FIORENTINI, Francesco Maria
Nacque a Lucca il 4 ott. 1603 da Mario e da Flaminia di Girolamo Tucci. La famiglia era originaria di Camaiore e solo nel 1610 Mario ottenne la cittadinanza lucchese.
Secondogenito di tredici figli, il F. ebbe tra i suoi primi maestri lo zio materno, Niccolò Tucci, latinista, storico e poeta. A ventitré anni, quando quasi tutti i suoi fratelli e sorelle avevano vestito l'abito religioso, il F. per non contrariare il padre abbandonò l'idea della carriera ecclesiastica e s'iscrisse alla facoltà di medicina e filosofia dell'università di Pisa, dove ebbe come professori G.T. Prattico, lettore di medicina teorica e pratica, e D. Vigna, lettore ordinario dei semplici e che fu anche maestro di F. Redi. Col Prattico e col Vigna il F. conseguì la laurea il 10 luglio 1629.
Negli anni pisani particolarmente significativo fu l'incontro con G. Galilei favorito da G. Pellegrini di Camaiore, che nel 1622 aveva pubblicato a Firenze la Nova opinio de modis quos logici vocant dicendiper se. Morto il Pellegrini, il F. non ebbe più occasione di rivedere Galileo, né di scrivergli. Della corrispondenza intercorsa tra loro rimangono solo due lettere del F., scritte a Galileo il 12 e il 21 dic. 1633 (pubblicate per la prima volta nel 1904). L'occasione per riallacciare i rapporti di un'antica amicizia fu fornita dal fratello del F., Girolamo, sacerdote della Congregazione della Madre di Dio, a quel tempo dimorante a Roma proprio mentre Urbano VIII ordinava la revisione del processo contro lo scienziato.
In entrambe le lettere il F., oltre a rinnovare i suoi sentimenti di stima verso Galileo, non esita a scagliarsi contro i nemici della verità, tacciandoli di invidiosi e accennando esplicitamente al libro di Scipione Chiaramonti di Cesena, Difesa... al suo Antiticone (Firenze 1633), scritto in opposizione al Dialogo sopra i due massimi sistemi. La passione del F. per le scoperte della fisica sperimentale galileiana è ulteriormente testimoniata da brevi note e schizzi astronomici che il F. pose a commento di alcune opere scientifiche.
Il F. iniziò la brillante carriera di medico, trovandosi subito a dover affrontare il diffondersi della peste del 1630. Già dalle avvisaglie del morbo, comparso in Sicilia nel 1624 e poi diffusosi da Nord, la Repubblica aveva preso provvedimenti per evitare il contagio, proibendo anche i commerci per determinati periodi. Come negli altri antichi Stati italiani anche a Lucca i conservatori di Sanità si rivelarono efficienti e tempestivi nell'arginare l'epidemia. Il F., ascritto da un anno al Collegio dei medici, fu nominato il 25 nov. 1630 direttore del lazzaretto, ricavato in un vecchio lebbrosario posto fuori dalla cerchia delle mura.
Mentre ai provvedimenti e ai controlli di rito si alternavano le preghiere e le processioni delle autorità ecclesiastiche cittadine, l'impegno del F. si svolse tra mille difficoltà all'interno del lazzaretto, dove scarseggiavano i letti e dove l'azione del medico si scontrava col disservizio degli addetti. Nelle lettere e nei rapporti che il F. inviava ai conservatori di Sanità si lamentava soprattutto che si fosse pensato a ricoverare nel lazzaretto soltanto i poveri della città e non quelli delle campagne vicine. Dopo un mese di lavoro il F. stese una dettagliata relazione, che non fece stampare (fu edita solo nel 1879 da G. Sforza). Le sue osservazioni si appuntavano su cinque punti principali: l'identificazione del morbo come peste bubbonica desumibile dal propagarsi dei contagio; i sintomi manifestati e in particolare quello della febbre "maligna, ma non ordinaria e di pessima natura"; le cause, sulle quali, essendo difficile dare delle risposte, lo stesso F. non poteva esprimersi se non limitandosi a riferire le voci che circolavano su presunti "untori" pisani e influssi maligni di costellazioni; il numero e la tipologia degli ammalati e infine i rimedi per curarli, dopo aver accertato che maggiore era il numero di guarigioni dopo l'impiego di tali rimedi e l'osservanza di norme igieniche rigorose.
