VASSALLO, Francesco Maria Angelo Luigi
– Nacque a Genova il 30 ottobre 1852 da Emanuele, di professione medico, e da Caterina Cabruna.
Generalmente noto e ricordato con il nome di ‘Luigi Arnaldo’, da lui adottato qualche anno dopo il suo ingresso nel mondo giornalistico (probabilmente anche per distinguersi da un altro Luigi Vassallo, giornalista pubblicista, collaboratore di varie riviste artistiche e letterarie – tra cui Il Liuto, Il Rigoletto, La Gazzetta artistica di Roma – e, dal 1872, direttore della genovese L’Unione artistica. Giornale artistico-letterario), ebbe certamente un fratello, Niccolò, di due anni più anziano. Non esistono invece riscontri certi sull’esistenza di un altro fratello che, secondo alcune fonti, scomparve in tenera età (A. Ginella Capini, Carissimo Arnaldo. Lettere a Luigi Arnaldo Vassallo Gandolin, Genova 1996, p. 95).
Di carattere vivace ed esuberante, dopo gli studi elementari il giovane Vassallo frequentò prima le scuole tecniche, quindi l’Accademia di belle arti, dove si specializzò in disegno architettonico sotto la guida di Giovanni Battista Novaro. Dal 1868 iniziò a svolgere vari lavori in maniera piuttosto discontinua (copista, maestro elementare, commesso di oreficeria), avvicinandosi altresì agli ambienti repubblicani e mazziniani della sua città e affiliandosi nel 1869 all’Alleanza repubblicana universale.
Ben presto appassionatosi al mondo della stampa e del giornalismo, gli anni Settanta dell’Ottocento lo videro avviare le prime collaborazioni con alcune testate genovesi, quotidiane e periodiche, tra cui La Lanterna, La Strega, Il Folletto, La Mafia rosa, Pensiero e Azione, Il Popolano ligure, Il Crepuscolo, L’Unità italiana e Dovere (quotidiano anticlericale che si distinse, tra l’altro, per una vivace battaglia a favore del suffragio universale e di cui egli sarebbe divenuto anche redattore responsabile). Nel novembre-dicembre del 1873 fu tra i principali artefici del foglio satirico Rabagas, di cui avrebbe firmato le litografie, mentre a Sanremo fu – sia pure per un breve periodo – direttore dell’Avvenire e successivamente di L’Opinione pubblica.
Quello stesso anno, il 13 ottobre, non ancora ventunenne sposò la diciottenne concittadina Maria Paola Aurelia Porcile, dalla quale il 12 ottobre 1875 ebbe il suo unico figlio, Goffredo Romano Arnaldo (soprannominato Arnaldino o Naldino), che sarebbe morto prematuramente il 28 giugno 1891 (un lutto, questo, che segnò profondamente l’esistenza di Vassallo negli anni a venire).
Nel 1876 pubblicò il suo primo romanzo storico illustrato, La battaglia di Legnano, iniziando contestualmente a collaborare con il quotidiano genovese Il Caffaro di Anton Giulio Barrili. Proprio a partire da quell’esperienza, occupandosi di cronaca (con lo pseudonimo Macobrio), ebbe modo di esprimere compiutamente il suo talento giornalistico, finendo anche per assumere l’incarico di redattore capo della testata. Dal 1877 diresse il settimanale genovese Il Mondo illustrato, mentre nel 1879 approdò al quotidiano romano Il Messaggero.
Fu l’inizio di una nuova fase, che permise a Vassallo di consacrarsi compiutamente nel mondo del giornalismo con lo pseudonimo Gandolin (diminutivo dialettale di ‘vagabondo’, ‘sfaccendato’, che aveva già iniziato a usare quando svolgeva il ruolo di corrispondente da Roma del Caffaro). Al Messaggero il giornalista genovese riuscì a ritagliarsi un ruolo di rilievo, sino a giungere ad affiancare, sia pure per un breve periodo, il collega Luigi Cesana alla direzione.
Nella primavera del 1880 Vassallo fu tra i fondatori – con Federico Napoli, Gennaro Minervini e Giuseppe Turco – del quotidiano Il Capitan Fracassa, di cui sarebbe anche diventato direttore per la sezione politica (mentre Raffaello Giovagnoli avrebbe diretto quella letteraria). Il giornale, nato con un programma ostile ad Agostino Depretis e alla sua politica trasformista, si distinse – in un periodo in cui la riproduzione grafica era ancora un’operazione piuttosto complessa e costosa – per una particolare freschezza editoriale e per una notevole ricchezza di illustrazioni, con ritratti e vignette satiriche ricavati con una tecnica che lo stesso Vassallo avrebbe chiamato dei ’pupazzetti’.
