MANCINI, Francesco
Figlio di Nicola e di Ippolita Squillace, nacque a Napoli il 16 genn. 1672. Forse ricevette i primi rudimenti musicali dal padre, un buon organista scomparso precocemente (1681). Alla morte di Nicola, il M. fu affidato al nonno paterno, Giuseppe, che nel 1688 gli fece iniziare (o forse proseguire) gli studi di organo presso il conservatorio della Pietà dei Turchini, dove il M. frequentò i corsi di F. Provenzale e G. Ursino. Terminati gli studi, dal 1694 il M. assolse all'obbligo di servire per almeno sei anni l'istituzione come organista; allo scadere del periodo iniziò, intorno al 1700 (forse 1702), la sua carriera presso la Real Cappella.
L'esordio del M. come compositore è databile nell'ultimo decennio del Seicento. Agli anni Novanta risalgono le prime cantate datate, e al gennaio 1696 il dramma per musica Il nodo sciolto e ligato dall'affetto. Del 1698 è il primo oratorio noto: Dolorose canzoni, eseguito a Napoli presso la congregazione di S. Spirito di Palazzo.
La produzione oratoriale del M. ebbe una certa consistenza e una buona diffusione: risultano prime esecuzioni o repliche a Napoli, Roma, Palermo, Firenze, Urbino, nonché inserzioni di arie manciniane in pasticci fiorentini. Restano i soli libretti, con l'eccezione dell'ultimo, Il zelo animato, che non si può considerare rappresentativo in quanto concepito come esercitazione per i ragazzi del conservatorio, e piuttosto anomalo anche nell'impianto testuale rispetto agli altri libretti.
Nel 1702 il M. cominciò con Ariovisto la regolare produzione di partiture operistiche per i teatri napoletani. Nel dicembre 1703 concorse senza successo al posto di maestro di cappella nella Real Cappella; nell'autunno del 1704 riuscì a ottenere il posto di primo organista presso la stessa istituzione, prima tappa per aspirare a ruoli di maggior impegno. Fino al 1706 il M. compose un'opera l'anno.
Nel luglio 1707 la situazione politica nel Regno di Napoli (sotto dominio spagnolo) mutò drasticamente, con l'insediamento degli Austriaci nella capitale. Il M. si pose alla testa della fazione austriacante della Real Cappella e si precipitò ad accogliere i vincitori con un Te Deum. Approfittando dell'assenza temporanea del maestro in carica, A. Scarlatti, il 5 dicembre il M. ottenne la promozione a primo maestro. Scarlatti non era però disposto a subire un simile "scippo", e nel dicembre 1708 riuscì a farsi reintegrare dal nuovo viceré, V. Grimani; il M. fu retrocesso a vicemaestro, mantenendo tuttavia lo stipendio di 35 ducati. Sotto la direzione del M. l'organico della cappella aveva raggiunto i 38 elementi (Cotticelli - Maione, 1993, p. 17). Il M. aveva comunque ottenuto un avanzamento di carriera rispetto al 1704; negli anni successivi continuò ad attivarsi per la successione a Scarlatti, che gli fu garantita nel 1718 (ibid., p. 83 n. 68). La sua posizione era ormai ben consolidata, e continuò con regolarità la produzione di opere e adattamenti per i teatri cittadini.
Con l'arrivo degli Asburgo, il repertorio napoletano cominciò ad attingere a quello viennese; nei primi anni della Napoli austriaca il M. mise in musica libretti già intonati da altri per la corte asburgica, come pure si fece carico di adattare al gusto partenopeo partiture di provenienza viennese, aggiungendo scene buffe e sostituendo arie. In particolare, il M. tornò su testi musicati per Vienna da G. Bononcini: Turno Aricino (1708) e Mario fuggitivo (1710) furono reintonati ex-novo, mentre Abdolomino fu adattato nel 1711. Il canale viennese non era tuttavia l'unico dal quale Napoli riceveva libretti e partiture: un caso interessante è l'adattamento manciniano dell'Agrippina di G.F. Händel (Venezia 1709), ripresa nel 1713 inserendo le scene buffe e sostituendo un cospicuo numero di arie; la partitura è perduta.
Negli anni in cui fu il vice di Scarlatti, il M. chiese diversi permessi per recarsi a Roma, il secondo polo della sua attività, dove furono eseguite le poche premières operistiche non napoletane e gli furono commissionate cantate e musica sacra.
