell'Interno, Direzione generale della Pubblica Sicurezza, Divisione Polizia politica, cat. 1: Malgeri comm. Francesco, direttore del giornale "Il Messaggero"; ibid., Divisione Affari generali e riservati, cat. A1: Malgeri Francesco; F. Malgeri, In difesa della verità, Roma 1941; G. Bottai, Diario, I, 1935-1944, a cura di G.B. Guerri, Milano 1982, p. 531; G. Ansaldo, Il giornalista di Ciano: diari 1932-1943, Bologna 2000, pp. 176, 209, 253; A. Signoretti, La stampa in camicia nera. 1932-1943, Roma 1968, p. 217; P. Murialdi, La stampa italiana del dopoguerra, Roma-Bari 1978, pp. 113, 220, 383 s., 436; M. Isnenghi, Giornali e giornalisti. Esame critico della stampa quotidiana in Italia, Roma 1978, p. 93; G. Talamo, "Il Messaggero". Un giornale durante il fascismo. Cento anni di storia, II, 1919-1946, Firenze 1984, pp. VII s., 227, 263 s., 275-277, 279 s., 283 s., 286, 295, 300 s., 309, 312-318; P. Murialdi, La stampa del regime fascista, Roma-Bari 1986, pp. 97 s., 101, 138, 149, 207; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa orientale, II, La conquista dell'Impero, Milano 1992, p. 458; M. Grandinetti, I quotidiani in Italia 1943-1991, Milano 1992, pp. 154, 162, 207; A. Vittoria, I diari di L. Federzoni. Appunti per una biografia, in Studi storici, XXXVI (1995), 3, p. 1; M. Isnenghi, L'Italia del fascio, Firenze 1996, pp. 262, 273, 314; P. Murialdi, La stampa italiana dalla Liberazione alla crisi di fine secolo, Roma 1998, pp. 47, 98; V. Emiliani, Gli anni del "Giorno", il quotidiano del signor Mattei, Roma 1998, pp. 144-146; E. Bricchetto, La verità della propaganda. Il Corriere della sera alla guerra d'Etiopia, Milano 2004, p. 77; O. Freschi, "Il Secolo XIX". Un giornale e una città 1886-2004, Roma-Bari 2005, pp. 315-321, 337; Chi è? 1931, Roma 1931, p. 333; Chi è? 1948, ibid. 1948, p. 337; E. Savino, La nazione operante. Albo d'oro del fascismo. Profili e figure, Novara 1934, p. 342; Annuario della Stampa italiana, a cura del Sindacato nazionale fascista dei giornalisti, Bologna 1939-50, ad ind.; G. Vaccaro, Panorama biografico degli italiani d'oggi, II, Roma-Firenze 1956, p. 360.