MANNELLI (Manelli), Francesco
Nacque a Tivoli intorno al 1595 da Giovanni di Simone, originario di Lucignano nell'Aretino, e da Drusilla Bracchi di agiata famiglia tiburtina, unitisi in matrimonio con contratto rogato il 13 sett. 1594 (Radiciotti, pp. 52 s.).
Nel 1605 il M. era fanciullo nel coro del duomo di Tivoli, nel quale fu cantore ordinario dal 1609 al 1624. Verosimilmente i suoi primi insegnanti furono i maestri di cappella del duomo di Tivoli che si avvicendarono in quegli anni: E. Beoper, R. Micheli e P.P. Paciotti. Già nel 1621 il padre lo aveva dotato di un patrimonio sufficiente ad avviarlo alla carriera ecclesiastica e nel 1624 lo mandò a Roma per i relativi studi. Il M. tuttavia dovette cambiare idea, dal momento che intraprese la carriera di musicista e nel 1626 sposò la cantante Maddalena (presumibilmente nata Lolli), dalla quale ebbe almeno due figli: Anna Maria, nata a Tivoli il 16 ott. 1628, e Costantino.
Nel febbraio 1627 il M. tornò a Tivoli per assumere l'incarico di maestro di cappella del duomo, mantenuto fino al febbraio 1629. Fatto ritorno a Roma, il 4 apr. 1629 firmò la dedica delle sue Ciaccone et arie a 1, 2 e 3 voci… libro terzo, opera terza (Roma 1629) ad A. Raimondi, nipote del defunto G.B. Raimondi, suo protettore. Nello stesso anno, il suo duetto Che mi potrai tu fare? per due soprani e basso continuo fu incluso nella raccolta curata da G.B. Robletti Le risonanti sfere (Roma 1629). Negli anni 1629-30 il M. e la moglie risiedevano nella parrocchia di S. Stefano in Piscinula, in casa del compositore e cantore pontificio S. Landi. Nel maggio 1630 il M. fu nominato maestro di cappella di S. Maria della Consolazione, e restò in tale carica non oltre il settembre 1631, mese in cui F. Serperio fu chiamato a rimpiazzarlo. Nel 1633 il M. doveva abitare ancora a Roma: da una lettera dell'ambasciatore Fulvio Testi al duca di Modena Francesco I, del 3 dic. 1633, risulta che la moglie Maddalena era una delle cantanti attive a Roma.
Tuttavia, fu al di fuori di Roma che il M. ottenne i suoi maggiori successi e insieme con la moglie fu tra i protagonisti della nascita dell'opera nei pubblici teatri, in veste di cantante, compositore e impresario. Nel 1636 probabilmente aveva lasciato Roma con la moglie, che cantò a Padova nell'Ermiona, una sorta di favola posta in musica da F. Sances su libretto di P.E. degli Obizzi, "per l'introduzione d'un torneo a piedi et a cavallo, e d'un balletto". Proprio in quell'anno, la raccolta di sue Musiche varie a una, due e tre voci, cioè cantate, arie, canzonette et ciaccone con l'aggiunta… opera quarta, libro quarto (Venezia 1636), data opportunamente alle stampe dalla moglie "cantatrice celeberrima" - "ad istanza d'alcuni cavalieri" e dedicata all'ambasciatore inglese B. Feilding -, fece conoscere il M. quale compositore di brani in stile recitativo. L'anno seguente, una troupe composta perlopiù da cantanti reduci dallo spettacolo padovano, diretta da B. Ferrari e dal M., portò in scena per la prima volta un'opera in un teatro pubblico. Nel 1637, infatti, al S. Cassiano di Venezia, riaperto dopo l'incendio che lo aveva distrutto nel 1629, una compagnia formata da pochi cantanti aveva "con gran magnificenza ed esquisitezza, a tutte loro spese, rappresentata l'Andromeda" (Rosand, 1991, p. 408), messa in musica dal M. su libretto di Ferrari.
