MARCOLINI, Francesco
Nacque a Forlì tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo.
La data probabile del suo insediamento a Venezia è il 1527, dove arrivò in veste di semplice libraio.
L'ipotesi di una sua attività di libraio nella città natale non è documentata, ma l'esistenza di una bottega libraria dei Marcolini a Forlì tra il 1582 e il 1606 autorizza a ritenere che fosse tradizionale nella sua famiglia. I motivi che possono avere spinto il M. a spostarsi a Venezia, al di là di congetture sulla difficile situazione politica della sua città, sono da ricercare nel fatto che Venezia offriva condizioni più favorevoli per l'esercizio di un'attività a cui il M. conferì fin dal suo esordio un preciso indirizzo editoriale, con ambizioni culturali.
Nel 1534 esordì facendo stampare presso la tipografia di Giovanni Antonio Nicolini da Sabbio tre volumi, tutte opere di Pietro Aretino: la Cortigiana, la Passione di Giesù, I sette Salmi della penitentia di David. La collaborazione con Nicolini proseguì l'anno seguente con la stampa de I tre libri de la humanità di Cristo, ancora di Aretino, finiti di stampare nel maggio, mentre il fatto che le ristampe della Cortigiana e della Passione di Giesù recano solo il nome del M. sembra testimoniare che egli avesse attrezzato nel frattempo una propria tipografia. Al 1535 dovrebbe risalire la stampa di una quinta opera di Aretino, il Ragionamento de la Nanna, et de la Antonia, fatto in Roma sotto una ficaia, che per prudenza fu sottoscritta "Parisiis, Ubertinus Mazzola", ma sulla quale pochi dubbi possono sussistere che sia stata realizzata nella tipografia del Marcolini.
Non è noto dove l'azienda avesse sede all'inizio, ma nel 1536 si trovava sicuramente nel sestiere di Cannaregio, nei locali messi a disposizione dai frati crociferi nei pressi della chiesa dei Ss. Apostoli ("In la contrada Santo Apostolo, ne le case de i frati de i Crosachieri", nella sottoscrizione del Marescalco, ristampa dell'edizione dell'anno precedente impressa da Nicolini). Intermediario e patrocinatore fra il tipografo e i frati per la concessione dei locali era stato Pietro Zeno, amico di Sebastiano Serlio, in seguito autore più volte pubblicato dal M. (il M., da parte sua, riconobbe pubblicamente il debito di gratitudine nei confronti di Zeno nella seconda edizione delle sue Le sorti intitolate Giardino di pensieri, 1540). I locali presso la chiesa dei Ss. Apostoli dovettero presto risultare inadeguati, e già nel novembre dello stesso 1536 l'azienda era stata trasferita nel sestiere di Castello, nei pressi della chiesa della Trinità, oggi distrutta, abbastanza isolata rispetto ai luoghi nei quali si concentravano le altre imprese tipografiche. Ci informa dello spostamento la sottoscrizione del Petrarca spirituale di Girolamo Malipiero ("In Venetia: stampato per Francesco Marcolini da Forlì appresso la chiesa de la Trinità, novembre 1536").
La produzione editoriale del M. continuò ininterrotta e abbastanza regolare fino al 1545, anno in cui egli abbandonò quasi all'improvviso Venezia per recarsi a Cipro, da dove fece ritorno nel 1548, per riprendere l'attività solo nel 1550. Il soggiorno nell'isola sembra dividere la sua vita professionale in due periodi, il primo dei quali appare strettamente caratterizzato dalla collaborazione e dall'amicizia con Aretino: nei primi due anni di attività pubblicò solo sue opere e nel periodo 1534-44 le opere aretiniane edite dal M. furono complessivamente 35, fra prime edizioni e ristampe, poco meno della metà della produzione in quegli anni, più di un quarto dell'intero catalogo.
