MARTINENGO COLLEONI, Francesco
– Nacque nel 1548 a Scanzo, presso Bergamo, da Paola da Ponte e da Bartolomeo conte di Malpaga, di uno dei più potenti casati dell’Italia settentrionale.
Avviato giovanissimo al mestiere delle armi, servì la Repubblica di Venezia al fianco di Sebastiano Venier nella spedizioni antiturca di Malta (1565); in seguito, avrebbe confermato la sua fedeltà alla Serenissima prendendo parte alle imprese di Corfù (1570) e Lepanto (1571).
Nel 1567 entrò al servizio di Emanuele Filiberto di Savoia, sotto il quale svolse una brillante carriera militare.
L’ingaggio avvenne quando il M., dopo essere passato a Venezia «per comperare 3 cavalli turchi et levar 3000 scuti», raggiunse il Piemonte insieme con il cognato Marcantonio Martinengo, conte di Villachiara: «Stia sicura che sarà da questo giovane ben servito», garantì allora al duca di Savoia Luigi Martinengo, raccomandando al principe il nipote (Arch. di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’interno, Lettere di particolari, M, m. 22). Il M. si distinse subito nella battaglia di Saint-Denis, dove era stato posto a capo di un reparto di cavalleria inviato in aiuto di Carlo IX di Francia.
Nel 1568 era già colonnello di fanteria, gentiluomo di camera e consigliere di guerra; in seguito svolse i compiti di capitano della cavalleria leggera d’ordinanza. Promosso successivamente maestro di campo della cavalleria leggera di qua e di là dei Monti, sostituì il marchese Filippo d’Este nel ruolo di generale della cavalleria ducale. Il 12 febbr. 1576 Emanuele Filiberto lo insignì del collare dell’Ordine della Ss. Annunziata, il più prestigioso riconoscimento sabaudo. Le fortune del M., maturate sotto Emanuele Filiberto, sembravano dover proseguire anche con il suo successore, Carlo Emanuele I, salito al potere nel 1580. Una conferma parve arrivare nel 1583, quando il M. sposò Beatrice Langosco di Stroppiana, appartenente a una delle più potenti famiglie del patriziato subalpino.
Unica figlia del gran cancelliere di Savoia Giovanni Tommaso e di Delia Roero di Sanseverino, Beatrice, vedova di Giovanni Francesco Scarampi di Cortemiglia, era stata amante di Emanuele Filiberto, dalla relazione con il quale aveva avuto un figlio morto bambino, Ottone, e due figlie, Beatrice e Matilde, legittimate. Dall’unione fra il M. e Beatrice, che aveva portato in dote al marito il titolo marchionale di Pianezza, nacquero sei figli: Gherardo (divenuto generale della cavalleria della Serenissima e poi dell’artiglieria del duca di Modena), Gaspare Antonio, Michele Bartolomeo Antonio, Delia e Paola (entrambe monache a Bergamo), Caterina. Beatrice Langosco morì nel 1612.
Il M., che nel 1584 era stato nominato gran scudiere del sovrano (carica mantenuta sino al 1589) e governatore di Chivasso, nel 1585 accompagnò il duca in Spagna, dove si recava per prendere in moglie la figlia di Filippo II, l’infanta Caterina (Caterina Micaela). Il matrimonio e il conseguente rafforzamento dei vincoli fra la corte sabauda e quella asburgica resero più difficile, per le sue posizioni filofrancesi, il ruolo del M., al quale il duca aveva di fatto affidato la direzione dell’esercito: i suoi rapporti con il partito filospagnolo, stabilmente insediatosi in seno alla corte torinese, si fecero ben presto tesi. Godendo pienamente della fiducia di Carlo Emanuele I, il M. non aveva «mai voluto obbligarsi con pensioni al re Cattolico né ad altri principi» (Relazioni degli ambasciatori veneti…, pp. 446 s.: Francesco Vendramin, 1589). Inoltre, sin dall’impresa di Saluzzo – nella quale, avendo abilmente diretto l’occupazione dei castelli di Centallo e di Revello (1588-89), aveva dato prova delle sue spiccate doti strategiche, confermate negli anni seguenti dalle sconfitte inflitte ai Francesi a Barcellonette, Exilles, in Provenza e a Bricherasio (1591-95) –, il M. si distinse come abile intermediario con la Francia, verso la quale consigliava un atteggiamento prudente e, ove possibile, conciliante. La Spagna, impegnata insieme con i Savoia nella guerra contro i Francesi, non fece mai mistero di guardare con fastidio e preoccupazione la brillante ascesa del M., nominato nel 1592 luogotenente generale di Carlo Emanuele I per gli Stati al di qua e al di là dei Monti.
