QUEIROLO, Francesco Maria
QUEIROLO, Francesco Maria. – Nacque a Genova nel 1704 da una famiglia di umili origini. Non è nota l’identità dei genitori, ma Carlo Giuseppe Ratti (1762) riporta che il padre si guadagnava da vivere «col fabricar pettini» (p. 214). A undici anni Queirolo iniziò il suo apprendistato presso lo scultore Bernardo Schiaffino (1678-1725), mostrando di saper modellare la creta «con tanta aggiustatezza» che il maestro decise ben presto di avviarlo alla lavorazione del marmo (Soprani - Ratti, 1769, p. 305). Per rinvenire una prima attestazione documentaria di un suo lavoro autonomo si deve attendere il 1728, anno in cui Queirolo si impegnò a eseguire un’opera in marmo per il marmoraio Giuseppe Macetti, la cui natura è precisata in un documento del 16 ottobre 1728 che fa esplicito riferimento a «una statua di San Michele Arcangelo con diverse altre figure rapresentanti diavoli» (Santamaria, 2002, p. 31). Il gruppo doveva essere ‘combinato’ a Genova e poi inviato a Cagliari per decorare l’altare di S. Michele Arcangelo nella cattedrale. Tra i due contraenti sorse un dissidio: Macetti aveva fornito il disegno del gruppo, ma lo scultore, nell’approntare il modello, aveva inserito alcuni elementi a suo capriccio. Tali aggiunte furono gradite a Macetti, che tuttavia avrebbe voluto mantenere il prezzo pattuito senza variazioni, non considerando le nuove invenzioni di Queirolo, il quale per ritorsione distrusse il modello. La questione fu risolta dai due governatori di Palazzo ducale, i quali imposero a Queirolo di rifare il modello distrutto e a Macetti di versare una somma maggiorata; inoltre nominarono Giacomo Antonio Ponsonelli come perito. Il gruppo marmoreo finalmente terminato fu consegnato a Macetti nel marzo del 1729 (Santamaria, 2002) e inviato a destinazione.
Queirolo godette a Genova della protezione particolare di Giuseppe Maria Durazzo, figlio di Marcello I dei marchesi di Gabiano. Il 10 settembre 1729 ne ricevette un pagamento di 462 lire per un bassorilievo in marmo raffigurante La fuga in Egitto per la cappella del palazzo Durazzo di Sestri Levante (oggi palazzo Cattaneo Della Volta; cfr. Canepa, 2013). Lo scultore avrebbe dovuto realizzare anche le quattro statue nelle nicchie della cappella, ma il suo trasferimento a Roma ne ritardò l’esecuzione, fino a far cadere la commissione. Tuttavia il legame con la famiglia si mantenne ben saldo nel prosieguo della carriera: il 3 gennaio del 1752 Queirolo ricevette 260 scudi sempre dal marchese Giuseppe Maria per aver scolpito un medaglione in marmo raffigurante l’Immacolata Concezione, destinato al palazzo di Genova, ove tuttora si trova, affisso al prospetto verso la piazza della Nunziata (Canepa, 2013).
Il 28 febbraio 1730 lo scultore consegnò a Domenico Casanova e Giovanni Battista Giordano «un gruppo di figure di marmo rappresentante Plutone che rapisce Proserpina [...] per condurli a Cadice e Lisbona e collà venderle al maggior utile e vantaggio per detto signor Queirolo» (Santamaria, 2002). La spedizione dell’opera, non ancora rintracciata, conferma l’autonomia raggiunta dalla bottega di Queirolo e al tempo stesso la volontà di confrontarsi con il mercato artistico internazionale. Non è un caso che nel 1732 – forse anche a causa delle invidie suscitate dalla protezione dei Durazzo (Ratti, 1762, 1997) – Queirolo decise di trasferirsi a Roma e prese a lavorare nello studio di Giuseppe Rusconi (1687-1737), già prediletto allievo del più famoso Camillo, mentre Giuseppe stava scolpendo la statua di S. Ignazio di Loyola per la navata di S. Pietro. Dopo aver lasciato il maestro, Queirolo strinse un sodalizio professionale con Antonio Corradini (1668-1752; cfr. Soprani - Ratti, 1769) anche se i prolungati soggiorni di quest’ultimo a Vienna, almeno fino al 1743, rendono difficile determinare la natura della loro collaborazione (Desmas, 2012).
