MANCINI, Francesco Maria
Nacque a Roma il 20 ott. 1606 da Paolo e da Vittoria Capocci, esponenti di famiglie della nobiltà civica romana.
All'inizio del Seicento il padre ricoprì alcune cariche nell'amministrazione del Comune di Roma e fu uno degli animatori dell'Accademia degli Umoristi. Mentre al fratello Lorenzo (1602-50) fu affidato il compito di assicurare la continuità familiare sposando (1634) Geronima Mazzarino, sorella del futuro cardinale Giulio, il M. fu avviato alla carriera ecclesiastica.
Dopo gli studi al Collegio romano e la laurea in diritto civile e canonico, divenne referendario di Segnatura (1633) e fu, per alcuni anni, impiegato nell'amministrazione periferica dello Stato della Chiesa, come governatore di Terni (1636-37), di Sabina (1637), di Norcia (1637-38) e di Todi (1638-39). Si trattava di un passaggio quasi obbligato per un giovane prelato, ma il M. riuscì a segnalarsi per una notevole competenza, che accelerò la sua carriera.
Tornato a Roma fu votante di Segnatura e mantenne stretti legami con la famiglia Barberini, tanto che assunse anche le funzioni di uditore del camerlengo Antonio Barberini, dal 1639 al 1644. Nel 1645 successe ad Angelo Celsi, nominato uditore di Rota, come segretario della congregazione del Buon Governo.
Il M. esercitò a lungo questa carica e improntò con la sua azione una non breve fase della vita amministrativa dello Stato della Chiesa. La sua competenza indusse tuttavia i pontefici ad affidargli anche missioni di altro genere.
Nel corso degli anni Cinquanta del Seicento la posizione del M. si rafforzò notevolmente grazie ai suoi legami familiari con il cardinale Mazzarino, ormai definitivamente tornato in auge dopo i torbidi della Fronda. Già nel 1649 il Mazzarino aveva caldeggiato una promozione del M. al cardinalato, raccomandandolo al re di Polonia Giovanni Casimiro V e al suo ambasciatore, J. Ossolinski. Ma durante il pontificato di Innocenzo X si era in una fase non favorevole dei rapporti tra il Papato e la Francia e la nomina dovette attendere ancora diversi anni.
I legami del M. con il cardinale Mazzarino rimasero sempre molto stretti. Mazzarino, non avendo discendenti del suo casato, intendeva trasmettere il suo patrimonio ai figli e alle figlie delle sue due sorelle, Anna Maria Martinozzi e Geronima Mancini. Nell'ambito di questo disegno, il M. cominciò ad acquisire un ruolo di qualche rilievo dall'autunno del 1650, in seguito alla morte del fratello Lorenzo. Da quella data, infatti, il M. fu un interlocutore indispensabile per il Mazzarino, che proprio attraverso lui poté seguire i suoi interessi familiari a Roma e promuovere il progressivo trasferimento in Francia dell'intera famiglia Mancini.
Nel 1654 il M. fu incaricato di risolvere la difficile situazione della nunziatura in Spagna, che era al centro di un grave conflitto diplomatico.
Dal 1652 la nunziatura era tenuta da Gianfrancesco Caetani, arcivescovo di Rodi, in una situazione di crescenti tensioni. La corte di Spagna rimproverava a Innocenzo X di frapporre ostacoli all'esercizio del privilegio di nomina dei vescovadi vacanti nella Catalogna, dove proprio in quegli anni si usciva dalla decennale rivolta. Non ritenendo il Caetani all'altezza della situazione, Innocenzo X nominò al suo posto Camillo Massimo, ma il governo spagnolo, irritato da atteggiamenti del pontefice che potevano apparire "filofrancesi" (come le pressioni per la restituzione delle entrate ecclesiastiche ad Antonio Barberini), rifiutò di accreditarlo.
La situazione divenne progressivamente più grave a causa delle connivenze tra il governo spagnolo e il Caetani. Confidando in una prossima fine del pontificato di Innocenzo X, il Caetani ostacolò in ogni modo l'azione del Massimo, finendo per bloccare completamente le attività della nunziatura. Nell'ottobre 1654 il papa inviò in Spagna, con il titolo di nunzio, il Mancini.
Il M., pur esperto prelato, non poté ottenere risultati decisivi e dovette limitarsi a ordinare la chiusura della nunziatura, nel dicembre del 1654. Il Caetani non poté opporsi, ma riuscì ancora a procrastinare l'insediamento di Camillo Massimo fino alla primavera del 1655, quando l'elezione di Alessandro VII restituì al Papato l'autorevolezza necessaria a ridefinire i suoi rapporti col governo spagnolo.
Tornato a Roma, il M. riprese le sue attività presso la congregazione del Buon Governo e partecipò a una congregazione particolare incaricata di avviare una serie di riforme amministrative nello Stato della Chiesa (1656-57).