L'opera rappresenta un nucleo rilevante nel catalogo del M., ed è ben documentata attraverso le partiture: ne restano una decina complete o quasi, più arie staccate, a coprire l'intero arco della sua attività. Si può così analizzare, sia pure con lacune, il processo che, dagli esordi ancora molto legati allo stile scarlattiano (la prima partitura superstite è quella de Gli amanti generosi, 1705), porta alle grandi arie del Demofoonte (1735), pasticcio metastasiano cui il M. contribuì con sei arie accanto a D. Sarro e L. Leo.
Lo stile operistico del M. è improntato a una grandissima cantabilità, molto efficace sul versante patetico e con un gusto deciso per il dosaggio delle risorse strumentali, di solito annotate con attenzione in partitura, come pure per l'intensità degli effetti armonici, abilmente collocati a connotare sia la dimensione verticale, sia quella orizzontale della scrittura. I recitativi dimostrano attenzione alle strutture sintattiche e retoriche dei testi, nonché gusto per la pittura sonora di singole parole. Sporadica è l'occorrenza dei recitativi accompagnati, utilizzati regolando abilmente l'effetto di climax nella successione recitativo semplice - recitativo accompagnato - aria, o nell'articolazione interna, di cui è un esempio efficace l'aria che intona il lamento di Lodovico sulla tomba della moglie da lui ingiustamente condannata a morte (e in realtà viva: cfr. L'Engelberta, atto III, scena 9). L'esordio "Ossa adorate e care" è analogo a un recitativo semplice, ma con l'armonizzazione affidata agli archi; un intervento in eco di Engelberta fa mutare completamente l'atmosfera, producendo un cambio di armatura di chiave e di figure degli archi; la cadenza lega strettamente il recitativo alla successiva aria di Lodovico, Cari sassi, all'ossa amate, proposta senza soluzione di continuità.
Nelle arie e pezzi chiusi si osserva in genere un progressivo irrobustimento delle strutture, che passano dalle più contenute arie con da capo monotematiche delle prime partiture alle grandi costruzioni politematiche delle opere più mature. Accanto alle arie tripartite, in punti di snodo importanti si trovano arie monostrofiche o semplici distici in rima baciata che molto spesso assumono una colorazione emotivamente intensa, sul versante patetico o su quello dell'esplosione improvvisa di un sentimento forte. Si tratta di una caratteristica condivisa dagli operisti della sua generazione (come Händel); tuttavia il M. approfitta con abilità delle occasioni offerte dai libretti in tale direzione e le ariette monostrofiche di solito si impongono per felicità di realizzazione; si consideri per tutte Selve ombrose, io vo cercando (Gli amanti generosi, II, 1; Berenice), con violoncello obbligato, in cui il materiale musicale è costruito sulla variazione del tetracordo di lamento. All'interno del corpus manciniano il lamento è una presenza numericamente esigua ma incisiva. In forma elaborata e variata, il tetracordo discendente viene proposto in alcune arie intensamente patetiche come nettissimo richiamo alla tradizione dell'aria-lamento, adattata alla mutata sensibilità del Settecento; begli esempi sono Infelice prigioniero (Gli amanti generosi, II, 11; Idaspe, nella scena di prigione), e Sopra l'urna mia dolente (Il gran Mogol, I, 6; Zanaida), grande aria con un raffinato trattamento degli archi, divisi in due blocchi e con i contrabbassi separati dai violoncelli, che fioriscono il tetracordo discendente esposto al grave.
Un accenno merita anche il talento comico del M., liquidato a volte frettolosamente; il fatto che sia stato spesso chiamato ad aggiungere scene buffe al repertorio d'importazione, e soprattutto uno sguardo d'insieme a inserzioni comiche e veri e propri intermezzi portano invece a una valutazione positiva (per un'esposizione analitica dello stile operistico del M., compreso il côté comico, cfr. Romagnoli, 1987 e 1998).
Nel ventennio di servizio come vicemaestro il M. coltivò a latere dei suoi impegni con la Real Cappella una serie di rapporti, in primis con le numerose confraternite che promuovevano un'intensa attività devozionale e celebrativa accompagnata da musica liturgica o paraliturgica e da oratori. I vertici della Real Cappella erano normalmente chiamati a comporre per le confraternite; in più, della Congregazione dei musicisti con sede a S. Maria la Nova (dei padri minori osservanti di S. Francesco - ex Monte dei musici nella chiesa di S. Giorgio Maggiore) il M. era uno dei governatori, dunque un membro effettivo (Costantini - Magaudda, p. 120). Anche i contatti con la Confraternita e Monte di S. Cecilia, cui afferivano i musicisti di corte, dovettero essere abbastanza regolari. Occasioni sottolineate da musica sacra di grande solennità, spesso a più cori, erano per esempio le feste di S. Cecilia, di S. Casimiro e di S. Giovanni da Capistrano, protettori della musica e delle congregazioni dei musicisti, alle quali il M. partecipò nel corso degli anni come direttore delle musiche e compositore di messe, vespri e Te Deum (che restano purtroppo ancora non identificati). Documentata è la sua partecipazione alle feste ceciliane e all'attività della Congregazione dei musicisti almeno negli anni tra il 1713 e il 1723 (ibid., pp. 98-101, 119-122). Un'altra congregazione con cui il M. potrebbe aver avuto rapporti stretti è quella del Ss. Rosario nella chiesa del Ss. Rosario di Palazzo, dal momento che su tre oratori eseguiti presso la stessa, due furono affidati a lui (L'Arca del testamento in Gerico [(], 1704, e L'umanità difesa, 1707: ibid., pp. 134-137).