Non sappiamo dove lo scultore dimorasse in questo primo periodo del suo soggiorno capitolino: nel 1741 è censito come abitante in via della Panetteria, nei pressi del collegio Nazzareno, in un appartamento di proprietà del cardinale Giulio Alberoni, mentre nel 1743 prese in affitto nella stessa strada il primo piano dell’antico collegio Mattei. A questa data il suo studio era sito alla Chiavica del Bufalo, non lontano dalle suddette abitazioni (ibid.).
Poco dopo il suo arrivo a Roma, sempre nel 1732, lo scultore si aggiudicò il terzo premio della prima classe di scultura del concorso Clementino, vinto quell’anno da Carlo Marchionni, e dal 1743 fu membro dell’Accademia d’Arcadia con il nome di Eudorio (Gli Arcadi dal 1690 al 1800, 1977). Infine, grazie all’intercessione del suo nuovo protettore, il cardinale Giovanni Battista Spinola (1681-1752), fu insignito della carica di cavaliere, appellativo che si riscontra nei documenti per la prima volta il 9 gennaio 1740 (Agresti, 2012).
Già dai primi anni della permanenza capitolina Queirolo ottenne importanti commissioni, lavorando anche per numerosi ‘granturisti’ inglesi, «assai amanti delle di lui fatture» (Ratti, 1762, 1997, p. 215). Tra il 1734 e il 1735 eseguì la statua di S. Filippo Benizi per la balaustrata della facciata di S. Giovanni dei Fiorentini. I quattro blocchi di travertino con cui è composta la figura furono consegnati presso lo studio alla Chiavica del Bufalo il 15 novembre 1734, mentre la statua fu posta in opera il 7 marzo dell’anno seguente (Desmas, 2012). Ancora nel 1735 prese parte alla decorazione della Fontana di Trevi, fabbrica riaperta nel 1732 per volere di papa Clemente XII Corsini sotto la direzione di Nicola Salvi. In questa fase dei lavori – il cantiere sarebbe terminato soltanto nel 1762 – furono realizzate le statue della parte superiore della mostra, raffiguranti le Quattro stagioni e assegnate a Queirolo (Frutti dell’autunno), Bernardino Ludovisi (Estate), Bartolomeo Pincellotti (Primavera) e Agostino Corsini (Abbondanza dei frutti). Nel dicembre del 1736 fu posta in opera l’arme Corsini, intagliata da Francesco Pincellotti e Giuseppe Poddi, e sostenuta da due Fame di Paolo Benaglia (Pinto, 1986), scultore di cui Queirolo l’anno seguente stilò l’inventario post mortem dei beni.
Il 16 giugno 1737 papa Clemente XII celebrò in S. Pietro la canonizzazione di Giuliana Falconieri, Vincenzo de’ Paoli, Francesco de Regis e Caterina Fieschi Adorno. Al fianco del trono pontificio fu posta una statua in stucco della Religione, eseguita da Queirolo in coppia con quella della Giustizia, realizzata da Pierre L’Estache: per queste opere gli scultori percepirono 50 scudi ciascuno (Casale, 1997). Nel frattempo sopraggiunse una commessa genovese. Il 13 maggio del 1739 Giuseppe Maria Durazzo si fece tramite con lo scultore per conto dei protettori dell’ospedale di Pammatone di Genova che desideravano far scolpire degli ovali in marmo da porre negli altari ai lati di quello di S. Caterina dei Fieschi, nell’omonima chiesa. Come si evince da una lettera del marchese datata 8 agosto, l’impresa non andò a buon fine poiché i protettori si aspettavano una richiesta assai più ridotta rispetto ai 300 scudi pretesi dal maestro per ciascun ovale (Canepa, 2013).
Al 1740 risale il busto di Cristina di Svezia, firmato e datato: di proprietà del senatore romano Nicolas Bielke, fu donato per lascito testamentario (18 giugno 1765) al cardinale Alessandro Albani e oggi è ancora conservato a villa Albani-Torlonia (Desmas, 2012). Sempre al quarto decennio del secolo si data il ritratto marmoreo di papa Clemente XII, anche questo firmato, in origine destinato al palazzo Corsini di Roma e poi trasferito nella residenza fiorentina della famiglia in via del Parione, ove tuttora si trova. Proprio nel 1740 Queirolo iniziò a lavorare per la chiesa del Ss. Nome di Maria alla Colonna Traiana, ricevendo, tra gli altri, l’incarico per un rilievo «sopra una delle porte [interne della chiesa], rappresentante la chiara memoria della Regina d’Inghilterra» (Agresti, 2012, p. 163), che tuttavia non venne mai realizzato. Viceversa lo scultore eseguì altri due rilievi in stucco entro medaglioni alla base della cupola, raffiguranti la Presentazione di Maria Vergine al Tempio e la Visitazione. Le opere sono assegnate per via stilistica, poiché nei documenti relativi è soltanto specificato il saldo complessivo di 100 scudi. Gli altri medaglioni furono modellati da Carlo Tantardini (Immacolata Concezione; Incoronazione della Vergine), Bernardino Ludovisi (Nascita della Vergine), Giovanni Battista Maini (Annunciazione), Michel-Ange Slodtz (Presentazione di Gesù al Tempio) e Filippo della Valle (Assunzione).
