FRANCESCO MARIA II Della Rovere, duca di Urbino
Unico figlio maschio del duca Guidubaldo e di Vittoria, figlia del duca di Parma Pierluigi Farnese, nasce a Pesaro il 20 febbr. 1549. Accuratamente istruito da maestri di non comune levatura - tra questi Girolamo Muzio e, pare, Fabio Albergati -, manifesta presto un vivo interesse per le lettere e le matematiche e un'indole riflessiva.
Alla corte di Spagna dal dicembre del 1565 al luglio del 1568 F. ha una relazione con la "bellissima" damigella d'onore della regina Maddalena Ossuna Tellez Girón y Guzmán, sorella del duca d'Ossuna, e con questa, anche se di condizione inferiore, è "inclinato a casarsi", come s'affretta, il 5 maggio 1568, a scrivere al padre il rappresentante urbinate Francesco Landriani. Un pericolo, questo d'un matrimonio non conveniente, sventato col richiamo a Urbino. Più che convenienti, invece, e pei 150.000 ducati di dote e per la casata della sposa - e poco importa se F. le subisce riluttante - le nozze, celebrate con gran fasto il 18 genn. 1570 (F. è rappresentato da Cesare Gonzaga) e festeggiate, non appena F. arriva, il 28, a Ferrara, per poi a feste finite ripartirsene il 13 febbraio colla sfiorita Lucrezia d'Este, di 15 anni più vecchia. Cantata da Tasso la coppia che fa scendere, per l'occasione, "Imeneo" da "Parnaso", ma non per questo bene assortita. Immediata la reciproca insofferenza. Lucrezia - ricorderà, nel 1589, Orazio della Rena - in quanto nipote di Luigi XII si ritiene "più di qualsivoglia donna di cristianità" e pretende che F. le si accosti profondendosi in "riverenze". Il che riesce intollerabile al già di per sé poco attratto Francesco Maria. Tant'è che "non potette far di manco di non prorompere una volta" in ingiurie irriferibili contro di lei. Quando, l'8 luglio, F. parte da Pesaro alla volta di Genova per imbarcarsi - come ricorda nel suo Diario - "sopra l'armata della lega", non è sospinto solo dalla smania di combattere contro la Mezzaluna, ma anche dalla voglia di fuggire da una moglie che ormai gli ripugna. Né certo gioisce nel rivederla allorché, in novembre, sbarca a Pesaro, reduce dalla battaglia di Lepanto, cui ha partecipato "sopra la galea capitana del duca di Savoia", non senza che alla sua incipiente nomea di "studioso e letterato assai" s'aggiunga quella di "soldato" sia pure una tantum. E proprio per celebrarlo come tale Federico Barocci viene incaricato di ritrarlo.
Morto il 28 sett. 1574 il padre, F. esordisce come duca determinato a un "buon governo" affatto diverso da quello paterno. Donde l'abbattimento, a Urbino, d'una rocca fatta erigere da Guidubaldo a minaccia d'eventuali espressioni di malcontento e l'immediato licenziamento dei ministri - uditori, segretari, luogotenenti - al servizio del padre e con la condanna di quanti, tra questi, F. ritiene colpevoli. Si salvano fuggendo Pietro Bonarelli e Francesco Landriani, mentre il conte di Mombello Antonio Stati viene decapitato. Dissestato l'Erario alla scomparsa di Guidubaldo. Ma F. - anziché ricorrere alla pressione tributaria - elimina parecchi dei dazi e delle gabelle introdotti dal padre e nel contempo riduce le spese di corte; comincia collo sfoltire la propria guardia d'onore. Ma, per quanto drastica, la contrazione dei costi della corte non basta. Urge affluisca del contante. E se l'investitura d'un castello a Francesco Paciotti del 5 maggio 1578 non fa introitare alcunché poiché i 6.000 ducati valgono a saldo d'un debito, un autentico incameramento sono, invece, i 100.000 ducati ricavati dalla vendita, del 12 sett. 1579, a Giacomo Boncompagni del Ducato di Sora. Rallegrante, dopo qualche anno, la sconfitta del deficit e il successivo attivo di cassa. "Le entrate", così F., "ascendono ora a 250.000 ducati et speriamo siano per accrescere… né ciò per via di gravezze, ma per l'industria et buon governo". Improntata altresì al rigore è l'amministrazione della giustizia. Severi i decreti contro gli abusi e i soprusi di giudici e funzionari venali. Fissate - di contro alla piaga dei processi interminabili - regole pel loro spedito svolgimento; e, a tal fine, giova arginare gli sfoggi citatori dei giudici e avvocati, sicché, con legge del 26 febbr. 1613, F. restringe drasticamente il numero dei giuristi citabili. Regolamenta la gestione dei Monti di pietà. Emana disposizioni a protezione degli orfani e delle vedove. Proibisce le offese e le soperchierie antiebraiche, malgrado la vigenza anche nel Ducato, in quanto feudo della Chiesa, della feroce bolla di Pio V del 1556. Fa disciplinare e addestrare le milizie da qualificati ufficiali sicché, nel 1580, F. può contare su di una milizia effettiva di 15.000 fanti; "fa professione di principe giusto e religioso molto", riferisce l'inviato veneto Matteo Zane. Ma, anche se ostentatamente devoto, memore dell'esempio spagnolo, non lascia spazio alle inframmettenze del clero. E, allorché la S. Sede s'oppone alla sua "condotta" spagnola (che comporta per lui lo stipendio di 12.000 scudi annui e l'impegno "di una compagnia di gente d'arme nel Regno di Napoli") dell'8 nov. 1582, F. reagisce stizzito. Rifiuta di disdire una "condotta" che gli assicura "la protettione" spagnola.
