SAULI, Francesco Maria
SAULI, Francesco Maria. – Nacque a Genova il 21 gennaio 1807 dal marchese Gaspare e da Anna Maggiolo, in un’antica famiglia originaria di Lucca, da dove era stata cacciata per guelfismo.
Il padre fu un personaggio di spicco della Genova del suo tempo, «figura esemplare di nobile giacobino» (Garini Musto, 1990, p. 66), uomo politico, scrittore, giornalista, prima acceso rivoluzionario, poi partecipe degli assetti politico-amministrativi del periodo napoleonico e soprattutto precoce sostenitore dell’unità italiana.
Non si dispone di dati sulla formazione di Francesco Maria, ma il suo nome non si ritrova tra quel patriziato genovese che aderì alla Giovine Italia. Dal padre dovette comunque ereditare l’amore per la libertà e un convinto unitarismo. La sua elezione nel collegio di Levanto per la prima legislatura del Parlamento subalpino (27 aprile 1848) maturò nell’ambito del Circolo nazionale, un composito ‘club’ politico in cui i liberali moderati avevano una netta maggioranza. Negli anni 1848-49, Sauli fece parte della componente liberale filopiemontese, di cui è testimonianza il suo incarico di commissario straordinario a Modena ai tempi del primo governo costituzionale del Regno di Sardegna presieduto da Cesare Balbo, quando in alcuni rapporti al ministro dell’Interno Vincenzo Ricci, genovese come lui, lamentava l’assoluta mancanza di forza del «partito piemontese» (Montale, 1979, p. 71) in quella città e, per converso, la potenza del «partito del Duca» (p. 86). Nel gennaio del 1849 fu inviato a Londra in qualità di inviato straordinario e ministro plenipotenziario, nell’ultima fase del ‘governo democratico’ di Vincenzo Gioberti.
La nomina arrivava per motivi tutti politici, essendo Sauli legato alla componente rattazziana, e a farne le spese fu Adriano Thaon di Revel, al quale Gioberti, che di quel gabinetto era anche ministro degli Esteri, comunicava tutto il suo disappunto per la sostituzione.
Descritto il 6 gennaio 1849 al ministro degli Esteri Henry Palmerston dall’ambasciatore inglese a Torino sir Ralph Abercromby, come «a person [...] of moderate reasonable, and conciliatory opinions» (Le relazioni diplomatiche..., a cura di F. Curato, 1955, p. 31), Sauli si adoperò subito nel tentativo di veicolare il programma giobertiano di ripresa della guerra contro l’Austria. Non appena arrivato constatò però la dura opposizione del partito tory e dell’opinione pubblica conservatrice nei confronti della causa italiana, confrontandosi al contempo con il realismo di Palmerston: «Vous êtes faibles [...] et l’Autriche est forte: ce serait donc une folie que de vouloir s’obstiner en déhors de toute chance de succès» (p. 69), dichiarava il ministro degli Esteri inglese a Sauli, convinto che l’Italia avrebbe dovuto accettare lo status quo ante bellum. A nulla valsero le argomentazioni dell’ambasciatore circa l’indisponibilità dei piemontesi ad accettare una pace che non avesse tenuto conto dell’atto di unione con il Lombardo-Veneto, dove ormai era vivo «il risentimento profondo dell’oppressione» (p. 69), ciò che secondo Sauli si sarebbe risolto in un motivo di forza: «Ce sont des illusions» (p. 66), rispondeva con nettezza Palmerston.
Caduto il gabinetto Gioberti, Sauli mantenne il suo incarico a Londra anche con il governo del generale Agostino Chiodo, assistendo a quel punto impotente alla nuova crisi nei rapporti con l’Austria che, dopo la denuncia dell’armistizio, avrebbe portato nuovamente alla guerra. Il 22 marzo venne informato dell’ingresso delle truppe austriache in territorio piemontese e qualche giorno dopo della pesante sconfitta subita dalle truppe di Carlo Alberto a Novara. Con toni drammatici, il ministro Raffaele Luigi De Ferrari gli chiese, il 26 marzo 1849, di cercare di ottenere l’appoggio inglese per arrestare l’avanzata austriaca. Sauli mantenne la sua posizione anche con il governo di Claudio Gabriele de Launay, lo stesso che però il 27 aprile successivo lo informava della missione di un inviato straordinario nella persona del conte Stefano Gallina a Londra e Parigi per cercare di attenuare le durissime condizioni richieste dall’Austria. Fu a quel punto che Sauli considerò conclusa la sua missione a Londra: la sconfitta di Novara e la conseguente abdicazione di Carlo Alberto segnarono un punto di arresto nella linea della politica estera sabauda e il governo conservatore di de Launay era d’altronde in evidente discontinuità con i precedenti. Le sue dimissioni furono tuttavia accettate da Massimo d’Azeglio, nuovo capo di gabinetto e ministro degli Esteri, soltanto a fine maggio del 1849, nella speranza che la diversa conformazione politica del nuovo ministero avrebbe potuto convincerlo a permanere nell’incarico.