Su questa rilevante presenza nel catalogo del M. e sulla decennale durata della collaborazione si può misurare l'intensità del rapporto tra l'editore e il suo autore più rappresentativo, che va oltre la sfera strettamente professionale e l'amicizia personale, per manifestarsi nella partecipazione a un disegno culturale condiviso. Nelle molte lettere al M. (o in quelle nelle quali si parla del M.), Aretino, a proposito delle proprie opere, non parla soltanto di questioni relative alla stampa, ma affronta problemi di rilevanza più ampia, connessi alla sua personalità intellettuale. Perciò, nel porre la sua azienda al servizio di un progetto culturale fortemente caratterizzato, il M. non si presentava come un semplice esecutore, ma ne era attivamente partecipe. Intorno alla sua tipografia si costituì un gruppo organico di scrittori, "fuori delle rituali tipologie della corte, della Chiesa e della stessa accademia" (Quondam, p. 94), appartenenti piuttosto a quella avventurosa categoria di libellisti e poligrafi che si servivano della stampa come risorsa per vivere non meno che come mezzo di popolarità e magari di ricatto. Fra i più diretti collaboratori del M. come curatori, traduttori, revisori si debbono ricordare Francesco Del Bailo (Francesco Alunno), Niccolò Franco, Francesco Coccio, ma anche - in posizione più defilata - Antonio Mezzabarba, Francesco Canova (Francesco da Milano), Alessandro Citolini.
Il rapporto con Aretino appare tuttavia deteriorato al ritorno del M. da Cipro; l'assenza dello scrittore dal catalogo marcoliniano è infatti assoluta nella seconda fase di attività e la pubblicazione nel 1551 delle Lettere scritte al signor Pietro Aretino, da molti signori, comunità, donne di valore, poeti, et altri eccellentissimi spiriti. Divise in due libri, ancorché presentate sotto forma di "divoto amor", fu forse causa, se non di rottura, almeno di un raffreddamento dei rapporti tra i due. L'interruzione del sodalizio risulta nettissima per il subentrare di Anton Francesco Doni nella funzione di autore-guida, anche se la presenza di quest'ultimo nel catalogo editoriale è assai meno cospicua di quella di Aretino: complessivamente 10 edizioni, tutte concentrate nell'arco degli anni 1551-55, che costituiscono il 20% della produzione nella seconda fase. Inoltre, mentre fra le pubblicazioni di Aretino sono frequenti le ristampe, per quelle di Doni si tratta sempre di prime edizioni, con una sola eccezione: La seconda libraria… Ristampata novamente con giunta de molti libri, ristampa del 1555 dell'edizione del giugno 1551 con cui era iniziata la collaborazione tra i due. In questa seconda fase della sua attività il M., pur nella ricerca attenta di una linea editoriale rinnovata, non sembra in realtà discostarsi troppo dai collaboratori che avevano contrassegnato il periodo 1534-45, anche se i rapporti tendono a formalizzarsi nell'Accademia dei Pellegrini, ideata da Doni e della quale il M. fu segretario e tipografo ufficiale, come attestano tre edizioni recanti la sottoscrizione "Nell'Accademia Pellegrina per Francesco Marcolini".
La collaborazione con l'irrequieto Doni si esaurì nell'arco di cinque anni con il ritorno di quest'ultimo a Firenze, ma l'esperienza rappresenta con evidenza la seconda fase dell'attività della tipografia del M., che si strutturò progressivamente in una dimensione più specificamente locale, accentuando, anche nella scelta dei titoli da pubblicare, il carattere "veneziano" del suo impegno editoriale, specie negli ultimi anni, quando stampò anche opere per conto di altri editori e librai locali come Plinio Pietrasanta e Bolognino Zaltieri.
Le ultime edizioni uscite dalla sua tipografia furono, probabilmente, i Duo libri del modo di fare le fortificationi di terra intorno alle città, et alle castella per fortificarle di Giacomo Lanteri e I modi più communi con che ha scritto Cicerone le sue Epistole di Orazio Toscanella, stampate entrambe per B. Zaltieri nel 1559; nello stesso anno i materiali tipografici del M. erano in possesso di Nicolò Bevilacqua, che li impiegò per una stampa la cui iniziativa doveva di sicuro essere opera del M.: gli Ordini, leggi, concessioni, e privilegii del magistrato dei novanta pacefici di Forlì.