A capo d'uno Stato piccolo F., ma gratificato da un motu proprio di Gregorio XIII (1582) del titolo di "serenissimo" e d'"altezza" cui s'aggiunge la promozione imperiale del 1585 da "illustre" a "illustrissimo", e godente d'una reputazione più grande rispetto alla modesta entità dello Stato da lui governato. Sollecito nel governo e attento anche alla salute dei sudditi (è per questo che, nel 1591, istituisce una commissione di cinque docenti dell'ateneo patavino perché contrasti le febbri epidemiche scoppiate nel Pesarese) e, insieme, amante della lettura, bastano questi due dati di fatto a sollecitare la piaggeria dei letterati, peraltro puntualmente delusi se da F. s'attendono laute ricompense - è troppo parsimonioso per concedersi il lusso di generosità mecenatesche -, a elevarlo a prototipo dell'ottimo e dottissimo principe, non senza sottolineare il nesso tra buon governo e cultura. Sicché F., non a caso dedicatario di tanti scritti editi e inediti - e anche Galilei, reduce dal pellegrinaggio a Loreto, si sente in dovere d'omaggiarlo a Pesaro il 9 giugno 1618 -, assurge, in una celebrazione che va da Tasso ad Antonio Bruni, suo segretario dal 1625, a "principe filosofo" che regge "filosofando" e filosofa "reggendo", a "letterato principe" che, immerso "tra' libri", da questi distilla essenze di politica "prudenza" sui "sudditi et vassalli… felici sotto l'ombra de' suoi giusti comandi", a principe teologo pel quale "la ragion di stato è zel di Cristo". E c'è chi, come Giovan Battista Albertini, non esita a proclamarlo "filosofo perfettissimo". Un'esagerazione spropositata. Stando al Diario - ossia alle scarne annotazioni buttate giù da F. dalla fine del 1582 al novembre del 1621; e queste poi si diradano nel 1622-23; datata 26 marzo 1626, comunque, l'ultima - il suo paesaggio mentale è desolantemente privo del benché minimo soprassalto speculativo. Sa sì riportare che gli ci son voluti 15 anni, dal 1570 al 1585, per "veder tutte le opere di Aristotele" colla scorta del futuro vescovo di Pesaro Cesare Benedetti, che il 18 ag. 1587 dopo "tre anni et dieci mesi" ha finito "di vedere tutta la Bibbia con diversi commenti" e che il 15 dic. 1598 ne ha ultimata, dopo tre anni, la rilettura col "commento" di Denys le Chartreux. Lettore sistematico F., onnivoro, nonché autorizzato, sin dal 1° ag. 1577, alla lettura dei libri proibiti (e ne approfitta, visto che nella sua biblioteca figura Giordano Bruno), ma non un rigo stralciato, non un verso citato attestano, nel Diario, se la "lettura d'infiniti libri" - così Antonio Donà suo consigliere nei suoi ultimi anni - abbia in lui stimolato una qualche riflessione, suscitato una qualche emozione. Avverte gli "scirocchi di primavera", sente durante il "temporale" tuonar "gagliardamente", mentre lampeggiano "baleni". La natura vien per lui prima dei libri. E quel che prova dentro si raggela in un appunto cronachistico. Il 17 dic. 1611 "morì il mio Ubino, d'anni 23, che fu bonissimo cavallo"; è il "mio" a denunciare un dolore altrimenti non percepibile. Epperò se F. appunta che il 3 ag. 1602 "arrivò… Guarino per fermarsi qua appresso di me" e che il 27 luglio 1604 "se ne tornò a casa sua", si guarda bene dal dire se l'arrivo l'ha rallegrato, se la partenza l'ha rattristato. Banalizzante l'intermittente annotare di F.; ma ciò - si può ipotizzare - volutamente. In tal caso l'epiteto di "filosofo" appioppatogli dai contemporanei non è del tutto immeritato. Assente il pensiero e assenti anche i pensierini nel Diario; censurati e taciuti, pure, i sentimenti nella costante determinazione d'un esercizio di minimizzazione, di sottrazione, di frantumazione, di appiattimento uniformante mirato al conseguimento d'una sorta di stoica imperturbabilità, di corazzata indifferenza, di saggia apatia. Così facendo, corazzandosi nell'angustia del proprio sin asfissiante microcosmo, F. un po' carsicamente e, a scopo terapeutico, filosofeggia: esorcizza il dolore, rimuove il peso della vita.