Non meno importante fu il coinvolgimento di Queirolo nella facciata di S. Maria Maggiore, per la quale scolpì la statua di S. Carlo Borromeo, ricevendo 500 scudi saldati il 14 novembre del 1742. L’anno seguente, per il frontespizio della sagrestia della stessa basilica, licenziò gli Angeli e l’arme di Benedetto XIV, valutati ancora 500 scudi (Desmas, 2012). In concomitanza con i lavori di S. Maria Maggiore si registra la presenza di Queirolo nella chiesa dei padri della Missione in piazza di Montecitorio (poi distrutta), rinnovata, a partire dal 1739, per volontà del cardinale Giacomo Lanfredini e consacrata il 14 luglio 1743. Nel presbiterio furono collocate quattro statue in stucco ricordate nella guida di Fioravante Martinelli del 1750: «Le statue del coro di S. Giovanni e S. Marco furono scolpite da Agostino Corsini, e l’altre due dal cavalier Queiroli». La segnalazione è tuttavia in parte contraddetta da Carlo Giuseppe Ratti (1762, 1997), che assegna a Queirolo le figure di S. Luca e S. Marco (Pierguidi, 2000).
Grazie all’intercessione del cardinale Spinola, lo scultore ottenne la commissione per un altare in marmi policromi per la collegiata di Subiaco, di cui il cardinale era commendatario. I marmi furono trasportati da Roma in più mandate nel 1742, e la macchina, di «squisito lavoro», venne consacrata dal cardinale il 2 luglio 1745 (Canepa, 2013). Al contempo Giuseppe Maria Durazzo pagò al maestro la cornice, probabilmente in marmo ma finora non rintracciata, per un piccolo mosaico (Puncuh, 1984); inoltre lo scultore inviò in dono al re di Napoli Carlo di Borbone la statua raffigurante Davide con la testa di Golia, oggi dispersa (Soprani - Ratti, 1769; Picone, 1959). Nel 1746 Queirolo è menzionato in un contratto per la realizzazione di un altare nella chiesa di Affile (Desmas, 2012), probabilmente quella di S. Felicita.
Sul finire del quinto decennio lo scultore iniziò a ideare alcuni monumenti funebri, modulando con originalità elementi formali a queste date ormai pienamente sperimentati. Tra il 1749 e il 1752 progettò e scolpì il sepolcro della duchessa Livia del Grillo nella controfacciata destra di S. Andrea delle Fratte: la defunta è effigiata in busto e di profilo entro un medaglione svelato da due putti, cui si affianca una figura allegorica dolente. La commissione fu promossa dal marito Andrea di Tursis Doria e dalla figlia Maria Teresa; con la morte di quest’ultima l’anno successivo, nel monumento vennero aggiunti un secondo ritratto e un nuovo epitaffio. Al 1750 risale il sepolcro del vescovo Fabrizio Borgia, originariamente nell’abside della concattedrale dei Ss. Giovanni e Paolo di Ferentino e in seguito rimontato nell’attuale collocazione in sagrestia; anche in questo caso un ampio drappo avvolge l’edicola architettonica in cui è raffigurato il prelato di profilo, accompagnato da un putto inginocchiato con gli strumenti del ministero episcopale.