Nell'ambiente delle congregazioni circolavano importanti personaggi della politica e della cultura napoletane: fra gli altri Aurora Sanseverino, protettrice anche di N. Giuvo, più volte librettista del M., e nota per la commissione di Aci, Galatea e Polifemo, la serenata napoletana di Händel. Al di là di questi rapporti, la musica sacra rappresenta un lascito importante del M. (messe, salmi, inni, mottetti, Magnificat, Miserere, Salve Regina, Stabat Mater, Tantum ergo, Te Deum), che attende ancora uno studio attento. La grande diffusione dei manoscritti anche nell'Europa centrale testimonia il credito di cui godeva il M.; una prima indagine rivela nelle composizioni liturgiche la capacità di gestire organici imponenti e forme impegnative, con il ricorso sia a uno stile cantabile assimilabile a quello della musica profana, sia la padronanza del contrappunto rigoroso nelle sezioni dove questo veniva tradizionalmente impiegato (il Kyrie della messa oppure i Gloria conclusivi dei salmi).
Il M. compose almeno quattro serenate e diede un corposo contributo al genere della cantata da camera; nonostante un accurato lavoro di censimento e riordinamento, persistono problemi di attribuzione, ma sostanzialmente il catalogo è completo e conta circa 200 cantate solistiche, numerose cantate a due, e alcune cantate a più voci con solo basso continuo o strumenti concertanti, diverse cantate a più voci, e una trentina di incerti (cfr. Wright e Turellier). I testi sono anonimi, con l'eccezione di un paio di cantate attribuibili al cardinal B. Pamphili (ancora una liaison con la produzione haendeliana). Le poche datazioni certe collocano la maggior parte di tali composizioni fra gli anni Dieci e Venti del Settecento; l'unica cantata veramente tarda, in apparenza, è Solitudini care, del 1736; tuttavia la data è dubbia, perché dopo il 1735 la capacità produttiva del M. calò drasticamente.
L'11 maggio 1720 il M. fu eletto direttore del conservatorio napoletano di S. Maria di Loreto, incarico impegnativo, che ebbe importanti riflessi sulla generazione successiva (tra i suoi allievi D. Perez) con la maturazione del processo di schiarimento della scrittura in direzione galante, riscontrabile nel M. dagli anni Dieci del Settecento.
Un lascito del M., modesto quantitativamente ma significativo qualitativamente, è quello della musica strumentale. È rimasta solo qualche traccia delle toccate per tastiera (scritte a scopo didattico), che dovevano far parte di un corpus più ampio dato il lungo impegno del M. nell'insegnamento. La raccolta di sonate per flauto, pubblicata a Londra negli anni Venti è notevole, tanto da meritare una seconda edizione curata addirittura da F. Geminiani; colpisce molto in quest'opera il contrasto tra la grande semplicità e cantabilità dei movimenti lenti e la complessità contrappuntistica dei secondi movimenti, regolarmente impostati su imitazioni laboriose, se non come vere e proprie fughe. Le sonate per flauto e archi compaiono in un manoscritto antologico accanto a composizioni di Sarro, A. Scarlatti e altri maestri napoletani; sono anch'esse di gran fascino e insieme con le sonate con basso continuo sono oggi le uniche composizioni del M. entrate nel repertorio e presenti sul mercato in diverse edizioni a stampa e discografiche.
Nell'ottobre 1725 morì Scarlatti e il M., come previsto, gli successe alla guida della Real Cappella. L'attività di maestro di cappella è documentata anche da due interessanti testimonianze iconografiche, datate 1732, che presumibilmente lo ritraggono alla guida della sua orchestra: si tratta dei quadri di eccezionale formato che Nicola Rossi dipinse per il viceré L.T.R. Harrach, conservati presso la pinacoteca Harrach a Rohrau (Austria). Le tele rappresentano alcune occasioni solenni e i musicisti guidati dal M. che dirige con il rotolo di carta in mano sono identificabili molto chiaramente.