Devono aver molto pesato nella sua esistenza la rinuncia all'amore per la bella spagnola e l'infelice unione con l'antipatica, boriosa, abituata al lusso più dispendioso (è al suo servizio lo scalco Giambattista Rossetti), non bella e non più giovane Lucrezia d'Este. Certo, allorché dopo la morte di Guidubaldo, questa si reca a Ferrara per quel che doveva essere un temporaneo soggiorno, F. non la trattiene. Ma è lesivo pel prestigio di F. che la moglie non torni ed è screditante che conceda familiarità a Tasso. Sicché, il 1° dic. 1576, le ingiunge di tornare, "dispostissimo", purché essa s'adatti alla "strettezza" della corte - non certo brillante come quella estense - a venirle, nei limiti del "possibile", incontro. Troppo poco perché Lucrezia lasci lo sfavillio di Ferrara - e qui gli amori non le mancano: notorio quello col conte Ercole Contrari, cui subentra, morto tragicamente questi, quello, altrettanto chiacchierato, col conte Luigi Montecuccoli - pel grigiore urbinate. Non resta che addivenire a una separazione consensuale le cui condizioni - 6.000 scudi all'anno e il governo del castello di Novellara per la duchessa assente, molto meno di quanto questa pretenda - sono fissate, il 31 ag. 1578, dall'arbitrato d'una commissione cardinalizia. Soddisfatto F. annota nel Diario che "la duchessa volle… fermarsi" a Ferrara. Il che, aggiunge, non "diede al marito fastidio alcuno, poiché, essendo essa non atta alla prole, poco importava" la sua definitiva lontananza. "Non vanno d'accordo e vivono separati" constata Montaigne in visita a Urbino il 29 apr. 1581. Ora che la moglie non lo disturba più, F. può anche manifestarle un po' di "cortesia", sì da mantenere (con qualche lettera, che la duchessa ricambia) un rapporto formalmente corretto. E, quando apprende che "la duchessa" è "amalata", spedisce a visitarla un suo segretario, l'abate Giulio Brunetti, il 14 febbr. 1598. Il 15 apprende che, ancora l'11, "morì - come s'affretta a riportare nel Diario - in Ferrara madama Lucretia d'Este, duchessa d'Urbino, mia moglie". L'addolorerà ben di più la morte d'Ubino, il cavallo amatissimo.