Trascorso un periodo di quarantena a Massa Pisana e nella casa di famiglia a Camaiore, il F. fu adeguatamente remunerato dalla Repubblica per il servizio prestato e ammesso nell'offizio sopra gli Speziali, carica allora molto ambita e nella quale fu riconfermato undici volte tra il 1633 e il 1671. In altre occasioni la sua opera di medico fu ricercata per debellare i casi di peste che si ripresentarono a Lucca e nel territorio dal 1631 al 1653.
Nel 1640 sposò la nobile Laura di Cesare Benassai, dalla quale ebbe dodici figli. Il primogenito Mario continuò la professione del padre e ne riordinò i numerosi appunti scientifici e letterari.
Annoverabile nella corrente di pensiero medico, che si definì "iatromatematica" o "iatromeccanica", il F. mantenne un intenso e costante carteggio con F. Redi, M. Malpighi, gli anatomici lorenesi C. Auber e G.A. Musner; conobbe e ospitò il medico danese N. Stenone recatosi a Lucca nel 1667. Per proprio conto e come inviato dalla Repubblica compì numerosi viaggi in Italia e in particolare a Padova, dove fu incaricato di consultarsi coi professori di quella università in seguito ad una nuova epidemia di febbri petecchiali che nel 1648 aveva colpito la popolazione lucchese, mietendo circa 8.000 vittime.
Fu in questa occasione che si manifestò il divario e il contrasto fra la vecchia e la nuova scuola medica. Il F. in polemica con un altro medico di Lucca, B. Cattani, sosteneva sulla base di ben venticinque dissezioni anatomiche compiute sul cuore che il polipo riscontrato nei ventricoli si formasse in seguito al processo febbrile e che mai fosse stato osservato prima dagli antichi. Sulla scia di Malpighi, Stenone e G.A. Borelli anche il F. dava in questo modo un importante contributo alla conoscenza della struttura muscolare cardiaca di grande attualità dopo gli studi di W. Harvey sulla circolazione sanguigna. Queste sue osservazioni rimasero però inedite e conservate nei codici della Biblioteca governativa (ora statale) di Lucca insieme con altri numerosi consulti e con un erbario in vari volumi. Tra gli studi medici manoscritti sono senza dubbio rilevanti per il progresso delle conoscenze cliniche quelli condotti sull'eziologia del diabete mellito riscontrato dal F. soprattutto tra i membri del patriziato lucchese per ragioni alimentari e quelli sull'impiego della corteccia peruviana, o "China-china", nella cura delle febbri terzane e quartane. Di tutte queste esperienze il F. teneva sempre informato F. Redi, col quale ebbe modo di confrontare anche certe sue osservazioni sul veleno delle vipere e la generazione degli insetti, sviluppate precedentemente a quelle del medico aretino.
L'unica opera scientifica che il F. volle stampare (Lucca 1653), era nata dai suoi interessi per la ricerca anatomica. Eseguendo l'autopsia di un giovane ucciso in una rissa, ebbe modo di individuare nelle mammelle la presenza di canaletti ripieni di siero lattiginoso; la descrizione che ne diede nell'opuscolo diviso in due parti, De genuino puerorum lactae ac mammillarum usu nova assenio e De mammillarum in lactifero viro structura observatio, dava un ulteriore contributo alle scoperte sui vasi linfatici fatte dall'anatomica danese T. Bartholin. L'opera fu apprezzata e conosciuta anche all'estero.
La fama di esperto clinico aveva fatto del F. uno dei medici più richiesti non solo dalla nobiltà lucchese, ma anche da sovrani e pontefici, che offrirono incarichi dal F. sempre rifiutati, fedele com'era alla propria libertà professionale. Il 26 luglio 1652 il Consiglio generale della Repubblica gli conferiva la cittadinanza originaria e l'anno dopo lo ammetteva tra i surrogati degli Anziani. Tuttavia non poté mai ricoprire la carica di anziano né di gonfaloniere, perché a Lucca le leggi vietavano l'inserimento dei medici in queste magistrature. Come riconoscimento della sua profonda cultura ed erudizione fu, Invece, Inserito nell'officio sopra le Scuole dal 1654 al 1657.