Le turbolenze della prima metà del Settecento toccarono il M. da vicino: nel 1734, passata Napoli ai Borboni, il M. compose un altro Te Deum per i nuovi padroni.
I ranghi della Real Cappella non furono scompaginati dall'avvento del nuovo potere politico, e il M. restò saldamente in sella; all'inizio del 1735 contribuì al succitato Demofoonte, le cui arie sono un preziosissimo punto di osservazione del suo stile maturo, in cui la tradizione solidamente contrappuntistica e intensamente espressiva tipica dei compositori napoletani tra Sei e Settecento si sposa mirabilmente con il dominio di strutture con da capo lunghe e complesse, con lo sfruttamento dell'orchestra d'archi nella sua pienezza, con il rallentamento del ritmo armonico e l'organizzazione distesa del fraseggio dei compositori di nuova generazione: emblematica in tal senso è l'aria di Demofoonte Odo il suono de' queruli accenti (in Romagnoli, 1998, pp. 426-436).
Nel 1735 il M. restò paralizzato, a seguito probabilmente di un colpo apoplettico, e non tornò mai pienamente in attività; il 1( settembre fu sostituito alla direzione del conservatorio da D. Fischietti.
Il M. morì a Napoli due anni dopo, il 22 sett. 1737, e fu sepolto a S. Nicola della Carità.
Opere (per l'elenco completo e dettagliato con fonti si rimanda a The New Grove Dictionary e Die Musik in Geschichte und Gegenwart).
Oratori (eseguiti a Napoli, se non indicato diversamente): Dolorose canzoni (padre Domenicano), 1698; L'amor divino trionfante nella morte di Cristo, Roma 1700; La nave trionfante sotto gli auspici di Maria Vergine (F. Falconi), Palermo 1701; La notte gloriosa (G.A. Minotti), 1701 (Palermo 1703 e 1706); L'Arca del Testamento in Gerico ed il laccio purpureo di Rab simboli della S.ma Vergine e del Suo S.mo Rosario (A. Perrucci), 1704; L'umanità difesa dall'Immacolata Vergine del Rosario (N. Giuvo), 1707; Gli sforzi della Splendidezza e della Pietà, Palermo 1707; Il genere umano in catene, Siena 1708 (Firenze 1711); Il Giuseppe venduto, Palermo 1711; Il sepolcro di Cristo Signor nostro, 1713; Il sepolcro di Cristo fabbricato dagli Angeli, Firenze 1716 (Urbino 1718); La caduta di Gerico, Lucca 1721; Il zelo animato, ovvero Il gran profeta Elia (A. Perrucci), 1733; inoltre contributi in pasticci fiorentini.
Opere teatrali (eseguite a Napoli se non indicato diversamente): Il nodo sciolto e ligato dall'affetto, o vero L'obbligo e 'l disobbligo vinti d'amore, Roma 1696; Ariovisto (P. D'Averara), 1702; Silla (A. Rossini), 1703; La costanza nell'honore (F. Passerini), 1704; Gli amanti generosi (G.P. Candi - G. Convò - S. Stampiglia), 1705 (facsimile Garland, a cura di H.M. Brown, in The Italian Opera, XVIII, New York 1983), rev. come Idaspe fedele, Londra 1710; La serva favorita (C. Villifranchi - G. Convò), 1705; Alessandro il grande in Sidone (A. Aureli - Convò), 1706; Turno Aricino (S. Stampiglia - F. Falconi), 1708; L'Engelberta, o sia La forza dell'innocenza (in collab. con A. Orefice; A. Zeno - P. Pariati), 1709; Mario fuggitivo (Stampiglia), 1710; La Semele (Giuvo), 1711; Selim re d'Ormuz (G.D. Pioli), 1712; Il Gran Mogol (D. Lalli - A. Birini), 1713; Vincislao (A. Zeno), 1714; Alessandro Severo (Zeno), Roma 1718; La fortezza al cimento (F. Silvani), 1721; Trajano (G. Biavi) 1723, con intermezzi Colombina e Pernicone (ed. a cura di C. Gallico, Milano 1989); L'Oronta (C.N. Stampa), 1728, con intermezzi Perichitta e Bertone (A. Belmuro?); Il Cavalier Bardone e Mergellina (cfr. Perichitta e Bertone), 3 intermezzi, Torino 1730; Il ritorno del figlio con l'abito più approvato (A. Denzio?), pasticcio con musica di A. Bioni, M. Luchini e del M., Praga 1730; Alessandro nell'Indie (P. Metastasio) 1732; Don Aspremo (D. Carcajus), commedia, pasticcio con 13 arie del M., 1733; Demofoonte (Metastasio), pasticcio con musica di L. Leo, D. Sarro, G. Sellitti e 6 arie del M., 1735.