Vedovo in là cogli anni, con "poca… salute", con poco vigore, con poca voglia di vivere pienamente e, più ancora, con nessuna voglia di cambiare la vita cui s'è abituato e che a lui si confà, F., anche se in età tale da "far rimanere vano il pensiero della successione", deve, come reclamano i sudditi, come impone la ragion di Stato, come esige lo stesso suo senso del dovere, pensare a riaccasarsi e far il possibile perché la nuova sposa gli dia il sospirato erede. Vanno sventati gli appetiti d'incameramento della S. Sede, va fugata la prospettiva - sgradita al suo orgoglio di principe e paventata dai sudditi - di fare la stessa fine di Ferrara. E sin dalla fine di giugno del 1598 si rivolge alla vecchia madre - questa, l'aveva notato anni prima Zane, è "intendentissima delle cose di stato" sicché F. "aderisce molto al consiglio" suo - perché da lei "amorevolmente aiutato" col suo illuminato "parer intorno alli suggetti" possibili, si possa, tra questi, individuare la sposa adatta. Subito scartata l'ipotesi d'un matrimonio di prestigio - c'è già il precedente negativo delle prime nozze! -, si punta su d'una scelta in ambito locale procedendo a una sorta di censimento delle fanciulle in fiore nell'Urbino di fine '500. Occorre una giovane sana, di specchiati costumi, dalla prevedibile fertilità e, naturalmente, di buona famiglia. Tutti requisiti riscontrabili in Livia Della Rovere, la primogenita del cugino di F., Ippolito (figlio naturale, legittimato da Pio V, del card. Giulio Feltrio, zio paterno di F.), e di sua moglie Isabella Vitelli dell'Amatrice: Livia è giovane, sin troppo (non ha ancora compiuto i 14 anni); è di certo virtuosa ché, orfana di madre, sta coltivando la sua virtù chiusa in convento a Pesaro. Di qui vien prelevata e sacrificata, si può ben dirlo, alle esigenze dinastiche del Ducato con le nozze celebrate, modestamente e dimessamente, il 26 apr. 1599 a Casteldurante; ed è del 6 la dispensa papale rilasciata da un irritato Clemente VIII illusosi che F. volesse, invece, abdicare. E colmo di rattenuta felicità questi, quando, il 16 maggio 1605, "piacque a Dio", come annota nel Diario, gratificarlo colla nascita di un figlio, Federico Ubaldo.
F. non è uomo capace di gioire più che tanto per la nascita "quasi miracolosa" dell'erede. Subito si cruccia di morire di lì a poco lasciandolo indifeso in mano ai "preti", agli intrighi della S. Sede. Donde l'escogitazione d'un sistema che lo tuteli nell'eventualità della propria scomparsa. Donde la formazione d'un "consiglio di stato" di otto membri, retribuiti con 300 scudi annui ciascuno, che, pel momento, funga da organo consultivo, pronto a trasformarsi - se egli muore - in Comitato di reggenza (la prima riunione si tiene il 22 genn. 1607).
Indicativo, comunque, che F. non contempli un benché minimo ruolo di tutela per la moglie, quasi questa, partorendo l'erede, abbia ultimato il suo compito. E, in effetti, il suo secondo matrimonio, anche se allietato dalla nascita di Federico Ubaldo, non lo apre a una dimensione d'affetti domestici. Se, a suo tempo, l'ha infastidito la prima moglie più vecchia, ora la seconda, con la sua giovinezza, lo mette a disagio. Non sa che dirle, non sa come trattarla. Né Livia sa, a sua volta, come comportarsi con un marito che è più anziano di suo padre. Sfiorisce accanto a un estraneo sempre più chiuso nelle sue apprensioni, sempre più raggelante nel ribadimento delle sue coriacee abitudini. Né le è concesso di distrarsi, quasi ciò a lei non s'addica, quasi la sua stessa giovinezza sia, agli occhi di F., una colpa. Né può, in compenso, dedicare tutta se stessa al figlio. Preoccupato di plasmarlo in vista della successione, F. lo circonda di precettori e dame di corte che quasi si frappongono tra lui e sua madre. Depresso e deprimente nella sua senescenza F.: non sa essere affettuoso colla moglie, non sa intenerirsi col figlio e non ha nemmeno più voglia di governare. Passa il grosso del suo tempo a Casteldurante; e qui alterna la lettura alla caccia, mentre all'amministrazione dello Stato provvedono gli otto del Consiglio.