In questa veste, nel 1595 il M. ebbe un duro scontro con le autorità civiche torinesi, riluttanti a obbedire agli ordini della duchessa Caterina che imponevano al Comune di provvedere al pagamento dei soldati acquartierati a Torino. Il M. propose «che li mercanti mandino un huomo per caduno, secondo gli sarà comandato o vadino luoro», e di fronte alle resistenze del sindaco, Francesco Lodi (anch’egli esponente del ceto mercantile), non aveva esitato a minacciare la sua destituzione (Merlin, 1998, p. 153).
La promozione alla luogotenenza generale pose il M. in diretta concorrenza con Amedeo di Savoia – un figlio naturale di Emanuele Filiberto che godeva della fiducia di Caterina e del partito filospagnolo –, al quale il duca aveva affidato lo stesso incarico per i soli Stati al di qua dei Monti. Da una parte della corte s’intensificarono le pressioni sul duca per ottenere l’allontanamento del Martinengo. L’insistenza dei suoi avversari portò, nel 1594, alla nomina del M. ad ambasciatore presso la corte pontificia e, nel 1597, alle sue dimissioni dagli uffici svolti per conto del duca di Savoia. Il M. tornò allora al servizio di Venezia, assumendo nel 1598 il comando della cavalleria della Repubblica; in seguito fu nominato ispettore delle fortezze e, nel 1604, governatore di Bergamo.
La morte di Caterina (avvenuta nel novembre 1597) e il conseguente ridimensionamento dell’influenza spagnola a Torino posero le condizioni per un ritorno del M. alla corte sabauda. Qui egli continuò a mostrare le sue simpatie verso la Francia e a esprimere una netta diffidenza nei confronti degli Asburgo di Spagna: per esempio evidenziò al duca i pericoli e l’inopportunità politica dello sfortunato viaggio dei principi alla corte di Filippo III, tragicamente segnato, nel 1605, dalla prematura morte dell’erede al trono sabaudo, Filippo Emanuele.
L’antispagnolismo del M., particolarmente forte sullo scorcio del Cinquecento e agli albori del Seicento, si andò progressivamente affievolendo proprio a partire dagli anni nei quali si delineò, in modo sempre più netto, l’alleanza politico-diplomatica con la Francia, sancita nel 1619 dal matrimonio fra Vittorio Amedeo di Savoia e Cristina di Borbone.
Nel 1613, alla vigilia della prima guerra del Monferrato, il M. si era mostrato contrario a entrare al fianco della Francia in un conflitto contro la Spagna. Questa posizione, controcorrente in una corte sempre più dominata dal partito filofrancese (guidato dai conti di Verrua e di San Giorgio), costò cara al M., che in poco tempo perse i favori e soprattutto la fiducia di Carlo Emanuele I, conquistati in quasi trent’anni di servizio, e nel 1614 fu processato.
Erano stati scoperti segreti contatti del M. con Venezia (preoccupata che la politica espansionistica dei Savoia minasse il difficile equilibrio italiano) e suoi tentativi di convincere alcuni esponenti del governo ducale «di levarsi da questi Stati di Sua Altezza et di giovare alla Repubblica di Venezia a tutto potere» (in Merlin, 1991, p. 116). Come emerse dalla documentazione raccolta nell’istruttoria del processo, vi era il fondato sospetto che egli volesse tramare, con la complicità di altre potenze, per esautorare Carlo Emanuele I (giudicato «turbolento, inquieto e senza fede») e anticipare l’ascesa al trono di Vittorio Amedeo (un principe «da bene, che temeva Dio et era più proprio a maneggiare lo Stato»), attraverso il quale lo stesso M. avrebbe potuto esercitare un diretto controllo sulla politica ducale (ibid.).