Musica strumentale. 2 Toccata di cembalo per studio, 1716 (Napoli, Biblioteca del conservatorio di S. Pietro a Majella, Mss., 74); XII Solos for a flute with a thorough bass for the harpsichord or bass violin, London [1724], rev. di Geminiani [1727] (ed. in facsimile: Firenze 1994); 10 Sonate a 4 (flauto, 2 violini, violoncello, basso continuo), e 2 Sonate a 5 (flauto, archi, basso continuo), in Concerti di flauto, violini, violetta, e basso di diversi autori, 1725 (Napoli, Biblioteca del conservatorio di S. Pietro a Majella, Mss., 34-39; ed. in Giani, 1985).
Fonti e Bibl.: A. Della Corte, Cori monodici di dieci musicisti per le "Tragedie cristiane" di A. Marchese, in Riv. italiana di musicologia, I (1966), 2, pp. 190-203; J. Wright, The secular cantatas of F. M., diss., Univ. of New York, 1975; U. Giani, Le sonate per flauto e archi di F. M. conservate presso la Biblioteca del conservatorio di S. Pietro a Majella di Napoli, tesi di laurea, Università di Pavia-Cremona, a.a. 1984-85; A. Romagnoli, F. M.: i melodrammi, tesi di laurea, Università di Pavia-Cremona, a.a. 1986-87; U. Giani, F. M.: "Magnificat" a quattro voci e continuo. Spunti per una riflessione sul repertorio sacro napoletano, in Esercizi, X (1991), pp. 37-46; A. Romagnoli, Il "Turno Aricino" di S. Stampiglia nelle versioni musicali di G. Bononcini e F. M., in Gli affetti convenienti all'idee. Studi sulla musica vocale italiana, a cura di R. Cafiero - M. Caraci Vela - A. Romagnoli, Napoli 1993, pp. 21-87; F. Cotticelli - P. Maione, Le istituzioni musicali a Napoli durante il viceregno austriaco (1707-1734). Materiali inediti sulla Real Cappella ed il teatro di S. Bartolomeo, Napoli 1993, ad ind.; A. Romagnoli, Accertamenti filologici sulle scene buffe a Napoli nel primo decennio del Settecento, in L'edizione critica fra testo musicale e testo letterario, a cura di R. Borghi - P. Zappalà, Lucca 1995, pp. 477-480; F. Cotticelli - P. Maione, Onesto divertimento, ed allegria de' popoli. Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Milano 1996, ad ind.; A. Romagnoli, "Concinant laetantes chori": die Doppelchortechnik in der neapolitanischen Kirchenmusik des frühen Settecento: ein erster Beitrag, in Tradície európskej hudby 15.-18. storocia (Le tradizioni della musica europea dal XV al XVIII sec.), in Slovenská Hudba, XXII (1996), 3-4, pp. 487-506; Id., "Il ritorno del figlio con l'abito più approvato". Ein Prager Pasticcio und seine italienischen Quellen, in Mitteleuropäische Kontexte der Barockmusik. Bericht über die Internationale Musikwissenschaftliche Konferenz( 1994, a cura di P. Polák, Bratislava 1997, ad ind.; F. Turellier, Des cantates anonymes attribuables à J.-B. Morin (1677-1745) dans le manuscrit F Pc.Rés.1451: Cantates de Mancin[i], in Ostinato rigore. Revue internationale d'études musicales, 1997, vol. 8-9 (Les musiciens au temps de Louis XIV), pp. 329-339; A. Romagnoli, Considerazioni sullo stile operistico di F. M. (1672-1737), in Analecta musicologica XXX (1998), pp. 373-436; D. Costantini - A. Magaudda, Attività musicali promosse dalle confraternite laiche nel Regno di Napoli (1677-1763), in Fonti d'archivio per la storia della musica e dello spettacolo a Napoli tra XVI e XVIII secolo, a cura di P. Maione, Napoli 2001, pp. 79-204; A. Romagnoli, "Una musica grandiosa". La musica sacra italiana tra Sei e Settecento nei fondi boemi, in Barocco in Italia, barocco in Boemia. Uomini, idee e forme d'arte a confronto, a cura di S. Graciotti - J. Křesálková, Roma 2003, pp. 231-234, 241-246; The New Grove Dict. of music and musicians, XV, pp. 731-733; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XI (2004), coll. 950-953.