Ma il futuro della successione continua ad angosciarlo. Troppo fragile la tutela degli otto. Donde il volgersi di F. al Granducato di Toscana, il puntare sull'impegno nuziale tra Claudia de' Medici e il figlio, col conseguente affidamento della tutela di questo a Cosimo II. Superflui a questo punto gli otto e perciò soppressi l'11 sett. 1613. Ormai è Firenze a vegliare su Urbino. E così F. -sempre più immerso tra i libri della sua fornitissima "libraria" di Casteldurante per ospitare la quale ha disposto d'aggiungere un braccio alla sua residenza - si sente un po' più sicuro. Uno scudo per lui - costretto ogniqualvolta s'ammala a paventare manovre di truppe pontificie ai confini - l'alleanza coi Medici. A ogni buon conto - dopo che il figlio s'è sposato il 29 apr. 1621 - F., il 3 novembre, delega a lui il governo ritirandosi a Casteldurante donde, brontolante e ammonente, vanamente cerca di richiamare il ragazzo a un minimo di senso del dovere, a un minimo d'assolvimento dei propri compiti. Questi - lasciate le fatiche amministrative ai peggiori tra i suoi consiglieri - è davvero sfrenato nelle sue scapestrataggini. Senza "frutto" le "parole" di F.; e ciò l'addolora e l'addolora ancor più - così F. in una lettera al figlio ove appare un cenno pietoso alla moglie - la pena in cui vive "vostra madre". Schiantata questa, il 29 giugno 1623, dalla repentina scomparsa di Federico Ubaldo. Diversa la reazione di F.: lungi dal disperarsi, ha come uno scatto d'energia, ripiglia nelle proprie mani il governo, non senza, a tutta prima, contrapporsi all'immediato manifestarsi delle brame pontificie. Per lo meno nominando erede la nipotina Vittoria salva i beni allodiali e, consentendo al suo trasferimento a Firenze e al suo fidanzamento col primogenito di Cosimo II, Ferdinando, favorisce le riemerse aspirazioni medicee sul Ducato urbinate. Solo che non ha l'animo di reggere a lungo alle minacciose pressioni romane. Sicché si piega, il 4 novembre, a riconoscere i diritti feudali della S. Sede sull'intero suo Stato, incluso il Montefeltro, sottraibile, invece, alla devoluzione qualora fosse dimostrabile (ma ciò col ricorso alla forza, e a tanto nemmeno Firenze osa spingersi) la sua natura di feudo imperiale. Magra consolazione per F. il riconoscimento - nella convenzione romana del 30 apr. 1624 - essere il palazzo ducale di Gubbio, coll'arredo interno e, quindi, con lo "studiolo con le scansie intarsiate e pitture" di Federico da Montefeltro, sua proprietà personale. Penosi, a questo punto, gli ultimi anni del vecchio duca. Troppo impaziente la S. Sede per attendere che scompaia. Sicché già l'umilia colla prevaricante presenza dell'arcivescovo d'Urbino Paolo Emilio Santorio. Tant'è che da questo ingombrato - e s'aggiungerà a incrudelire su di lui, all'inizio del 1625, il nuovo vescovo di Senigallia, il card. di S. Onofrio Antonio Barberini - preferisce, nel dicembre 1624, rifugiarsi a Casteldurante chiedendo egli stesso l'invio d'un governatore, al quale - riserbandosi la sovranità - delegare l'amministrazione. E giunge, nel gennaio del 1625, il card. Berlinghiero Gessi, cui F. - sciolto il Consiglio degli otto da lui ripristinato nel 1623 - consegna i contrassegni delle fortezze e tre stanze del palazzo urbinate quale sede del governatorato. Ma, una volta insediatosi, il prelato non ha tanti riguardi: licenzia tutti i cortigiani di F. e occupa l'intero edificio. Pessimo il suo governo. E con lui contrasta - gareggiante in corruzione e malversazione - l'arcivescovo d'Urbino Santorio, mentre F. assiste impotente. Partito, all'inizio del 1627, il Gessi, gli subentra il vescovo di Cesena card. Lorenzo Campeggi, del pari prepotente con un F. sempre più malandato di salute, sempre più costretto, pressoché paralizzato, a