MASONES NIN, Francesco
– Nacque a Cagliari nel 1647 da Antonio Masones Corellas e da Anna Nin y Sanjust, del casato dei conti di San Lorenzo.
Il padre – secondogenito di Giovanni Stefano Masones, conte di Montalvo –, dopo aver conseguito la laurea in utroque iure, fu per quasi un ventennio maestro della Zecca e maestro razionale, due eminenti cariche del Regno di Sardegna. Seguendo un percorso praticato da molte consorterie nobiliari, egli avviò il figlio primogenito, Stefano, alla carriera delle armi e gli altri tre (oltre al M., Isidoro ed Efisio) a quella ecclesiastica. Agli inizi del secolo XVIII la casata poté trarre i frutti di tale strategia: essa vantava infatti un conte, due vescovi, un abate, rendite non inferiori a 15.000 ducati e un’influenza politica che durante la guerra di successione spagnola (1701-14) travalicò i confini del Regno e giunse fino a Madrid, dove i Masones Nin furono sempre considerati tra i più fedeli sostenitori di Filippo V di Borbone.
Il M. ricevette nelle scuole gesuitiche della città natale una solida formazione umanistica che gli consentì di frequentare a Roma l’Università e di conseguire (come fece qualche anno dopo anche il fratello Isidoro) la laurea in utroque iure. Rientrato a Cagliari il M. si iscrisse al corso di teologia dell’Università locale conseguendo rapidamente il titolo di dottore in sacri canoni. Il conte di Montalvo, zio paterno, non ebbe difficoltà a proporlo al vescovo della diocesi di Galtelli-Nuoro come rettore di Siniscola, villaggio appartenente al feudo di cui era titolare. Dopo un biennio di permanenza (1672-74) in tale villaggio fu chiamato a ricoprire uno dei canonicati del vescovado di Ales-Usellus. Per le sue doti umane, le influenze familiari, la profonda cultura giuridica e teologica i canonici del capitolo gli affidarono gli incarichi più prestigiosi e delicati. Nei periodi di vacanza del vescovado, in seguito alla morte dei vescovi Giovanni Brunengo (1680), Serafino Esquirro (1681) e Didaco Cugia (1691), egli svolse anche funzioni di vicario generale della diocesi. In tale contesto il M. si fece apprezzare per l’impegno profuso nel reperire le risorse finanziarie necessarie alla ricostruzione della cattedrale di Ales, affidata all’architetto genovese Domenico Spotorno.
Le buone letture e gli anni di studio fuori dell’isola gli consentirono di avere una chiara visione del dibattito teologico in Italia e in Spagna e di individuare le necessità più urgenti della diocesi. Quando, nel 1691, Didaco Cugia, titolare della diocesi, morì, la Reale Udienza del Regno, chiamata a proporre la terna dei candidati alla sede vacante (7 sett. 1691), indicò al primo posto Francesco Delitala, decano della diocesi di Cagliari, e il M. come secondo. Avendo tuttavia il Delitala rifiutato la nomina per l’incerta salute e l’età avanzata, il sovrano propose al pontefice il M., la cui candidatura all’interno del Consiglio regio era stata caldeggiata, fin dal luglio 1692, dal marchese di Hariza, Joaquín Jimenes de Palafox, dal marchese di Laconi, Salvatore Aymerich (reggente del Regno di Sardegna) e dal duca di Ossuna, Francisco María Téllez Giron, sensibilizzati in vario modo dalle casate feudali dei Masones, degli Amat, dei Guiso.
Nominato vescovo di Ales da Innocenzo XII con lettera pontificia del 2 genn. 1693, negli anni 1693-96 il M. continuò l’opera avviata nel biennio precedente come vicario generale, dotando l’edificio della ristrutturata cattedrale di quadri, marmi, cappelle e degli arredi necessari. Successivamente rivolse la sua attenzione alla formazione del clero, e a tal fine convocò un sinodo diocesano, celebrato il 13 maggio 1696.