Il successo ottenuto con questa prima opera fece sì che nel carnevale dell'anno successivo, ancora al S. Cassiano, andasse in scena La maga fulminata del M., su libretto di Ferrari. Nel libretto, pubblicato successivamente e dedicato ancora a Feilding - che evidentemente proteggeva i Mannelli e Ferrari -, lo stampatore A. Bariletti lodava l'abilità di Ferrari, come poeta, suonatore di tiorba e impresario, sottolineando come un "privato virtuoso" fosse riuscito a produrre con "honore" un dramma per musica con "cinque soli musici compagni, con spesa non più di duemila scudi", laddove "operationi simili ai principi costano infinito denaro" (ibid., p. 407).
In seguito il M. compose altre opere per un nuovo teatro veneziano di proprietà della famiglia Grimani: nella stagione di carnevale 1639, infatti, la sua Delia o sia La Sera sposa del Sole, su libretto dell'accademico incognito Giulio Strozzi, inaugurò il teatro Ss. Giovanni e Paolo. A questa seguirono, nello stesso teatro, l'Adone (1640; libretto di P. Vendramin) e, nel Novissimo, l'Alcate (1642; M.A. Tirabosco). Stabilitosi a Venezia, il 3 ott. 1638 il M. entrò come basso nella Cappella ducale di S. Marco con lo stipendio annuo di 60 ducati, che gli fu incrementato di altri 20 dopo un anno; tale incarico, del resto comune anche per altri cantanti d'opera, non dovette ostacolare la sua carriera teatrale. In quegli anni, infatti, il M. non fu attivo soltanto nei teatri veneziani, ma riuscì a guidare in veste di impresario, da solo o insieme con Ferrari, una compagnia itinerante di cantanti per portare in scena opere proprie o di altri compositori in diversi centri; a Bologna, per esempio, nel 1640 allestì nel teatro Guastavillani le rappresentazioni della sua Delia e de Il ritorno d'Ulisse in patria di C. Monteverdi, e l'anno seguente, alla testa di una "annuale comitiva de' più leggiadri musici d'Italia", de La maga fulminata (Rosand, 1991, p. 81 n. 44).
Pur avendo contribuito, insieme con Ferrari, alla nascita del teatro d'opera impresariale, nel volgere di pochi anni il M. si trovò forse a essere considerato un compositore "datato" sulle scene veneziane, tanto che non si ha alcuna notizia su di lui negli anni 1643-44. Soltanto nel 1645, con la moglie e altri due cantanti (Anna Renzi e F. Laurenzi), il M. fu ingaggiato dall'impresario G. Lappoli per cantare in un'opera nel teatro Novissimo, probabilmente l'Ercole in Lidia (libretto di M. Bisaccioni, musica di G. Rovetta) preparata per il carnevale ma forse rappresentata per la fiera dell'Ascensione; i quattro cantanti dovettero, però, citare in giudizio Lappoli per avere le loro spettanze (B.L. Glixon - J.E. Glixon, pp. 77, 84 s.).
Da allora il M. cessò i rapporti con Venezia e si diede "alla riesecuzione di proprie opere veneziane" o collaborò "alle opere celebrative della corte farnesiana" di Parma (Bianconi - Walker, p. 432), dove la sua esperienza nei drammi di carattere mitologico e allegorico trovò maggiore ricettività.
Si stabilì a Parma nel 1645 e il 23 marzo di quell'anno fu ammesso, insieme con il figlio Costantino, come cantore nella cappella musicale di S. Maria della Steccata per ordine del duca Odoardo Farnese. Successivamente (forse dal 1646) fu ammesso anche come "musico" della corte farnesiana, al cui servizio, intanto, dal 1° apr. 1645 era entrata la moglie; di sicuro sappiamo che nel 1652 il M. era qualificato come "mastro di capella ducale" (Sartori, nn. 24848 s.) e nel marzo 1653 compariva nei ruoli della corte insieme con la moglie, ma con la qualifica di "musico" (Petrobelli, p. 65).