letto. Decrepito, "solo… pelle e… osso", a detta d'un agente mediceo, il vecchio duca, mentre "il colore delle carni è simile a quello del piombo". Né, nella sua fralezza, può essergli di conforto la moglie ché, a torto, è sospettata di tramare con Roma contro di lui. Solo vive nell'incubo che la S. Sede voglia attentare alla sua esistenza. E avverte il venir meno dell'affezione dei sudditi, i quali gli voltano "le spalle", non gli "portano più rispetto". Unica consolazione inviare alla spicciolata a Firenze statue, quadri, pezzi dell'"armeria", oggetti preziosi, "gioie". Meglio vadano alla nipote, ai Medici, che al papa. E meglio, "dopo tante disgratie", la fine. Come per estinzione, come "per via di risoluzione del color naturale", annota Antonio Donato, F. sprofonda nel progressivo assopimento d'un "piacevolissimo sonno", spegnendosi a Casteldurante (oggi Urbania) il 28 apr. 1631. Finalmente Urbano VIII, il 12 maggio, può proclamare l'annessione del Ducato allo Stato pontificio, mentre con la scomparsa di F. - così nell'apprenderla l'ambasciatore veneto a Roma Giovanni Pesaro - "ha perduto l'Italia una casa di principi molto degni", di cui, appunto, F. è "l'ultimo".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato, Dispacci, Ferrara, f. 2 (a p. 160 della copia); Ibid., Roma, f. 41, lett. nn. 46, 49; Bernardino Pino da Cagli, Lettere instruttorie, Urbino 1592, passim; A. Guarini, Orazione in lode di… A. Cybo…, Ferrara 1609, pp. 3 s.; B. Baldi, Carmina ad… F.M.…, Parmae 1609; G. Matteazzi, Ragionamenti politici…, Venetia 1613, f. 11; B. Guarini, Lettere, Venetia 1615, pp. 106, 171-173, 398 s.; T. Demptero, Troia Hetrusca sive Gamelia ludicra… ad seren. F.M.…, Florentiae 1616; G. Casoni, L'opere…, Venetia 1626, pp. 82-85; G. Brunetti, Lettere scritte in nome del… sig.… F.M.… duca…, Napoli 1632; Mem. concernenti la vita di F.M.… ultimo duca scritte da se medesimo coll'aggiunta di A. Donato, a cura di F.S. Passeri Ciacca, Venezia 1776; Relazioni degli amb. veneti…, a cura di E. Alberi, s. 2, IV, Firenze 1857, pp. 387, 477 s.; Relazioni… lette… dagli amb. veneti…, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, s. 3, I, Venezia 1877, pp. 181, 207 s., 227 s., 299 s.; Nozze ill. Descr. dell'ingresso e… feste in occasione delle nozze di Leonora d'Este col principe F.M.…, a cura di G. Baccini, Firenze 1882; Carteggio… di T. Brahe, G. Keplero e di altri…con G.A. Magini…, a cura di A. Favaro, Bologna 1886, pp. 179, 357 (non figura nell'indice dei nomi ); Ven. Depeschen…, a cura di S. Turba, III, Wien 1895, ad Ind.; Nuntiaturberichte aus Deutschland…, s. 4, I (= Pallotto), a cura di H. Kiewning, Berlin 1895, ad Ind.; Il libro di ricordi della fam. Cybo…, a cura di L. Staffetti, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXVIII (1908), ad Ind.; T. Boccalini, Ragguagli di Parnaso…, a cura di G. Rua - L. Firpo, Bari 1910-48, ad Ind.; G. Marino, Epistolario…, a cura di A. Borzelli - F. Nicolini, Bari 1911-12, ad Ind.; Relazioni degli amb. veneti…, a cura di A. Segarizzi, Bari 1912-16, ad Ind.; Nunziature di Savoia, I, a cura di F. Fonzi, Roma 1960, ad Ind.; Relazioni di amb. veneti…, a cura di L. Firpo, Torino 1965-1983, VI, p. 491; VII, pp. 777, 824, 916; IX, pp. 195 s., 394, 481 s., 588; F. Testi, Lettere, a cura di M.L. Doglio, Bari 1967, ad Ind.; G.B. Marino, Lettere, a cura di M. Guglielminetti, Torino 1966, ad Ind.; F. Sansovino, Venetia…, Venezia 1968, ad Ind. dell'indice a cura di L. Moretti; Nunziature di Venezia, XI, a cura di A. Buffardi, Roma 1972, ad Ind.; F. Patrizi, Lettere…, a cura di D. Aguzzi Barbagli, Firenze 1975, ad Ind.; A. Tassoni, Prose…, a cura di P. Puliatti, Roma-Bari 1980, ad Ind.; O. Olivieri, Monimenta Feretrana…, a cura di I. Pascucci, San Leo 1981, ad Ind.; Scipione Gonzaga, Autobiografia, a cura di D. Della Terza, Modena 1987, ad Ind.; Francesco Maria II Della Rovere, Diario, a cura di F. Sangiorgi, Urbino 1989; Corrispondenze dipl. ven. da Napoli. Relazioni, a cura di M. Fassina, Roma 1992, ad Ind.; A. Bruni, Epistole eroiche, a cura di G. Rizzo, Galatina 1993, ad Ind.; P.M. Amiani, Mem.