MELZI, Francesco. –
Figlio di Gerolamo, di nobile famiglia lombarda, nacque probabilmente a Milano nel 1491 o nel 1493.
Il riferimento cronologico, sia pure impreciso, si ricava da due iscrizioni contenute in un disegno datato 14 ag. 1510 (Testa virile: Milano, Biblioteca Ambrosiana, F.274 inf., n. 8). In entrambe le scritte, ritenute generalmente autografe, compaiono il nome del M. e la sua età. Questa, tuttavia, nella parte alta del foglio risulta essere di 17 anni, mentre in quella bassa, tracciata con inchiostro diverso, è detta di 19. La discrepanza tra i due dati non ha ricevuto sinora spiegazioni convincenti.
Il padre, capitano della milizia milanese sotto Luigi XII re di Francia, fu ingegnere militare sotto Massimiliano Sforza. Conservò inoltre tutti i privilegi a lui concessi dai precedenti governanti anche sotto Francesco I di Valois re di Francia, che glieli confermò nel 1516.
Con ogni probabilità fu lo stesso Gerolamo, intorno al 1506, a favorire l’ingresso del figlio nella bottega di Leonardo da Vinci (Calvi, 1879).
Il M. ricevette un’educazione di stampo umanistico e inizialmente dovette essere impiegato da Leonardo in primo luogo per mansioni di cancelleria. Una lettera di Leonardo, di cui si conserva la bozza nel Codice Atlantico, datata 1506 e indirizzata proprio al giovane collaboratore, attesta che il M. si occupava, tra l’altro, di scrivere o copiare le sue missive (Vecce, 1998, pp. 283 s.).
Verosimilmente già in questi primi anni del sodalizio con il maestro il M. prese parte al progetto di raccogliere e ordinare gli appunti di Leonardo per approntarne una versione pubblicabile, scrivendo sotto dettatura o copiando porzioni di testo. La sua calligrafia compare, infatti, piuttosto di frequente nelle carte vinciane datate verso la fine del primo decennio.
Il già menzionato disegno dell’Ambrosiana rappresenta la più antica testimonianza firmata della ridotta produzione artistica del Melzi. Si tratta comunque, con ogni probabilità, di una semplice esercitazione, forse su un modello in terracotta che si suole attribuire a Leonardo (Bambach, p. 641). La stretta collaborazione con il maestro in rapporto all’ordinamento dei manoscritti condusse il M. a intervenire anche sull’apparato illustrativo delle sue opere teoriche.
Clark (1967; 1968, pp. XVII-XX) ha ipotizzato, in modo piuttosto convincente, che il ruolo del M. fosse quello di vero e proprio conservatore dei disegni vinciani; egli, cioè, doveva essere deputato a ripassare a penna le figure a matita tendenti a sbiadire e a copiare alcune delle invenzioni leonardesche. Nell’ambito delle copie si annoverano, per esempio, diverse Teste grottesche, disseminate in varie collezioni pubbliche; tuttavia, sull’attribuzione al M., spesso ipotizzata, pare opportuno mantenere una certa prudenza (Forcione, pp. 215 s.), in ragione delle oggettive difficoltà di distinguere mani e stili esecutivi nel complesso panorama dei collaboratori e degli imitatori di Leonardo.
Quanto alla produzione originale del M., invece, c’è un certo consenso nel considerare autografi alcuni fogli conservati nella Royal Library at Windsor Castle (W 12393, W 12639v, W 12641r, W 12654r, W 12663v) e un piccolo nucleo di disegni della Biblioteca Ambrosiana, tra cui la Testa d’uomo anziano in leggero tre quarti verso destra (F.263 inf., n. 35r) e la Testa virile inclinata verso sinistra (F.274 inf., n. 10), eseguiti entro il secondo decennio, quando il M. lavorava ancora a stretto contatto con Leonardo.
Al periodo compreso tra il 1510 e il 1515 dovrebbero risalire quelle che sono generalmente ritenute le sue prime prove come pittore, caratterizzate da uno stile e da una cultura figurativa squisitamente leonardeschi.