Tornato al servizio di Venezia, nel 1614 ebbe un ruolo di primo piano nella guerra di Gradisca (1615-17), combattuta dai Veneziani contro le truppe imperiali e gli Uscocchi, ovvero i pirati croati che, godendo della protezione asburgica, si diffondevano nell’Adriatico rappresentando una seria minaccia per la stabilità politica ed economica della Serenissima.
Il M. si ritirò infine a vita privata nel castello di Cavernago, che aveva provveduto a ingrandire e abbellire. Morì a Bergamo il 3 febbr. 1621 (Natta-Soleri, p. 104) o a Brescia l’8 febbr. 1622 (Manno, p. 292).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Materie politiche per rapporto all’Interno, Lettere di particolari, M, m. 22: Lettere dirette al duca ed alla duchessa dal conte F. M.… 1591-1592; Torino, Biblioteca storica della Provincia di Torino, Mss., a.58: Trattato grandioso e la serie generale de cavalieri del supremo Ordine della Ss. Annunziata…, c. 151; Torino, A. Manno, Il patriziato subalpino, voll. H-LAZ (dattiloscritto), p. 152; MAN-MAR (dattiloscritto), pp. 292 s.; Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato…, a cura di L. Firpo, XI, Savoia 1496-1797, Torino 1983, pp. 446 s.; O. Rossi, Elogi historici di bresciani illustri, Brescia 1620, pp. 457-459; F. Capre, Catalogue des chevaliers de l’Ordre du Collier de Savoye, dict de l’Annonciade, Turin 1654, cc. 137v-138r; A. Lupis, Il conte F. M. nelle guerre della Provenza et altre attioni militari, Bergamo 1668; C. Tinivelli, Biografia piemontese, IV, 3, Torino 1787, p. 233; R. Natta-Soleri, Profili biografici: F. M.C., in Armi antiche, I (1961), pp. 101-107; W. Barberis, Le armi del principe. La tradizione militare sabauda, Torino 1988, p. 108; P. Merlin, Tra guerre e tornei. La corte sabauda nell’età di Carlo Emanuele I, Torino 1991, pp. 102 s., 116; C. Rosso, Il Seicento, in P. Merlin et al., Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in Età moderna, Torino 1994, pp. 191, 197; P. Merlin, Amministrazione e politica tra Cinque e Seicento: Torino da Emanuele Filiberto a Carlo Emanuele I, in Storia di Torino, III, Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato (1536-1630), a cura di G. Ricuperati, Torino 1998, pp. 153 s.; Id., La corte di Carlo Emanuele I, ibid., pp. 263, 268-270, 273, 276; C. De Consoli, Al soldo del duca. L’amministrazione delle armate sabaude (1560-1630), Torino 1999, ad ind.; P. Merlin, Saluzzo, il Piemonte, l’Europa. La politica sabauda dalla conquista del marchesato alla pace di Lione, in L’annessione sabauda del Marchesato di Saluzzo tra dissidenza religiosa e ortodossia cattolica (secc. XVI-XVII). Atti del Convegno…, Torre Pellice-Saluzzo… 2001, a cura di M. Fratini, Torino 2004, p. 41; B.A. Raviola, Langosco, Beatrice, in Diz. biogr. degli Italiani, LXIII, Roma 2004, pp. 610 s.; A. Merlotti, Disciplinamento e contrattazione. Dinastia, nobiltà e corte nel Piemonte sabaudo da Carlo II alla guerra civile, in L’affermarsi della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia fra tardo Medioevo e prima Età moderna, a cura di P. Bianchi - L.C. Gentile, Torino 2006, p. 280; P. Bianchi, Una riserva di fedeltà. I bastardi dei Savoia, fra esercito, diplomazia e cariche curiali, ibid., pp. 315, 337; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, IV, p. 428.