Nel 1660 il M. fu creato cardinale. Al di là dei suoi meriti, apparve chiaro a tutti gli osservatori che la nomina era strettamente legata al sostegno del cardinale Mazzarino. Lo stesso biografo del M. sottolineò che essa avvenne su richiesta di Luigi XIV e indicò tra i principali meriti del porporato quello di essere "tantarum mulierum patruus" (Chacón, col. 750).
Grazie all'appoggio della corte francese, il M. ricevette anche molti benefici ecclesiastici, tra cui le abbazie di St-Martin nella diocesi di Laon, Maison de Dieu nella diocesi di Clermont, St-Lucien nella diocesi di Beauvais e St-Pierre du Mont nella diocesi di Châlons.
Nelle sue istruzioni all'ambasciatore a Roma, Charles de Créqui, nel 1662 (Recueil des instructions, pp. 146 s.), Luigi XIV raccomandò il conferimento dei benefici ecclesiastici al M. come una questione che gli stava particolarmente a cuore. E anche nelle istruzioni ai successivi ambasciatori il sovrano francese tornava a offrire al M. e alle nipoti il suo appoggio, come ricompensa per i grandi servigi resi dal Mazzarino allo Stato.
Durante il pontificato di Alessandro VII, il M. non fu al centro della scena politica romana, pur rimanendo un autorevole cardinale di Curia. Fu ascritto alle congregazioni che si occupavano del governo temporale dello Stato della Chiesa, il Buon Governo, la congregazione dei Confini e la Consulta, ma non vi giocò un ruolo particolarmente significativo. Continuò invece a segnalarsi per una stretta adesione al partito francese, che risultò particolarmente evidente durante il conflitto tra Alessandro VII e il duca di Créqui (1663-64). In quell'occasione, infatti, il M. fu, insieme con i cardinali Francesco Maidalchini e Rinaldo d'Este, uno dei pochi cardinali italiani a sostenere le ragioni della Francia, giungendo al punto di allontanarsi da Roma per protesta. Una tale identificazione con la politica francese finì per rivelarsi un'arma a doppio taglio. Il M. poté infatti continuare a godere della benevolenza di Luigi XIV, ma finì per essere guardato con sospetto dal pontefice e restò escluso dai centri del potere curiale.
Alla morte di Mazzarino (9 marzo 1661) il M. ricevette da lui, oltre ad alcuni legati minori, l'usufrutto del palazzo sul Quirinale con facoltà di venderlo, a patto di impiegare il ricavato a vantaggio della secondogenitura Mancini, istituita a favore di Filippo Giuliano Mancini, duca di Nevers, e dei suoi eredi. Non sembra tuttavia che il M. si sia interessato al palazzo Mazzarino, mentre risulta che si occupò saltuariamente dei lavori di ammodernamento del palazzo Mancini al Corso, di cui era stato incaricato Carlo Rainaldi.
L'attività di mecenatismo del M. fu del resto assai limitata: si limitò a promuovere il rinnovo degli affreschi delle cappelle gentilizie Mancini e Bufalini nella chiesa di S. Maria in Aracoeli commissionando l'opera al pittore Giovanni Battista Bonocore (o Boncori), che la concluse intorno al 1670-71. I rapporti del M. con Bonocore dovettero comunque essere piuttosto stretti, visto che l'artista visse per circa due anni nel palazzo Mazzarino al Quirinale.
La serena vecchiaia del M. fu turbata dalle complesse vicende matrimoniali delle sue nipoti, e in particolare di Ortensia Mancini, che nel 1668 si rifugiò a Roma dopo aver abbandonato il marito, C.A. de La Porte marchese di Meilleraye.
Pur non prendendo apertamente posizione in favore della nipote, il M. diede prova di una notevole tolleranza rispetto alle eccentriche abitudini di vita di Ortensia, ma fu fermo nel cercare di evitare che i suoi comportamenti compromettessero l'immagine della famiglia. Di fronte all'evidente legame della nipote con uno scudiero del suo seguito, tal Courbeville, il M. caldeggiò, insieme con il resto della famiglia, la reclusione della giovane nel monastero delle benedettine di Campo Marzio, ma non poté fare nulla quando, nel 1669, Ortensia fuggì con uno stratagemma e ottenne la protezione del pontefice Clemente IX, che le consentì di vivere nel palazzo Mancini o nel palazzo Colonna. Analogamente, gli sforzi del M. non poterono impedire che anche la nipote Maria, sposata con Lorenzo Onofrio Colonna, abbandonasse il marito e fuggisse da Roma, nel maggio del 1672.
Il M. partecipò ai conclavi del 1667 e del 1669-70, nei quali fu sempre annoverato tra i membri della fazione francese.
Nonostante le avventure delle nipoti, il M. dovette mantenere buoni rapporti con i Colonna, visto che morì mentre era ospite nella loro signoria di Marino, il 28 o il 29 giugno 1672.
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