CASINI, Francesco Maria
Nacque ad Arezzo l'11 nov. 1648 da Carlo e Olinipia Albergotti. Apprese nella città natale i primi rudimenti di grammatica e di retorica risolvendosi assai presto ad abbracciare la vita monastica. Il 9 nov. 1663 optò per la regola dei cappuccini e da questa data fu utilizzato dall'Ordine come oratore: incarico per il quale dové intraprendere numerosi viaggi, anche fuori d'Italia, riportando una notevole esperienza di uomini e di cose.
Nominato dall'Ordine lettore di filosofia e teologia, assolse successivamente l'incarico di ministro della sua provincia, poi di definitore dell'Ordine e quindi di procuratore generale. La carriera del C. in seno all'Ordine era dovuta presumibilmente a ragioni di carattere culturale: nel 1677 pubblicò a Venezia una prima raccolta di Panegirici sacri e l'opera ebbe una ristampa due anni più tardi; nel 1680 vide la luce a Firenze La predica intorno ai legati pii dedicata al vescovo di Arezzo Alessandro Strozzi, con la quale il C. interveniva direttamente per plasmare una immagine efficace del diplomatico pontificio.
Sotto il profilo letterario queste prime esperienze dello scrittore aretino si iscrivono senza molta difficoltà nel solco dell'oratoria barocca e già i più antichi biografi non esitavano ad accostare lo stile del C. a quello del Segneri. Clausole numeriche, artifici retorici, che il genere dell'oratoria sacra ha in comune in questo periodo con le altre forme di prosa d'arte, e soprattutto una sorprendente attenzione per la pagina letterariamente compiuta più che per l'effetto della dizione, caratterizzano sin da questo momento la predica del C., intesa sì come strumento di convincimento, ma anche come equilibrio intrinseco, concluso nello scritto, cioè come superiore padronanza linguistica.
Nel 1698 papa Innocenzo XII lo chia 1 mo a Roma in qualità di predicatore apostolico: incarico che il C. assolse fino al 1712, allorché fu elevato da Clemente XI alla porpora col titolo di S. Prisca.
Appena un anno dopo la nomina a cardinale il C. dava alle stampe l'opera sua più famosa e quella che sicuramente compendia, da un lato, il suo sapere teologico, dall'altro l'esperienza ottenuta in quattordici anni di attività oratoria svolta presso la S. Sede: Prediche dette nel Palazzo Apostolico, edite per la prima volta a Roma in tre volumi nel 1713 e ristampate a Milano nel 1715 e nel 1718.
Ancora il Tiraboschi, a Settecento inoltrato, riportava un'eco, sicuramente attenuata ma ancor viva, del successo letterario che arrise alla raccolta dello scrittore aretino. Si tratta di centotrentaquattro prediche che, riportate al tempo in cui furono date alle stampe, presentano un panorama letterario niente affatto mutato rispetto a quei canoni di oratoria sacra che avevano avuto a metà del secolo precedente i più insigni codificatori nel Segneri, nel Bartoli, nel Malvezzi. Vero è che in un periodo in cui l'oratoria seicentesca si tramuta per inerzia di epigoni in una congerie di freddure, il C. sembra riproporre degli esempi la lezione più attenuata riproponendo gli schemi cari alla sensibilità barocca con un dosato gusto per ciò che poteva essere letterariamente ancora accettabile. Va inoltre aggiunto che il programma oratorio del C. è quello di riportarsi ad una semplicità evangelica, di esercitare un apostolato "come fu esercitato dai primi alunni del Vangelo, non per umanità d'interesse, ma per divinità di fervore". E tale assunto, se per un verso concede al C. una certa libertà di parola contro lo schematismo del genere (e un pensiero apparentemente spregiudicato, per esempio, allorquando denuncia gli abusi del clero e la violenza dei principi insensibili al messaggio cristiano) lo svincola anche da un linguaggio troppo involuto e artificioso, da uno stile che ricerca l'adesione dell'ascoltatore tramite la sorpresa per l'invenzione verbale. Simili attenuazioni dello stile barocco potevano anche essere frutto dell'attenzione rivolta dal C. alle nuove leggi dell'Arcadia, di cui egli fu membro col nome di Aretino e alle cui sedute l'alto prelato non soltanto partecipò, ma sembra che dedicasse tributi poetici particolarmente applauditi.
Le poesie arcadiche del C. non ci sono comunque pervenute e dovettero essere ben presto eclissate dalla prevalente notorietà dell'autore in quanto uomo di Chiesa e austero predicatore. Non è tuttavia improbabile che proprio questa comunanza con le idee e le convenzioni arcadiche abbia preservato il C. da quegli eccessi concettistici da cui non andarono esenti i contemporanei ed abbia contribuito a spostare il significato della propria attività letteraria verso un programma di vantata naturalezza.