Stimolato dall'erudizione dello zio materno N. Tucci, che tra i primi a Lucca aveva intrapreso ricerche negli archivi cittadini, il F. mise insieme una ricca libreria di codici e pergamene andati poi in gran parte dispersi nell'incendio della Biblioteca pubblica nel 1822. La più antica pergamena risale al 1041; tra i codici, di cui ha lasciato una descrizione A. Zaccaria nel suo Iter litterarium per Italiam (Venetia 1762), si trovano epistole di s. Paolo, una Bibbia e un Vangelo di s. Matteo con glosse del sec. XIII, un codice del sec. XII, da cui trasse materia per la sua opera Fetustius occidentalis Ecclesiae manyrologium, pubblicata nel 1668.
Molti furono a Lucca coloro che scrissero opere di storia e di erudizione locale, ma almeno dalla metà del Cinquecento restarono quasi tutte manoscritte. L'offizio sopra le Scritture esercitava, infatti, un severo controllo sia sugli archivi sia su quanti vi attingevano; temi delicati erano considerati la soggezione di Lucca all'Impero e il governo aristocratico. Ingiustamente, perciò, il F. lamentava che nella sua patria fosse stato trascurato lo studio della storia, tanto più che anch'egli il 29 genn. 1666, insieme con altri cinque cittadini, era stato incaricato di dare un parere sul contenuto di un compendio storico scritto da M. Manfredi; nel decretarne la sospensione della pubblicazione il F., come gli altri, si appellava alla difesa della miglior immagine possibile che si doveva garantire alla storia di Lucca e che il Manfredi non sembrava aver rispettato (Arch. di Stato di Lucca, Consiglio generale. Riformagioni segrete 391, cc. 10, 124).
L'opera storica di maggior rilievo e respiro che vide la luce a Lucca nel Seicento fu senza dubbio quella del F., Memorie della gran contessa Matilda restituita alla patria lucchese, pubblicata nel 1642 una prima volta e poi nel 1756, con note e aggiunte di documenti, da G.D. Mansi.
L'occasione per scriverla fu del tutto esterna anche se non estranea agli interessi e alla preparazione dell'autore. Gli archivi lucchesi e in particolare il ricco e quasi inesplorato archivio vescovile giustificavano l'incarico dato al F., tramite il vescovo di Lucca M.A. Franciotti, di compiere le ricerche sulla contessa Matilde. L'opera fu dedicata dal F. al papa Urbano VIII; i vincoli della committenza non si rivelarono a ben guardare troppo limitanti per l'autore tanto che non menzionò la cessione della Garfagnana fatta da Matilde al papa, non ritenendo che vi fossero sufficienti documenti per provarlo. Di questi temi discusse con il prefetto dell'Archivio Vaticano, F. Contelori, del quale sarebbe uscita a Terni postuma (1657) una Mathildis Comitissae genealogia. Pare che questo carteggio gli procurasse dei fastidi; c'era tuttavia chi apprezzava nel F. lo sforzo di sottrarsi al "fango dell'adulazione" (Arch. di Stato di Lucca, Magistrato de' segretari 79). Sforzo che ribadiva nella prefazione dell'opera a proposito della nascita lucchese di Matilde.
All'apparato critico sostanziato di citazioni di autori e memorie, ricavate dall'esame di 12.000 documenti antichi, non manca di aggiungere il raffronto o la confutazione di quanto Sigonio, Mellini o Baronio avevano espresso sull'epoca di Matilde. L'impianto dell'opera è sostenuto da un linguaggio immediato, che nelle intenzioni dell'autore non doveva avere nulla a che fare con i "capricci d'un romanzo", né "pretendere di lambiccar politica agli statisti". La sobrietà dello stile adottato dal F., che il Mansi individuerà come un "buon gusto" nascente, poggiava tuttavia su presupposti che ancora risentivano dei giudizi storiografici maturati sul Medioevo: la verità "vestita delle penne di rozzi secoli" per il F. non poteva ammettere "delicatezze". Il libro fu comunque molto apprezzato proprio per aver spaziato anche sui secoli "bui" della storia italiana; il Mansi nella sua edizione riportò la serie degli elogi che il F. ricevette fino a includervi quelli di G.W. von Leibrutz e L.A. Muratori. La stesura di questo lavoro aveva procurato al F. un intenso carteggio con gli eruditi del tempo da F. Ughelli a D. Papebroeck, mentre restava aperta la questione della nascita di Matilde di volta in volta rivendicata dalla città di origine dei suoi biografi.