A Berlino (Staatliche Museen) si conserva una tavola raffigurante Vertumno e Pomona, sulla quale nel Settecento era ancora possibile leggere la firma in greco del M. (Marani, 1998, pp. 373 s.). Pomona è chiaramente esemplata sul modello di Maria nel cartone della S. Anna Metterza con s. Giovannino di Leonardo (Londra, National Gallery); mentre le montagne dello sfondo presentano forti analogie con le catene montuose elaborate dall’artista toscano nel dipinto con S. Anna, la Madonna e il Bambino del Louvre. Un disegno a matita rossa, raffigurante un Piede e databile intorno al 1510 (Milano, Biblioteca Ambrosiana, F.261 inf., n. 35 bis r), è stato considerato da Pedretti (1964, p. 154) uno studio del M. per la figura di Pomona. L’ipotesi attributiva, accolta non unanimemente dalla critica, che ha speso per il disegno anche i nomi dello stesso Leonardo e di Cesare da Sesto, è stata invece accettata da Marani (1998, p. 379) che ritiene il disegno un riferimento significativo per la datazione della tavola berlinese, collocata fra il 1511 e il 1513. Molto simile alla Pomona di Berlino (con cui condivide lo stesso modello vinciano, oltre che la datazione alla prima metà del secondo decennio del Cinquecento) è inoltre la Flora dell’Ermitage di San Pietroburgo, stabilmente assegnata al M. dalla fine del XIX secolo. T.K. Kustodieva, premettendo di non essere in grado di verificare l’informazione, ha dato conto del fatto che M.A. Gukovsky aveva rintracciato nell’immagine tre lettere dell’alfabeto greco (M Ĭ E) e le aveva interpretate (in modo francamente dubbio, occorre precisare) come parte della firma dell’artista. Per i caratteri schiettamente leonardeschi è da collocare temporalmente accanto ai due dipinti menzionati anche una Sacra Famiglia della Galleria nazionale di Praga, che Suida (p. 271) considerava autografa, mentre Marani (1998, p. 378) ha ritenuto più probabilmente una copia da un originale dello stesso Melzi.
Per il secondo decennio la biografia del M. si arricchisce di informazioni desumibili dalla vita di Leonardo che, sicuramente all’inizio del 1513, fu ospite della villa dei Melzi a Vaprio d’Adda. Il 24 settembre dello stesso anno i due partirono per Roma. Il M. seguì infine il maestro anche nel suo trasferimento in Francia nel 1517. Nei due anni seguenti egli ricevette uno stipendio di 800 scudi dal re di Francia per il lavoro svolto al fianco di Leonardo (Beltrami, p. 150).
Il 24 apr. 1519 Leonardo, dettando le sue ultime volontà, nominò il M. erede ed esecutore testamentario, lasciandogli i manoscritti e i materiali grafici. Il 20 nov. 1520 (stando a quanto riporta Calvi) il M. fu nominato da Francesco I «gentiluomo di camera».
In data non precisabile egli tornò poi dalla Francia e sposò Angiola dei conti Landriani, da cui ebbe otto figli. Nel 1523, comunque, il M. doveva trovarsi in Lombardia, quando Alberto Bendidio, corrispondente di Alfonso I d’Este, in una lettera al duca riferì della sua notorietà e, soprattutto, del fatto che egli era in possesso dei «libri» di anatomia di Leonardo. Bendidio affermava inoltre di averlo invitato più volte a Ferrara perché mostrasse al duca Alfonso I d’Este le carte del maestro vinciano. Un documento datato 2 apr. 1526 attesta che il M. abitava in quel periodo a Milano, nella parrocchia di S. Bartolomeo (Calvi), mentre nel 1530 egli era annoverato fra i deputati del Pio Luogo della Misericordia (Solmi).
Al terzo decennio, dopo il ritorno dalla Francia, Marani (1998, pp. 380, 382) ha datato una tavola raffigurante una Ninfa (Washington, National Gallery), tradizionalmente assegnata a Bernardino Luini, ma dallo stesso studioso ascritta al M. in ragione di diversi riscontri stilistici con la Flora e il Vertumno e Pomona. Più complicata appare l’ipotesi di attribuzione al M. di un dipinto che rappresenta Rea Silvia, conservato presso il Bonnefantenmuseum di Maastricht e datato genericamente, in mancanza di appigli sicuri, al secondo quarto del Cinquecento (Swagemakers, p. 61). L’opera, assimilabile alla Ninfa sotto il profilo compositivo e per l’ambientazione paesaggistica, presenta tuttavia nella figura una fisionomia piuttosto diversa dalle altre prove leonardesche del M., lasciando non poche perplessità relative all’identità dell’autore.