… di Fano…, Fano 1751, ad Ind.; R. Reposati, Della zecca di Gubbio e delle geste de' conti e duchi di Urbino…, I, Bologna 1772, ad Ind.; J. Dennistoun, Memoirs of the dukes of Urbino…, a cura di E. Hutton, London 1909, ad Ind.; G. Campori, G. Bonarelli Della Rovere, in Atti e mem. delle… Dep. di storia patria per le prov. mod. e parmensi, VIII (1875), pp. 115-144 passim; V. Rossi, B. Guarini…, Torino 1886, pp. 28, 52, 135-142, 291 s.; G. Scotoni, Livia Della Rovere …, in Nuova Antologia, 16 sett. 1889, pp. 263-285; A. Solerti, Vita di T. Tasso, Torino-Roma 1895, ad Ind.; G. Scotoni, La giovinezza di F.M.…, Bologna 1896; A. Solerti, Ferrara e la corte estense…, Città di Castello 1900, pp. LII s., LXXIX, XCI; A. Saviotti, Di un ined. carteggio di B. Baldi, in Le Marche, I (1901), pp. 149-155; R. Mariotti, Le seconde nozze di F.M.…, ibid., II (1902), pp. 24-32; G. Radiciotti, Una lett. ined. dell'insigne… T. de Victoria a F.M.…, ibid., pp. 50-52; G. Zaccagnini, Lirici urbinati…, ibid., III (1903), pp. 105-113 passim; O. Mattirolo, Le lett. di U. Aldovandi a… F.M.…, in Mem. della R. Acc. delle scienze di Torino, s. 2, LIV (1903-1904), pp. 355, 363, 391-398; C. Ricci, Vita barocca, Milano 1904, pp. 3-14; A. Fano, S. Speroni…, Padova 1909, pp. 102, 110 s., 142 s., 179-182; A. Alippi, Ricordi… d'arte… dal diario… di F.M.…, in Rass. bibl. dell'arte ital., XII (1909), 4-6, pp. 72 s.; G. Castellani, La città di Fano e il Ducato di Urbino alla fine del sec. XVI…, in Le Marche, X (1911), pp. 1-11 passim; V. Spampanato, Vita di G. Bruno…, Messina 1921, ad Ind.; G. Menichetti, Firenze e Urbino (gli ultimi Rovereschi e la corte medicea)…, in Atti e mem. della R.Dep. di storia patria per le Marche, s. 4, IV (1927), pp. 247-298; V (1928), pp. 1-117; Corpus nummorum Ital., XIII, Roma 1932, ad Ind.; G. Gronau, Documenti artistici urbinati, Firenze 1936, ad Ind.; B. Ligi, Mem. eccl. di Urbino, Urbino 1938, ad Ind.; A. De Rubertis, F.M. II… e la contesa fra Paolo V e la Repubblica…, in Arch. veneto, s. 5, XXXIII (1938), pp. 1-55; T. Bozza, Scrittori politici…, Roma 1949, ad Ind.; Saggio di… bibliogr.… di Pesaro…, a cura di I. Zicari, Città di Castello 1950, pp. 39 s., 80 s.; A. Lazzari, Le ultime tre duchesse di Ferrara…, in Atti e mem. della Dep.… ferrarese di storia patria, n.s., VI (1952), pp. 186-188, 191, 249; R. Ramat, Lettura del Tasso minore, Firenze 1953, pp. 60 s., 79, 126; L. Firpo, Lo stato ideale della Controriforma…, Bari 1957, ad Ind.; G. Franceschini, Figure del Rinascimento urbinate, Urbino 1959, passim; L. Moranti, Bibl. urbinate, Firenze 1959, ad Ind.; H. Olsen, F. Barocci, Copenhagen 1962, ad Ind.; A. Archi, Il tramonto dei principati in Italia, Bologna 1962, pp. 58-70; I. Lavalleye, Le palais ducal d'Urbino, Bruxelles 1964, ad Ind.; E. Liburdi, Cenno… degli statuti comunali marchigiani, in Atti e mem. della Dep. di storia patria per le Marche, s. 8, IV (1964-65), 2, p. 343; A. Baviera, Ricerca di carte greche…, ibid., V (1966-67), pp. 154-159; L. Moranti, L'arte tipogr. in Urbino…, Firenze 1967, ad Ind.; Storia di Napoli, Napoli 1967-78, ad Ind.; W.J. Temelini, L'epistolario di B. Pino…, in Civiltà dell'umanesimo…, a cura di G. Tarugi, Firenze 1972, p. 351; A. D'Addario, L'archivio del Ducato di Urbino…, in Misc. in mem. di G. Cencetti, Torino 1973, pp. 579-637 passim; Studi secenteschi, XV (1974), e XXII (1981), ad Ind.; Mostra di F. Barocci…, a cura di