Gli atti sinodali furono raccolti e pubblicati dal M. (Leyes synodales de lo obispado de Ales hechas y ordenadas en el synodo que celebró en los 13 de mayo de 1696…, Caller 1696). Ripartiti per tematiche e suddivisi per titoli e capitoli, rappresentano uno dei più significativi documenti dottrinali prodotti dalla Chiesa sarda in tarda età spagnola. L’iniziativa sinodale si inseriva infatti in un organico progetto pastorale mirante a superare il carattere ricettizio che avevano assunto ormai diversi uffici ecclesiastici e gli sterili formalismi che lo accompagnavano. Con riflessioni sulle vite dei Padri della Chiesa ed edificanti letture (molte delle quali in lingua latina) il volume intendeva stimolare fra i parroci un’intima e autentica riflessione religiosa e favorire il loro impegno a sostegno dei poveri e degli emarginati. Di un certo interesse appaiono anche le iniziative assunte dal M. (dopo decenni di rilassatezza) per imporre al clero regole di comportamento adeguate ai tempi e alle funzioni spirituali. Con il contributo dottrinale di teologi e vescovi di altre diocesi (che chiamò a collaborare alla stesura del corpus sinodale), egli riuscì a completare e a rendere adeguato ai tempi il cerimoniale tridentino. Convinto della necessità che il clero dovesse essere di esempio morale ai parrocchiani, accentuò i controlli sulla vita privata dei parroci, ponendo fine a comportamenti scandalosi.
Ottemperando a quanto era stato disposto dal concilio di Trento, il M., un anno dopo la celebrazione del sinodo (1697), adattò a carcere ecclesiastico un edificio di proprietà della curia vescovile e vi rinchiuse i religiosi licenziosi e quelli condannati per furto, violenze e per maleficio: fin dagli anni Ottanta (in qualità di vicario generale e poi di vescovo), il M. aveva istruito e giudicato le cause di fede e quelle di competenza dell’Inquisizione. Dagli elenchi delle pratiche superstiziose inseriti negli atti dei sinodi pubblicati traspare l’impegno profuso dal M. per stroncare quello stretto legame tra religione e magia che anche nelle aree rurali della Sardegna costituiva uno dei caratteri distintivi della religione popolare.
Grazie all’esperienza acquisita come vescovo e inquisitore, il M. riuscì anche ad affrontare e avviare a soluzione uno dei problemi centrali della Chiesa sarda in età spagnola: la formazione del clero. A tal fine, tra il 1697 e il 1702, egli ristrutturò a proprie spese l’edificio che don Diego Manias, primo cantore della cappella della cattedrale, aveva donato alla diocesi, e lo adattò a seminario. Superando le resistenze espresse dai canonici e dai rettori, egli impose un contributo annuale dell’1% su tutte le rendite della diocesi e con tali entrate finanziò sei piazze di studio, due riservate a seminaristi nati ad Ales e le altre quattro per gli allievi residenti nei villaggi limitrofi. Il seminario, inaugurato il 14 maggio 1703, ebbe un proprio statuto redatto e pubblicato a cura del M. (Constituciones del seminario de s. Pedro… erigido en Ales…, Caller 1703), nel quale furono indicate le regole di vita degli allievi e gli obiettivi dell’insegnamento. L’impegno del M. a favore delle diocesi amministrate, evidenziato anche dalle visite pastorali alle parrocchie e dai controlli amministrativi sulle attività svolte dal clero, non si limitò alla cura spirituale delle anime, ma si estese anche al miglioramento delle condizioni materiali dei ceti rurali, il cui livello di vita era notevolmente peggiorato negli ultimi decenni.