Né l'attività di predicatore né la fama raggiunta con l'edizione del 1713 distolsero il cardinale da un'opera di alacre adempimento di vari incarichi che gli furono successivamente. affidati in Curia, quali le incombenze della Congregazione de Propaganda Fide, della Visita apostolica ai Regolari, del S. Uffizio, dell'Indice, dell'Esame dei vescovi, del Tribunale delle indulgenze. Morì a Roma il 15 febbr. 1719 e fu sepolto nella chiesa dei cappuccini.
Già da qualche tempo aveva provveduto al lascito di tutti i suoi beni, compresa una notevole biblioteca di testi sacri e profani e di preziosi testi in volgare del Cinquecento al Collegio romano de Propaganda Fide. Paolo Olimpio Franchetti ne recitò l'elogio funebre.
Dei C. si ricorda ancora L'età dell'uomo alle misure dei tempo e dell'eternità, considerata dal P. Francesco Maria Casini di Arezzo cappuccino, oggi cardinale di S. Prisca, Roma 1712. Soprattutto quest'opera rivela quanto saldi fossero ancora i tributi che lo scrittore settecentesco doveva alla tradizione barocca. Qui egli ripropone addirittura una serie di luoghi oratori cari alla predica medievale, al trattato ascetico, alla visione del "contemptus mundi": e tuttavia si illuderebbe chi volesse scoprire nel C. una trasgressione alla naturalezza della retorica arcadica e non scoprisse alla base di questa rivivescenza ascetica del predicatore settecentesco L'uomo al punto di Daniello Bartoli e le più vigorose riprese seicentesche del terrorismo medievale.
È questo un punto sul quale conviene insistere non soltanto per quel che concerne direttamente la pratica del religioso aretino, ma per quel che riguarda, in senso più generale, tutta la prosa sacra del Settecento. Tale secolo, come osservava giustamente il Natali, fu prodigo di predicatori, i quali si inserirono nel clima di imperante Arcadia facendo proprio un manifesto di personale rigorismo e che nella seconda metà del secolo interverranno aspramente contro i vizi di una società "fibertina" o semplicemente filoilluministica, Irancesizzante e "filosofica". Ora, affievolito in pieno Seicento l'impeto repressivo e la funzione disciplinare della Controriforma, l'oratoria sacra torna, proprio nella prima parte del nuovo secolo, ad assumersi un ruolo direttivo nella organizzazione della compagine sociale, tenta di reinserirsi come elemento edificante in quella repubblica di dotti che la Controfiforma aveva bene o male assicurato a Roma, aspira a riconquistare un ceto intellettuale, a farsi interprete di nuovi rapporti culturali riproponendo l'antica intimidazione della Controriforma trionfante.
Sotto questo duplice aspetto, che costituisce in fondo la doppia faccia di una stessa medaglia, l'opera del C. è significativa e può esprimere, al livello delle direttive di Curia, le speranze espresse da Roma per una palingenesi in senso cattolico del mondo.moderno. Ancora una indicazione bibliografica può suggerire la longevità di tale programma presso alcuni ambienti della cultura italiana nel secolo XIX se si pensa che le Prediche dette nel Palazzo Apostolico furono ancora ristampate a Fossombrone nel 1861. Anche in questo caso, come avvenne alla data della loro prima apparizione, dové registrarsi una sintesi tra programma morale e attrazione puristica che il linguaggio del C. era destinato ad esercitare.
Fonti e Bibl.: P. O. Franchetti, Delle lodi del cardinal C., Orazione, Milano 1719; Notizie istor. degli Arcadi morti, I, Roma 1720, p. 195; Bernardino da Bologna, Bibliotheca scriptorum Ordinis minorum S. Francisci capuccinorum, Venetiis 1747, p. 104; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Milano 1836, ad Indicem; E. De Tipaldo, Biografie degli italiani illustri, VI, Venezia 1838, pp. 338 s.; F. Inghirami, Storia della Toscana - Biografia, Fiesole 1843, p. 408; F. Zanotto, Storia della predicazione, Modena 1899, pp. 284-293; Romualdo da San Marcello, Il cardinale C. oratore, in Italia francescana, II (1927), pp. 218-231; Bernardino da Cittadella, Il pensiero missionario del cardinal C. nelle sue Prediche al Pal. apostolico, ibid., V (1930), pp. 463-467; VI (1931), pp. 184-203; G. G. Sbaraglia, Supplementum et Castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci..., III, Romae 1936, p. 230; G. Natali, Il Settecento, Milano s.d., ad Indicem; V. Ciaurri, Il C. oratore, in La scuola cattolica, LXXVI (1948), pp. 320326; L. von Pastor, Storia dei Papi, XIV, 2, Roma 1932; XV, ibid. 1933, ad Indices; Enc. Catt., III, col. 981.