A. Emiliani, Bologna 1975, passim; A. Brancati, La Bibl. e i musei… di Pesaro…, Pesaro 1976, ad Ind.; P.L. Menichetti, Le corporazioni… a Gubbio, Città di Castello 1980, pp. 67, 87 s., 197; M. Moranti - L. Moranti, La libreria della famiglia Corboli…, in Atti e mem. della Dep. di storia patria per le Marche, LXXXV (1980), pp. 243-248 passim; G.G. Scorza, Pesaro fine secolo XVI. Clemente VIII e F.M. II…, Venezia 1980; M. Moranti - L. Moranti, Il trasferimento dei "codices Urbinates" alla Bibl. Vaticana…, Urbino 1981; I Della Rovere… catalogo della Mostra, a cura di G.G. Scorza, Pesaro 1981, passim; M. Pieri, La scena boschereccia…, Padova 1983, ad Ind.; M. Pantić, I Bobali ed i Gozzi…, in Barocco in Italia e… paesi slavi…, a cura di V. Branca - S. Graciotti, Firenze 1983, pp. 114-126; A. Daniele, Capitoli tassiani, Padova 1983, ad Ind.; G. Da Pozzo, L'ambigua armonia…, Firenze 1983, ad Ind.; M. Moranti - L. Moranti, Le leggi suntuarie nel Ducato di Urbino…, in Atti e mem. della Dep. di storia patria per le Marche, LXXXVIII (1983), pp. 142 s., 151-158, 162 s., 170-177; P. Redondi, Galileo eretico, Torino 1983, ad Ind.; M. Ravegnani Morosini, Signorie e principati. Monete…, I, [Rimini] 1984, pp. 93-106; P. Pissavino, L. Zuccolo…, Firenze 1984, passim; Réécritures… commentaires… dans la littérature ital. de la Renaissance, II, Paris 1984, ad Ind.; M. Bregoli Russo, Renaissance Ital. theaterJ. Regenstein Library… Univ. of Chicago, Firenze 1984, ad Ind.; Vestigia. Studi in on. di G. Billanovich, Roma 1984, ad Ind.; A. Emiliani, F. Barocci …, Bologna 1985, passim; Il Palazzo di Federico da Montefeltro…, a cura di M.L. Polichetti, Urbino 1985, pp. 127, 183, 209, 393-395, 533; Au pays d'Eros. Littér. et érotisme…, Paris 1986, ad Ind.; N. Longo, ll punto… questioni sulla "libreria impressa" di Urbino, in Ricerche… in on. di R. Frattarolo, Roma 1986, pp. 207-214 passim; Federico di Montefeltro…, Roma 1986, ad Ind.; L. Benevolo - P. Boninsegna, Urbino, Roma-Bari 1986, ad Ind.; M. Tenti, La viabilità del Ducato dal Diario di F.M.…, in Le strade nelle Marche…, Ancona 1987, pp. 991-1013; A. Fontana, La piazza del Cinquecento…, in Discours littéraires et pratiques politiques, a cura di A.C. Fiorato, Paris 1987, p. 170; Tasso, la musica, i musicisti, Firenze 1988, ad Ind.; G. Luzzatto, Per una storia economica delle Marche, a cura di P. Giannotti, Urbino 1988, pp. 130-132; "Familia" del principe…, Roma 1988, ad Ind.; F.M. Giochi, Di… trattatisti di "militaria" nelle Marche…, in Atti e mem. della Dep. di storia patria per le Marche, XCIV (1989), pp. 180 s.; P. Zampetti, Pittura nelle Marche, Firenze 1989-91, ad Ind.; Sperone Speroni, Padova 1989, ad Ind. (ma vale per lui il grosso dei rinvii, non pel nonno omonimo, col quale è confuso); S. Ricci, La fortuna… di G. Bruno, Firenze 1990, ad Ind.; L. Cheles, Lo studiolo di Urbino…, Modena 1991, ad Ind.; A. Favaro, Scampoli galileiani, a cura di L. Rossetti - M.L. Soppelsa, Trieste 1992 (rist. anast.), ad Ind.; Le arti nelle Marche al tempo di Sisto V, a cura di P. Dal Poggetto, Cinisello Balsamo 1992, passim; P. Pissavino, La città nei "Dialoghi" di L. Zuccolo, in Le ideologie della città…, a cura di V. Conti, Firenze 1993, pp. 303-323 passim; Studi per P. Zampetti, a cura di R. Varese, Ancona 1993, ad Ind.; A.E. Baldini, Un sistema "usatissimo…"… una lett. di Frachetta, in Il Pensiero politico, XXVI (1993), pp. 243-253; Id., G. Frachetta…, in Archivio della Ragion di Stato, II (1994), pp. 16-28 passim; ad Ind. in G. Mazzatinti, Inv. dei mss. delle bibl. d'Italia, IX, X, XXIX, XXXIII-XXXV, XXXVII-XXXVIII (a lui compete il rinvio a p. 140), XLII, XLV, XLVIII, LI-LII, LXVIII, LXXIII, LXXVI, LXXX; P.O. Kristeller, Iter Ital., I, ad Ind. (ma va distinto dal nonno paterno omonimo).