Come ha scritto Ugo Fleres (Il caleidoscopio di Uriel, Roma 1952), descrivendo quella particolare tipologia di riproduzione, «in principio per questa vignetta di estrema rapidità si prendeva un pezzetto prismatico di legno da xilografia [...]. Sopra una delle quattro facce lunghe (su per giù sette otto centimetri), si stendeva un filo di biacca sciolto nell’acqua; e sulla candida pagina risultante, il pupazzettaro disegnava con poche linee, prima a lapis, poi a penna, la figura, che l’incisore xilografava togliendo via il fondo e facendo risaltare in rilievo quelle poche linee. Non altro. Si rimandava il legnetto in tipografia ove prendeva posto nella composizione in mezzo ai caratteri di stampa, dei quali, nella minor dimensione, aveva l’altezza» (p. 92).
Grazie alla particolare impostazione assunta dal giornale (in cui l’arte, la letteratura, il costume si mischiavano alla politica), il Capitan Fracassa seppe affermarsi come luogo di raccolta di molti intellettuali e artisti attivi nella capitale. Tanto che gli stessi locali della redazione si trasformarono nella sede abituale di incontri e discussioni sull’arte e la politica.
Dal gennaio del 1886 il non ancora trentaquattrenne Vassallo diede vita a una nuova pubblicazione mensile, da regalare agli abbonati del Capitan Fracassa. Venduta anche separatamente dal quotidiano a 20 centesimi a copia, da lui interamente scritta, disegnata e diretta, prese il nome Il Pupazzetto e per i quasi cinque anni in cui fu data alle stampe seppe incontrare un significativo riscontro di lettori. Ciò anche per la sua particolare capacità di descrivere in maniera comica e parodistica i fatti salienti della vita sociale, culturale e politica del tempo. Nel dicembre del 1887 fu proprio dalle pagine di un numero speciale del mensile (Il pupazzetto gravido - i misteri del giornalismo) che Vassallo annunciò l’uscita a Roma del Don Chisciotte della Mancia, foglio di tendenze antigovernative, soprattutto anticrispine, assai graffiante e vivace nella forma (se pur alieno da eccessi verbali). Sostenitore di una politica di riforme capace di modernizzare il Paese, del nuovo quotidiano illustrato, che ricordava abbastanza esplicitamente nel formato e nei contenuti il Capitan Fracassa, furono artefici oltre a Vassallo (che ne divenne anche direttore responsabile), Luigi Bertelli, Emilio Faelli e Luigi Lodi. Come altre precedenti esperienze, anche quella trascorsa al Don Chisciotte si rivelò piuttosto fortunata, tanto che nel giro di pochi mesi il giornale riuscì a raggiungere una tiratura di oltre seimila copie.
Nel frattempo, nel 1888, il giornalista genovese era stato eletto consigliere comunale della sua città, tra le file dei liberali. Ma tale impegno caratterizzò un arco molto breve della sua vita. Già nel dicembre di quell’anno decise infatti di rassegnare le dimissioni.
Tra il gennaio e il dicembre del 1880 collaborò a La Tribuna illustrata e tra il luglio e l’ottobre al settimanale La Rivista democratica italiana. Il 25 giugno 1891, tre giorni prima della prematura morte del figlio Naldino, lasciò la direzione del Caffaro. L’avventura del Don Chisciotte durò invece fino alla primavera del 1892, quando il quasi quarantenne Gandolin abbandonò il giornale per fondare, con Achille Fazzari, Luigi Lodi, Giuseppe Augusto Cesana, Baldassarre Avanzini e Giuseppe Turco, Il Torneo (testata peraltro segnata da una vita assai breve, dal maggio al dicembre di quell’anno).