A causa della peste del 1654-55 e di alcune carestie che avevano tormentato il Regno negli anni Ottanta, i braccianti e i piccoli proprietari agricoli erano stati costretti a sottoscrivere contratti usurai con i ceti abbienti, che si erano appropriati dei loro pochi beni. A più riprese, nel XVII secolo, per soccorrere questi ceti i vescovi di Ales avevano propagandato, istituito, riattivato o rifinanziato i Monti di pietà parrocchiali con l’obiettivo di fornire ai poveri la semente per coltivare il grano necessario al sostentamento familiare. Queste istituzioni, amministrate autonomamente da commissari locali, erano divenuti piccoli centri di potere e di favoritismi. Il M. ne propagandò l’ulteriore diffusione e, muovendosi con prudenza e cautela, ne riformò gli statuti, rafforzò le loro finalità economico-assistenziali, rivendicò la loro dipendenza delle parrocchie, disciplinò le competenze dei consigli di gestione e riservò al vescovo il controllo sull’operato degli amministratori.
Riconoscendone i meriti e l’impegno ecclesiale, nel luglio 1703 Filippo V propose il M. al pontefice per l’arcivescovado di Oristano e Clemente XI con bolla del 15 sett. 1704 ne decretò il trasferimento, mentre il fratello Isidoro gli subentrava nella diocesi di Ales. Anche nella nuova e più estesa diocesi il M. si impegnò a migliorare la formazione dottrinale e teologica del clero. A tal fine nell’aprile 1708 convocò un sinodo, che ricalcò a grandi linee quello celebrato nel 1696 ad Ales. Il M. si applicò per rinnovare rituali e procedure, perseguire le pratiche magiche e superstiziose assai diffuse anche nell’area amministrata dalla mitra arborense e abolire, tra i vari ingiusti privilegi di cui il clero godeva ancora, il diritto di spoglio sui forestieri morti nel territorio di ogni parrocchia. Dopo aver comprato dal rettore di Isili per 600 ducati d’argento alcune casupole attigue al palazzo vescovile, il M. fondò anche a Oristano un seminario, finanziandone l’attività con l’1% delle rendite ecclesiastiche. L’edificio che fece costruire era costituito da una sala per le lezioni e da quattro camere destinate agli insegnanti e ai loro sei allievi. Pur encomiabili, le realizzazioni del M. appaiono tuttavia in parte inadeguate alle reali necessità della diocesi. Esse non erano infatti in grado di garantire il fisiologico ricambio del personale necessario a gestire e amministrare le 86 parrocchie, i 15 canonicati e i 25 prebendati che costituivano allora la diocesi arborense.
Il M. morì a Cagliari il 14 maggio 1717.
Opere: oltre a quelle citate: Leyes synodales del arzobispado de Arborea y obispado de Santa Iusta…, Caller 1712; Constituciones del seminario de S. Maria de l’Assumpta…, ibid. 1712; Oración panegerica a la ereción del seminario tridentino…, ibid. 1712.
Fonti e Bibl.: Madrid, Archivo histórico nacional, Consejos suprimidos, Títulos del Reyno y grandeza de España, ff. 18825, nn. 33, 41; 19878, nn. 83, 85; 19880, nn. 35, 43; Arch. di Stato di Torino, Sardegna, Storie e relazioni della Sardegna, Categoria 2, m. 4, n. 4; Codice diplomatico delle relazioni fra la S. Sede e la Sardegna, a cura di D. Scano, II, Cagliari 1941, p. 476; Il Parlamento del viceré Giuseppe de Solis Valderrabano, conte di Montellano (1698-1699), a cura di G. Catani - C. Ferrante, Cagliari 2004, I, pp. 36, 42, 335 s., 354 s., 377; III, pp. 1223, 1229-1231; A.F. Mattei, Sardinia sacra seu De episcopis Sardis historia nunc primo confecta…, Romae 1758, pp. 252, 274; P. Tola, Diz. biografico degli uomini illustri di Sardegna, II, Torino 1838, p. 238; P. Martini, Storia ecclesiastica di Sardegna, Cagliari 1840, II, pp. 447-449; D. Filia, La Sardegna cristiana, II, Sassari 1913, pp. 305 s.; R. Turtas, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma 1999, pp. 373, 387, 404-406, 408, 417, 431, 469 s.