È quindi probabile che la morte del M. cada proprio nel 1559, sebbene non vi siano fonti archivistiche che confermino questa data.
Nel corso di 26 anni di attività effettiva il M. pubblicò all'incirca 130 edizioni. La sua fu dunque una tipografia di dimensioni medio-piccole: la produzione oscilla tra i due-tre e i dieci titoli l'anno (nel 1539 e nel 1551), attestandosi su una media di cinque. Il catalogo comprende 52 autori e alcune opere anonime; privilegiati sono gli autori contemporanei in volgare: fra questi - a parte Aretino e Doni - i più frequentemente pubblicati furono Sebastiano Serlio, con cinque titoli, poi Giulio Bidelli, Vincenzo Brusantino, Vincenzo Cartari, Pietro Andrea Mattioli, Luigi Da Porto, G. Malipiero, A. Citolini. Con una prima edizione nel 1540 e una ristampa del 1550 appare nel catalogo, come autore, lo stesso M. con Le sorti di Francesco Marcolino da Forlì intitolate Giardino di pensieri, un libro di divinazione, ma anche uno strumento di gioco - sulla scia del Libro de la ventura di Lorenzo Spirito o del Triompho di fortuna di S. Fanti - accompagnato da un gran numero di eccellenti xilografie.
Dei grandi autori della letteratura volgare sono presenti solo un'edizione della Commedia (1544), una del Petrarca (Canzoniere e Trionfi, 1539), una di Boccaccio (un volgarizzamento della Genealogia deorum gentilium, 1556); inoltre Domenico Cavalca con La disciplina degli spirituali (1537) e Le rime del Burchiello commentate da Doni (1553). Pochi sono i classici, tutti in traduzione italiana: due edizioni di Ovidio, una di Vitruvio, due della Tabula Cebetis. Il primo dato che emerge visibilmente è l'assoluta preponderanza, quasi la metà del totale, di pubblicazioni di carattere letterario, poesia e prosa anzitutto, ma anche raccolte di lettere e testi teatrali; non mancano opere di interesse religioso o di storia o di viaggi. L'editoria musicale dovette costituire una parte non piccola della produzione, anche se solo quattro edizioni sono rimaste a documentarla, cosa poco sorprendente a causa della deperibilità di questo tipo di stampe. Restano, infine, a testimoniare l'interesse del M. per l'architettura, oltre che i Dieci libri dell'architettura di Vitruvio (nella traduzione di Daniele Barbaro, 1556), le cinque edizioni di opere di Sebastiano Serlio, tra prime edizioni e ristampe, a partire dalle Regole generali di architetura sopra le cinque maniere degli edifici cioè thoscano, dorico, ionico, corinthio et composito, con gl'essempi dell'antiquità (settembre 1537), nonché Il magno palazzo del cardinale di Trento di P.A. Mattioli (luglio 1539) e i già menzionati Duo libri del modo di fare le fortificationi di G. Lanteri (1559).
Fra i maggiori pregi delle edizioni del M. si pongono la varietà e la bellezza delle incisioni che accompagnano con straordinaria eleganza i caratteri che impiegò nell'arco della sua attività. Non è probabile che il M. incidesse personalmente i propri caratteri, né che li facesse incidere apposta per la sua tipografia: verso la metà del Cinquecento si era affermato in tutta Europa, ma soprattutto in centri produttivi importanti, un sistema di fabbricazione e commercio dei caratteri che escludeva, nella maggior parte dei casi, una produzione in proprio da parte delle singole tipografie. Il M. impiegò dunque caratteri di fonderia, principalmente corsivi - il tondo appare solo nella seconda parte della sua carriera - e rarissimamente il gotico (per esempio per la stampa dell'Officium beatae Marie Virginis del 1545). Per i corsivi, nella prima fase della sua attività, impiegò caratteri che si rifanno a quelli di Ludovico degli Arrighi, anche se, per esempio nel Dante del 1544, impiegò anche un corsivo copiato da quello di Francesco Griffio; utilizzò inoltre il cosiddetto "corsivo di Basilea", adottato anche da G. Giolito e G. Griffio, e, piuttosto largamente verso la fine della sua attività, il corsivo di Granjon, anch'esso di ampia diffusione in Italia.