A Piacenza, il 1° maggio 1646, nel teatro in piazza fu ripresa l'Alcate. Di genere diverso e legati a eventi celebrativi, come nozze o visite di Stato, furono i balletti e i drammi per musica del M. rappresentati nel grande teatro Farnese di Parma e caratterizzati da una sontuosa spettacolarità e da tematiche allegoriche ormai divenute canoniche nei teatri di corte del tempo. Per il carnevale 1651 il M. compose le musiche del balletto Ercole nell'Erimanto (B. Morando) andato in scena nel teatro Ducale di Piacenza, e l'anno seguente, in occasione della visita degli arciduchi Carlo, Sigismondo e Francesco d'Austria e Anna de' Medici, fu rappresentato il suo "dramma fantastico" Le vicende del tempo (Morando). A esso seguirono il dramma per musica Il ratto d'Europa (1653; E. Sandri, pseud. di P.E. Fantuzzi) e, nel 1660, in occasione delle nozze di Ranuccio II Farnese con Margherita Violante di Savoia, il dramma La Filo overo Giunone rapacificata con Ercole e il torneo I sei gigli, entrambi su libretto di F. Berni. L'ultima opera composta dal M., La Licasta, fu rappresentata il 2 luglio 1664, in occasione del passaggio per Parma di Cosimo de' Medici, presso il locale collegio dei Nobili; per la circostanza il M. utilizzò un libretto di Ferrari, già andato in scena nel 1653 a Ratisbona - con il titolo L'inganno d'Amore, e musica di A. Bertali -, qui ampliato con l'aggiunta di alcune scene ridicole e una decina di nuove arie. La Licasta è considerata la prima opera data a Parma sul modello di quelle veneziane per "l'intreccio puramente umano" (Molinari, p. 193), per l'inserzione delle scene comiche e per il minor numero di interventi delle macchine.
Il M. morì a Parma probabilmente il 22 luglio 1667 o poco prima, poiché in quella data il posto da lui lasciato vacante nella cappella di S. Maria della Steccata fu assegnato a G.B. Policci.
Pur essendo il M. uno dei compositori che contribuì a creare lo stile musicale dell'opera veneziana, nessuno dei suoi drammi per musica ci è pervenuto. I primi due libretti da lui messi in musica, l'Andromeda e La maga fulminata, lasciano però intravedere alcuni tratti delle sue opere. La prima è intessuta quasi interamente in stile recitativo, interrotto da alcuni testi strofici e metricamente regolari - in prevalenza esterni al decorso narrativo, destinati al coro, e poche quartine per un paio di duetti di Astrea e Venere -, forse in ossequio ai criteri di verosimiglianza indotti dal soggetto mitologico. Nella seconda, pur prevalendo ancora lo stile recitativo, si nota un maggior numero di pezzi strofici, in versi misurati, per le parti di Mercurio, Pallante e, soprattutto, quella comica della nutrice Scarabea, "prototipo di tutta quella serie di vecchie - nutrici, fantesche e simili - ciniche e grottescamente ribelli all'idea di dover rinunciare ai piaceri d'amore", che costelleranno i libretti veneziani del Seicento (Fabbri, p. 84). G. Strozzi, nello scenario della sua Delia, lodò lo stile del M., mettendone in risalto "un'imitazione di parole mirabile, un'armonia propria, varia e dilettevole" (Rosand, 1989, p. 338).
Di tutt'altro genere appaiono i lavori teatrali che il M. mise in musica per la corte di Parma; essi andarono in scena nel teatro della Pilotta, il più grande e splendido dell'epoca, che consentiva la realizzazione di spettacoli grandiosi, veri e propri strumenti politici per i tentativi di affermazione, rivalità ed espansione dei duchi di Parma. Tali spettacoli (opere-torneo, drammi, balletti) erano improntati a un simbolismo di derivazione neoplatonica, in cui convergevano immagini e allegorie delle lettere e delle armi, non esenti tuttavia da un'attualizzazione politica che permetteva di lanciare attraverso di essi chiari messaggi di propaganda della dinastia farnesiana.