Rientrato in Italia, Sauli fu rieletto alla Camera nelle legislature III e IV per i collegi di Levanto e Genova (optò per il primo), e partecipò attivamente ai lavori parlamentari. Nella terza legislatura risultò secondo dopo Lorenzo Pareto nelle votazioni per la presidenza della Camera e fu relatore della commissione per il progetto di legge intorno alla privativa postale. Cessò dalla carica parlamentare per la nomina a ministro residente presso il governo del Granducato di Toscana e nei Ducati di Modena e Parma, ruolo che svolse a partire da fine dicembre 1852. Questa volta l’incarico maturava in seno al primo governo Cavour, sostenuto anche dal centro-sinistra di Rattazzi, il raggruppamento parlamentare di riferimento di Sauli, che a cominciare da quegli anni appartenne organicamente al ‘partito cavouriano’.
Senatore per la 3ª categoria nel novembre del 1853, l’incarico più gravoso fu sicuramente quello legato alla sua nomina a inviato straordinario e ministro plenipotenziario in Russia il 25 settembre del 1856, nella fase in cui Cavour cercava di ristabilire buoni rapporti con Pietroburgo dopo la rottura del 1848 e l’aggravarsi della situazione per l’adesione al trattato anglo-francese del 1855 e la guerra di Crimea. Sauli venne investito del nuovo ruolo dopo la missione del conte Mario Broglia, a seguito della quale furono ristabilite regolari relazioni diplomatiche tra i due Paesi, sancite dall’accreditamento a Torino, nell’agosto del 1856, del ministro russo conte di Stackelberg, e dopo la nomina come incaricato d’affari a Pietroburgo del marchese Filippo Oldoini.
L’invio di Sauli a Pietroburgo, capitale di uno Stato ‘conservatore’, si spiegava non solo per il carattere moderato della sua personalità, giudicandolo Cavour «excessivement prudent et réservé» (Cavour e l’Inghilterra..., I, 1961, p. 25), ma anche per essere un noto «anglomane» (p. 122), ciò che nel disegno diplomatico del conte sarebbe stato funzionale a un riavvicinamento tra Inghilterra e Russia a vantaggio della causa italiana.
Dopo un congedo per malattia che lo trattenne a Torino nel 1858 e dopo essere stato a contatto anche con Costantino Nigra a Parigi nel marzo del 1859, con l’inizio della seconda guerra d’Indipendenza Sauli ricevette istruzioni per convincere il governo di Pietroburgo a spingere il re delle Due Sicilie, al quale era tradizionalmente vicino, a un’alleanza con il Piemonte, una linea perseguita da Cavour pur nella consapevolezza che poco si potesse sperare riguardo a una svolta liberale e unitaria del governo borbonico, ciò che a maggior ragione avrebbe avvalorato un intervento armato. La sua posizione divenne poi scomodissima in occasione della spedizione dei Mille, quando il governo sabaudo aveva soltanto formalmente preso delle misure affinché non venissero lese le leggi internazionali nei confronti del Regno delle Due Sicilie, ma in realtà non adottando alcuna decisione e lasciando che l’azione di Garibaldi facesse il suo corso. Tra i rappresentanti all’estero il marchese Sauli fu in quella fase indubbiamente il più esposto, oberato dalle rimostranze del governo russo, istigato dalla diplomazia borbonica, che cercò in tutti i modi di mettere in imbarazzo il governo sabaudo anche agli occhi dei rappresentanti delle altre potenze. Il 14 maggio 1860, Sauli informava Cavour che Aleksandr Michajlovič Gorčakov, ministro degli Esteri russo, profondamente impressionato dagli avvenimenti italiani, gli aveva espresso il timore «de voir s’organiser une république Italienne au milieu du désordre universel» (La liberazione del Mezzogiorno..., 1949-1961, I, p. 102). Sauli si prestò dunque diligentemente alla spregiudicata azione diplomatica di Cavour e così, mentre rassicurava Gorčakov, dopo la presa di Palermo riceveva una nota in cui il 10 giugno 1860 Cavour scriveva che tutta l’Europa simpatizzava per Garibaldi e dunque «nous ne pouvons pas être moins italiens que les Français e les Anglais» (p. 183). D’altro canto, fu proprio grazie al suo rappresentante a Pietroburgo che Cavour fu informato della scarsa volontà del governo russo di intervenire in difesa del Regno duosiciliano e dei favori che la questione italiana riscuoteva in alcuni settori dell’opinione pubblica russa, e ciò anche dopo la presa di Napoli da parte di Garibaldi. Tuttavia, la minaccia diretta alla S. Sede rappresentata dalla spedizione nelle Marche e la fuga di Francesco II a Gaeta resero la situazione insostenibile, provocando la rottura delle relazioni diplomatiche: il 19 ottobre 1860, in conseguenza del ritiro della Legazione russa a Torino, Cavour dette a Sauli l’istruzione di lasciare Pietroburgo.