Il 26 agosto del 1752 il marchese Durazzo invitò Queirolo a occuparsi dei coni di alcune medaglie da farsi in oro e argento, da consegnare ai membri più meritevoli dell’Accademia di pittura e scultura di Genova, operazione di cui non si conoscono gli esiti (Canepa, 2013). Quello stesso anno il cavaliere scolpì in Roma una figura dell’Immacolata, alta circa 120 centimetri, forse su commissione del cardinale Spinola (ibid.). Venuti meno i presupposti dell’esecuzione, il maestro cercò di vendere la scultura agli accademici di Genova, ma senza successo: il 2 febbraio 1754 Durazzo riferiva che essi avevano valutato l’opera 130-140 zecchini, ben al di sotto delle aspettative dello scultore. Il marchese, dunque, si occupò di far recapitare la statua a Napoli, dove nel frattempo Queirolo si era trasferito con la famiglia. La statua fu trattenuta dal principe di Sansevero, suo nuovo committente, «il quale dopo averla posseduta per anni sei, non più la volle» (Canepa, 2013, p. 17). Dunque la scultura, firmata e datata (1752), nel 1787 fu inviata a Kytlice (odierna Repubblica Ceca) per volontà del vescovo di Tiene Antonio Bernardo Gürtler, in occasione della costruzione della nuova chiesa della cittadina, ove ancora oggi si conserva nel presbiterio (Blazícek, 1949-1950).
Il 1752 fu un anno di svolta per la carriera del maestro, poiché si aprì per lui la possibilità di avviare una nuova impresa a Napoli, dove il principe Raimondo di Sangro (1710-1771) stava decorando la cappella di famiglia. La complessa iconografia del corredo scultoreo fu ideata dallo stesso Raimondo, che si ispirò ai valori della massoneria (di cui era gran maestro), valori che si incarnano nelle figure delle Virtù quali tappe del cammino spirituale e iniziatico del massone (Cioffi, 1987). I lavori di scultura presero avvio nel 1750, quando Antonio Corradini, appena giunto in città, inaugurò la prima fase del cantiere: il 12 agosto 1752, al momento della sua morte, egli aveva realizzato quasi tutti i modelli in cera o in terracotta, ma aveva portato a termine solo poche sculture, tra cui la famosa Pudicizia in onore della madre di Raimondo, Cecilia Gaetani dell’Aquila. La scelta del successore ricadde su Queirolo che, il 4 novembre 1752, firmò un contratto molto vantaggioso con il quale si impegnava a lavorare in esclusiva per la cappella Sansevero utilizzando i bozzetti di Corradini ed elaborandone di nuovi in cambio di un compenso di 100 ducati al mese, del vitto e dell’alloggio nel palazzo del principe presso S. Domenico Maggiore (Nappi, 2010). Nei sette anni successivi Queirolo scolpì numerose opere, e propriamente i sei medaglioni sopra le cappelle recanti le effigi dei cardinali della famiglia Sangro (Leone, Oderisio, Rinaldo, Gentile e i due Teodino); la figura della Sincerità (1754-55) per il mausoleo di Carlotta Gaetani, moglie di Raimondo; il gruppo allegorico dell’Educazione (1753) per il deposito di Girolama Caracciolo e Clarice Carafa di Stigliano, rispettivamente prima e seconda moglie di Paolo di Sangro, secondo principe di Sansevero; il monumento a S. Rosalia (1756 circa) voluto per ricordare la più nota santa della famiglia nonché protettrice di Palermo; il monumento a S. Oderisio (1756), trentanovesimo abate di Montecassino e altro rappresentante della famiglia; il gruppo della Liberalità (1753-54), dedicato a Giulia Gaetani d’Aragona, consorte del quarto principe di Sansevero; infine il gruppo del Disinganno (1753), capolavoro di Queirolo, voluto dal principe Raimondo in ricordo del padre Antonio.
Il virtuosismo tecnico del maestro si declina al massimo grado in quest’opera nella resa naturalistica della rete in cui la figura è avviluppata, «la quale è così sottile e con tal finezza lavorata, che non è possibile veder di questo prodiggio maggiore» (Ratti, 1762, 1997).
Lo scultore si era impegnato a portare a termine i lavori entro sei anni dal contratto, ma non avendoli rispettati fu licenziato dal principe, che in più si rifiutò di saldare i conti. Queirolo ricorse al tribunale, che gli riconobbe le spettanze dovute fino al settembre del 1759 e con l’aggiunta degli interessi (Nappi, 2010).
Nel frattempo, nel 1757, lo scultore aveva preso parte al concorso per una statua equestre in onore di Carlo III di Borbone per piazza S. Spirito a Napoli. Alla competizione parteciparono anche Agostino Cornacchini, Giuseppe Canart, Pietro Bracci, lo spagnolo romanizzato Francisco Vergara e altri due scultori napoletani non precisati, mentre un bozzetto era atteso anche dalla Francia, probabilmente da Jacques-François-Joseph Saly (Strazzullo, 1976). Gli Eletti della città di Napoli scelsero il modello presentato da Queirolo, il quale tuttavia non poté procedere all’esecuzione poiché morì nel 1762.
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