Degli altri studi di erudizione sacra scritti dal F. uno solo fu pubblicato prima della sua morte e cioè la Vita dis. Silao vescovo irlandese (Lucca 1662). Postumi uscirono uno studio sull'uso del pane fermentato e dell'azzimo per l'eucarestia e uno piuttosto incompleto sulle origini del cristianesimo in Toscana, pubblicati a Lucca rispettivamente nel 1690 e nel 1701 a cura del figlio Mario: Tumultuaria disquisitio F.M. Florentini, nobilis Lucensis, de antiquo usufermentati panis et azymi pro Ss. Eucharistiae sacrificio e Hetrusciae pietatis origines. I lavori inediti sulla storia ecclesiastica e civile di Lucca e sui suoi personaggi più illustri sono tutti conservati nella Biblioteca statale della città (si vedano, in particolare i codici 42, 103, 926, 1262).
Ammalatosi più volte dal 1669, pur continuando la sua professione di medico e i suoi molteplici studi, il F. morì a Lucca il 25 genn. 1673 e fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di S. Maria di Corteorlandini, vestito, in obbedienza alle sue ultime volontà, di "un sacco o tela rozza".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Collegio de' medici 2; Magistrato de' segretari 79; Consiglio generale 391, cc. 3, 10, 32, 47 ss. Per le notizie e l'inventario della collezione delle pergamene del F. ora conservate presso l'Arch. di Stato di Lucca vedi Ibid., Archivio diplomatico. Inventario, pp. 12-15. Si veda ancora: Lucca, Bibl. statale, Manoscritti Fiorentini, codd. 1222-1270, dei quali si segnalano i codd. 1268-1270, contenenti il carteggio del F. con eruditi scienziati e familiari e che solo in parte è pubblicato, oltre alle lettere scritte a F. Redi e conservate tra i manoscritti della Bibl. Mediceo-Laurenziana di Firenze. Sul F. e sulla sua attività si veda infine: G. Targioni Tozzetti, Notizie degli aggrandimenti delle scienze fisiche accaduti in Toscana nel corso di anni LX del secolo XVII, III, Firenze 1780, p. 184; G. Tiraboschi, Storia della lett. italiana, VIII, Firenze 1812, pp. 132 s.; G. Sforza, F.M. F. e i suoi contemporanei lucchesi, Lucca 1879 (nelle appendici sono pubblicate molte lettere della corrispondenza del F. con M. Malpighi, F. Redi e altri); v. anche F. Redi, Lettere, a cura di D. Moreni, Firenze 1825, pp. 7 ss.; O. Modugno, Glorie lucchesi, Lucca 1907, pp. 35-39; G. Arrighi, Un galileiano lucchese: F.M. F., in Actes du 2ème Symposium int. d'histoire des sciences (... 1958), Pisa 1959, pp. 202-212; E. Coturri, La vita e l'opera di F.M. F. medico lucchese del Seicento (estratto da Minerva medica, L [1959], Roma 1959); G.P. Della Capanna - U. Ceccarelli, F.M. F. (1603-1673), Lucca 1960; U. Ceccarelli, Il carteggio di F.M. F. medico lucchese del '600 con alcuni scienziati del suo tempo, in Minerva medica, LIII (1962), pp. 1-15; A. Oberti - U. Ceccarelli - G. Rialdi, Consulti medici di F.M. F. medico lucchese, Genova 1963; F. storico della contessa Matilde, in Studi matildici. Atti e memorie del II Convegno di studi matildici... 1970, Modena 1971, ad Indicem; C. Sodini, "In quel strano e fondo verno": Stato, Chiesa e cultura nella seconda metà del Seicento lucchese, Lucca 1992, ad Indicem.