Il balletto Ercole nell'Erimanto, messo in musica dal M., porta in scena il combattimento di Ercole contro il terribile cinghiale del monte Erimante in Arcadia. In questo divertissement Morando introduce alcuni versi in lingue differenti (francese, spagnolo e tedesco alquanto storpiati) per rinforzare gli effetti comici. Il "dramma fantastico" Le vicende del tempo, concepito in origine "per l'introduzione di tre balletti" poi ridotto "ad un solo spettacolo" (Sartori, nn. 24848 s.), si articola in tre azioni: "Il giorno vincitor della notte"; "la notte vincitor del giorno"; "il giorno e la notte pacificati". Esso rappresenta in forma schematica la vicenda luministica del Giorno e della Notte che si sono dichiarati guerra; lo spettatore assiste ai loro scontri e alle alterne vittorie ora dell'uno ora dell'altra, con abili giochi scenografici che vedono alternarsi oscurità e luce. Il dramma La Filo overo Giunone rapacificata con Ercole fu concepito come anteprima a un torneo-balletto, I sei gigli. La Filo, dramma difficilmente inseribile in una qualsivoglia categoria, è uno spettacolo monumentale che abbraccia vari registri (dal divino all'umano; dal mitologico all'epico-cavalleresco) con scene di magia e incantesimi, balletti di spettri, di spiriti, di un cadavere e di statue animate; e infine un'apoteosi della Vergine con coro di angeli che cantano le virtù di Ercole. La trama di questo dramma erudito sviluppa in parallelo vicende umane e divine; in essa figura, tuttavia, un personaggio burlesco, Falcone, buffone e soldato sciocco della regina Onfale di cui è innamorato. I sei gigli - il cui titolo allude allo stemma farnesiano - è un torneo-balletto concepito quale metafora politica e filosofica, appartenente alla tradizione dei balletti di corte. Monologo e cori iniziali contengono un'apoteosi della nazione italiana di cui si vanta il primato in Europa; Ranuccio II - che confidava di porsi a capo di un'alleanza di sovrani italiani per resistere alle grandi potenze - è esaltato come sovrano d'Italia piuttosto che di un solo Stato.
Maddalena, romana, moglie del M., fu un'apprezzata cantante dei suoi tempi. È molto probabile che sia da identificare con lei "la signora Maddalena con la sorella, che chiamano le Lolle" che il nobile Pietro Della Valle sentì "in Roma cantar bene" dopo il suo "ritorno di levante" nel 1626 (Ferrari Barassi, 1987, p. 343); se così fosse, si potrebbe ipotizzare che Lolli fosse il suo cognome di nascita. Prima del 1633 era stata al servizio del duca Giovanni Antonio Orsini. La carriera di Maddalena dovette favorire non poco quella del Mannelli. Dopo aver cantato nell'Ermiona a Padova, Maddalena, giovandosi della sua fama, nel luglio 1636 aveva fatto conoscere il talento del M. quale compositore in stile recitativo, curandone la stampa delle già citate Musiche varie. Fra i brani della raccolta suscita particolare interesse la "ciaccona a tre" detta La Luciata, un dialogo comico fra due maschere napoletane, la Signora Lucia e Cola, che potrebbe essere stato un pezzo del repertorio della cantante stessa e forse anche del Mannelli. Maddalena fu interprete acclamata delle opere scritte dal M. o da lui portate in scena come impresario (nell'Andromeda interpretò il ruolo eponimo e nelle rappresentazioni bolognesi cantò in quello di Venere nella Delia e di Minerva ne Il ritorno d'Ulisse di Monteverdi). Cantò a Venezia per l'ultima volta nel 1645 in un'opera (probabilmente l'Ercole in Lidia, di M. Bisaccioni e G. Rovetta) data nel teatro Novissimo. Il 1° apr. 1645 entrò al servizio della corte ducale di Parma, forse prima ancora del M. stesso. Rimase in questo ruolo, continuando a godere anche del salario del M. "dal giorno che ne morì" (Petrobelli, p. 65 n. 57), fino alla morte, avvenuta a Parma l'11 ott. 1680.
Costantino, figlio del M. e di Maddalena, fu ben presto avviato alla carriera di musicista. Ancora fanciullo, cantò a Bologna nel ruolo di Cupido nella Delia (1640). Il 23 marzo 1645 fu assunto come soprano della cappella di S. Maria della Steccata, dalla quale fu però licenziato nel giugno 1654, perché non ritenuto "buono" (Petrobelli, p. 64). Occasionalmente cantò come contralto nel duomo di Parma negli anni Quaranta-Cinquanta del Seicento. Continuò, tuttavia, a collaborare con la cappella della Steccata come suonatore di violone fino al novembre 1691.
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