Pagano, Francesco Mario
Scrittore e uomo politico (Brienza in Basilicata 1748 - Napoli 1799). Laureatosi in legge, nel 1770 divenne lettore straordinario di etica nell’univ. di Napoli; si dedicò negli anni successivi agli studi letterari e filosofici. Passato più tardi all’esercizio della professione forense (1775), non abbandonò tuttavia il lavoro scientifico e, sull’esempio di Filangieri, contribuì al rinnovamento del processo e della legislazione criminale con le sue Considerazioni sul processo criminale (1787), che lo resero celebre in Italia e all’estero; insegnò nell’univ. napoletana, dal 1785, diritto criminale (le sue lezioni furono pubblicate postume, sotto il titolo di Principi del Codice penale, nel 1803). Proseguiva intanto anche il suo impegno nell’attività letteraria; fra il 1787 e il 1792 pubblicò alcuni drammi (Gerbino; Agamennone; Corradino; L’Emilia), che incontrarono l’ostilità dell’ambiente letterario ufficiale napoletano. Sensibile alle idee ugualitarie della Rivoluzione francese, partecipò all’attività della Società patriottica e volle assumere la difesa d’ufficio nei processi contro i patrioti del 1794: fu perciò denunciato, imprigionato (1796) e costretto a dimettersi dall’insegnamento e dalla professione. Liberato nel 1798 ed emigrato prima a Roma, poi a Milano, tornò a Napoli quando vi fu proclamata la Repubblica partenopea (genn. 1799). In questa P. ebbe un ruolo di primo piano, conforme al grande prestigio da lui acquisito, nel frattempo, nell’ambiente giacobino napoletano: membro del Governo provvisorio e del Comitato legislativo, divenuto di questo presidente, preparò il disegno di costituzione repubblicana. Partecipò dal 5 giugno alla lotta armata per la difesa della Repubblica e poi alle trattative di resa, e il 25 fu tra i firmatari della capitolazione. In seguito al tradimento di Nelson fu condannato a morte. Rappresentante esemplare dell’Illuminismo napoletano in cui il naturalismo meccanicistico d’ispirazione francese si associava all’idealismo storicistico di Vico, P. considerò il mondo della storia come dominato dalla legge universale dei corsi e dei ricorsi, ma interpretò questa come espressione di un ordine fatale, che ha l’inevitabilità degli accadimenti naturali (Saggi politici dei principi, progressi e decadenze della società, 1783-85). Analogamente, egli fa propria in estetica la concezione vichiana del carattere primitivo della poesia, ma considera la nascita di questa come l’effetto dell’impressione sensibile prodotta dall’oggetto sul corpo umano (Discorso sull’origine e la natura della poesia, 1791). In economia, P. fu liberista e accettò dai fisiocrati francesi la concezione dell’ordine naturale dei rapporti economici; negli studi giuridici, dove lasciò un profondo segno con il suo contributo alla riforma del processo penale, volle che la legislazione traesse i suoi principi dalle leggi della natura e vagheggiò un codice comune a tutte le nazioni civili.