Discorso a parte merita l'impegno del M. nel campo della stampa musicale, per la quale chiese al Senato della Repubblica un privilegio decennale, concesso il 1° luglio 1536, per l'uso del sistema di stampa a caratteri mobili di spartiti musicali inventato da Ottaviano Petrucci e ricostruito dopo che per venticinque anni non era più in uso non solo in Italia, ma neppure in Francia o in Germania. Il M. utilizzò subito il privilegio e nello stesso anno stampò l'Intabolatura di liuto de diversi, con la Bataglia, et altre cose bellissime di m. Francesco da Milano e il Liber quinque missarum di Adrian Willaert.
Già Vasari aveva lodato, a ragione, le incisioni di cui erano ornate le edizioni del Marcolini. Il principale collaboratore in questo settore fu il tedesco Giovanni Britto, il cui monogramma - la lettera B tagliata da una linea trasversale - appare in diverse xilografie e che in almeno un caso collaborò a una coedizione: La congiuratione de' Gheldresi contra la città d'Anversa di Jan Knaap, nella quale compare nel colophon il suo nome ("In Vinegia: per Giovanni Britto intagliatore, 1543 nel mese d'ottobre") mentre il frontespizio reca la marca editoriale del Marcolini. Collaborò con il M. anche Francesco Salviati che fornì disegni per le xilografie delle Sorti e della Vita di Maria Vergine di Aretino (1539), mentre le Stanze dello stesso autore (1537) presentano un frontespizio dall'aspetto alquanto inusuale, attribuito comunemente a Tiziano. Un allievo di Salviati, Giuseppe Porta, firmò la xilografia che appare sul frontespizio della prima edizione delle Sorti, sul verso del quale appare il ritratto del Marcolini. Lo stesso M. fu, se non incisore, certamente disegnatore, se dobbiamo credere a quanto afferma A.F. Doni nella Zucca, ponendo sotto la xilografia rappresentante il Sapere nudo, già pubblicata nelle Sorti, la nota "come ben lo dipinse messer Francesco Marcolini" e anche nei Marmi, dove ricorda come il legno del Matrimonio, anch'esso già pubblicato nelle Sorti, fosse invenzione del Marcolini. La sua marca rappresenta la Verità flagellata dalla Menzogna e sostenuta dal Tempo con il motto "Veritas filia Temporis", ma utilizzò, soprattutto nelle opere di Doni, anche un'altra marca, con una diversa raffigurazione della Verità e con il motto "Veritas odium parit".
Alle doti di disegnatore debbono essere collegate le notizie di una sua attività di architetto, che fu probabilmente di importanza non inferiore a quella editoriale, anche se le notizie che la documentano sono disperse e frammentarie. Nella sua Libraria Doni ricorda due opere tecniche rimaste inedite: un Trattato di fare varie sorti di horologi e un discorso sopra tutti gli ingegneri antichi e moderni. D'altra parte, la competenza teorica del M. in questo campo è riconosciuta dallo stesso D. Barbaro, che confessa di essersi più volte consultato con lui nella stesura del commento al testo del Vitruvio del 1556. L'importanza dell'unica realizzazione pratica conosciuta del M. architetto conferma questo quadro: si tratta del "ponte lungo" realizzato in legno a Murano nel luglio 1545 sul più ampio canale dell'isola. La costruzione dovette suscitare notevole interesse: lodata da F. Sansovino e ricordata nelle Lettere di Andrea Calmo, la elogia in termini perfino eccessivi Aretino in una lettera indirizzata proprio a Sansovino, e se ne fa menzione nell'Angelica innamorata di V. Brusantino, pubblicata dallo stesso M. nel 1550.
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