Nell’ottobre del 1893, divenendone direttore responsabile, fondò Il Don Chisciotte di Roma, giornale che egli animò fino alla fine del 1896, quando decise di ristabilirsi definitivamente nella sua città natale per intraprendere, nell’aprile dell’anno successivo, l’esperienza che segnò più profondamente la sua carriera giornalistica: la direzione del Secolo XIX. Del quotidiano genovese, di proprietà della famiglia Perrone, avrebbe contribuito ad accrescere sensibilmente le fortune editoriali trasformandolo – grazie anche ai finanziamenti a esso garantiti dall’Ansaldo – da quotidiano di provincia a moderna impresa, con un rilievo nazionale e con livelli di tiratura e di diffusione decisamente significativi. Dalle circa 21.000 copie del marzo 1897, il giornale giunse infatti a toccare, nel 1904, una tiratura di circa 41.000 copie, per poi arrivare a 44.000 nel 1906, al momento della morte di Vassallo (O. Freschi, «Il Secolo XIX». Un giornale e una città 1886-2004, Roma-Bari 2005, p. 82). Dalle pagine del quotidiano Vassallo si rese anche promotore di diverse battaglie politiche, tra cui quella – dalle implicazioni decisamente strategiche, per una città di mare come Genova – per la costituzione del Consorzio autonomo del porto.
Fortemente segnato da una vita professionale vissuta con grande dispendio di energie e dalla ferita – mai compiutamente sanata – prodotta dalla morte del figlio (una tragedia che lo portò anche ad avvicinarsi allo spiritismo e ad approfondire lo studio di alcune religioni e filosofie in cui era contemplata l’esistenza di una vita dopo la morte), debilitato dal diabete, appena cinquantatreenne Gandolin morì nella sua città natale il 10 agosto 1906. Il 16 settembre fu tumulato nel ‘Boschetto’ di Staglieno accanto alla tomba del figlio, luogo in cui, oltre un trentennio dopo, nel dicembre del 1939 sarebbe stata sepolta anche la moglie Aurelia.
Opere. La produzione di Vassallo è piuttosto ricca, caratterizzandosi per la presenza di opere di vario rilievo e natura. Per limitarsi ad alcune tra le principali, si vedano: Poesie del genovese Vassallo Luigi, Genova 1873; La battaglia di Legnano, Genova 1876; Drammi di corte. La Regina Margherita, Roma 1882; La contessa Paola Flaminj, Roma 1882; Diana ricattatrice, Milano 1886; La signora Cagliostro, Milano 1894; Guerra in tempo di bagni, Milano 1896; Nel mondo degli invisibili, Roma 1902; Dieci monologhi, Torino 1903; La famiglia De-Tappetti, Torino 1903; Comunardo Braccialarghe, Genova 1904. Tra le opere postume: Dodici monologhi, Milano 1909; Gli uomini che ho conosciuto, seguito dalle Memorie d’uno Smemorato, Milano 1911; Ciarle e macchiette, Milano 1912; Parla Gandolin, Milano 1919.
Fonti e Bibl.: Oltre alle carte conservate presso l’Archivio privato della famiglia Vassallo, documentazione relativa a Luigi Arnaldo Vassallo è conservata presso l’Archivio Perrone della Fondazione Ansaldo di Genova (Serie scatole Miscellanea e Serie scatole Marrone bis). Presso la stessa fondazione sono inoltre presenti alcune carte, appartenenti all’Archivio Flavia Steno (giornalista e collaboratrice del Secolo XIX durante la direzione di Vassallo), che incrociano abbastanza direttamente la vita privata e soprattutto professionale del giornalista genovese. Di un certo interesse sono anche i documenti conservati presso l’Archivio della Biblioteca universitaria di Genova (con particolare riferimento al Carteggio Vassallo-Nurra). Tra gli studi si veda: F.E. Morando, Luigi Arnaldo Vassallo (Gandolin) e i suoi amici, Bologna 1928; Gandolin, Aneddoti raccolti da Arturo Salucci, Roma 1929; A. Ginella Capini, Carissimo Arnaldo. Lettere a Luigi Arnaldo Vassallo Gandolin, Genova 1996; Ead., Rabagas, il potere trrrrrremi. Un foglio satirico con vignette da attribuirsi allo «smemorato» Gandolin, in Studi e ricerche di storia ligure, I (1997), pp. 125-165; F. Galli, «Il Secolo XIX». Un giornale per l’Ansaldo, in Storia dell’Ansaldo, II, La costruzione di una grande impresa 1883-1902, a cura di G. Mori, Roma-Bari 1995, pp. 167-188; F. Cordova, «Caro Olgogigi». Lettere ad Olga e Luigi Lodi. Dalla Roma bizantina all’Italia fascista (1881-1933), Milano 1999, pp. 31-58; O. Freschi, «Il Secolo XIX». Un giornale e una città 1886-2004, Roma-Bari 2005, pp. 3-111; A. Picchiotti, Flavia Steno. Una giornalista, una donna (1875-1946), Genova 2010, pp. 48-171 e 224-288.