Egli ottenne un nuovo importante incarico nel febbraio del 1861, quando Cavour lo nominò governatore generale delle province toscane, succedendo in tale ruolo a Bettino Ricasoli, al quale, in coerenza con i tratti moderati del suo agire politico, si rivolse preventivamente per cercarne la collaborazione. Nonostante Cavour si sforzasse di presentare il proprio ministero come alieno da tendenze accentratrici, la nomina di Sauli nasceva nel segno di una restrizione delle facoltà d’azione delle classi dirigenti locali. Allontanò poi definitivamente le ipotesi autonomiste della democrazia toscana e suscitò le aspre recriminazioni delle componenti più reazionarie. Cessato questo suo incarico, che durò circa un anno, Sauli tornò ai lavori del Senato, che frequentò assiduamente, diventandone anche vicepresidente per una sessione nel 1873-74, mentre nel 1876 ebbe modo di occuparsi del progetto di legge per la convenzione di Basilea per il riscatto delle ferrovie dell’Alta Italia.
Morì celibe a Genova il 24 febbraio 1893.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico diplomatico del ministero degli Affari Esteri, Fondi preunitari, Legazione Sarda in Londra (1730-1860), cart. LXIX (1849); ibid., Legazione Sarda in Pietroburgo (1783-1869), cart. XXXIV (1855-1857), f. 8; cart. XXXV (1857-1860), ff. 1, 2, 3; Il carteggio Cavour-Nigra dal 1858 al 1861, I-II, Bologna 1926-1961, ad ind.; La liberazione del Mezzogiorno e la formazione del Regno d’Italia, Carteggi di Camillo Cavour, I-IV, Bologna 1949-1961, ad indices; Le relazioni diplomatiche fra il Regno di Sardegna e la Gran Bretagna, 3 s., 1848-1860, a cura di F. Curato, II, Roma 1955, ad ind.; Carteggio Cavour-Salmour, Bologna 1961, ad ind.; Cavour e l’Inghilterra. Carteggio con V. E. d’Azeglio, I-II, Bologna 1961, I, Il Congresso di Parigi, II, I conflitti diplomatici del 1856-61, ad indices; La legazione e i consolati del Regno di Sardegna in Russia (1783-1861), a cura di F. Bacino, Roma 1962, ad ind.; Carteggi di Bettino Ricasoli, XVI, a cura di S. Camerani - G. Arfè, Roma 1963, ad indicem.
G. Pansini, L’inserimento della Toscana nello Stato unitario, in La Toscana nell’Italia unita. Aspetti e momenti di storia toscana (1861-1945), Firenze 1962, pp. 48-52: F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani, Milano 1974, pp. 98 s.; B. Montale, Genova nel Risorgimento, Genova 1979, ad ind.; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, III, Roma-Bari 1984, p. 710; A. Garini Musto, Un “nobile giacobino”: Gaspare Sauli patrizio genovese, in Idee e parole nel giacobinismo italiano, a cura di E. Pii, Firenze 1990, pp. 65-85; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, I, Senatori del Regno di Sardegna, sub voce, http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/ S_l?OpenPage; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera. it/deputato/francesco-maria-sauli-18070120#nav.