Il M. aveva intanto avviato il riordino sistematico dei manoscritti di Leonardo, organizzandone le annotazioni sulla pittura in modo organico e in previsione, verosimilmente, di un’edizione a stampa.
Derivò dal suo impegno il codice della Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat., 1270 intitolato Libro di pittura, sul quale compare due volte, alle carte 78v e 79r, il nome «Meltius». Il ruolo effettivo rivestito dal M. nella compilazione del testo, la datazione del codice e soprattutto il rapporto del Libro di pittura con il più che probabile progetto originario di Leonardo (Pavesi) rimangono questioni aperte. Una delle tre mani (quasi certamente la principale) che lavorarono alla stesura del testo, trascrivendo gli appunti vinciani, appartiene al M., come dimostrano convincenti evidenze di natura paleografica. Nell’individuazione dell’autografia è risultato peraltro decisivo il confronto con tre note di possesso del M., datate 13 giugno 1546, su una raccolta manoscritta di liriche spagnole (Milano, Biblioteca Trivulziana, Trivulziano, M.39). Vecce (1995, pp. 106 s.) ha avanzato l’ipotesi persuasiva che il M. potesse aver completato il lavoro intorno al 1540, sulla base di considerazioni di natura storico-linguistica e di dati relativi al tipo di carta utilizzata, ma anche in ragione del fatto che il quinto decennio del Cinquecento fu caratterizzato, com’è noto, da un vivace dibattito teorico sull’arte e da una vera fioritura di scritti sulla pittura, vale a dire da un clima culturale senz’altro in grado di sollecitare il vecchio allievo a concretizzare la redazione del «trattato» vinciano.
All’ultima fase della produzione artistica nota del M. appartiene l’unica opera di cui si sia conservata la firma, il Ritratto di giovane con pappagallo in collezione privata milanese (Marani, 1998, p. 383, fig. 270).
Il dipinto, che reca la data 1523, rivelatasi parzialmente posticcia (ibid., p. 382), costituisce uno spinoso problema filologico, poiché esibisce tratti stilistici molto diversi rispetto a quelli delle due tavole del secondo decennio. La scoperta di due altre cifre sotto quelle finali dell’anno (un 5 e forse un 1) ha contribuito a spostare la collocazione all’inizio del sesto decennio, spiegando, almeno in parte, la distanza considerevole dai modelli leonardeschi degli esordi.
Giovanni Paolo Lomazzo, che conosceva personalmente il M., dà testimonianza di una sua attività miniaturistica, di cui però non si conservano tracce materiali. A ogni modo, egli ebbe per allievo il miniatore e pittore Girolamo Figino, con il quale, tra il 1559 e il 1564, risulta essere stato consultato in più occasioni dalla Fabbrica del duomo di Milano per l’assegnazione delle ante dell’organo (Frangi, p. 33; Bora, pp. 268-270).
Il M. morì probabilmente a Vaprio d’Adda intorno al 1570.
Fonti e Bibl.: G.P. Lomazzo, Trattato dell’arte de la pittura, Milano 1584, p. 106; F. Calvi, Storia della famiglia Melzi, in Famiglie notabili milanesi (1879), Bologna 1969, pp. n.n.; E. Solmi, Nuovi contributi alle fonti dei manoscritti di Leonardo da Vinci, in Giornale storico della letteratura italiana, XXIX (1911), 174, p. 305; L. Beltrami, Documenti e memorie riguardanti la vita e le opere di Leonardo da Vinci in ordine cronologico, Milano 1919, pp. 132 s., 137, 150, 152-156, 159 s., 204-206; W. Suida, Leonardo e i leonardeschi (1929), a cura di M.T. Fiorio, Vicenza 2001, pp. 270-272; C. Pedretti, Leonardo da Vinci… A lost book «Libro A» on painting, Berkeley-Los Angeles 1964, pp. 154, 260-264 e passim (con bibl.); K. Clark, F. M. as a preserver of Leonardo da Vinci’s drawings, in Studies in Renaissance and Baroque art presented to Anthony Blunt on his 60th birthday, London 1967, pp. 24 s.; Id., Leonardo da Vinci drawings at Windsor Castle, I, London 1968, pp. XVII-XX e passim; P.C. Marani, in Disegni e dipinti leonardeschi dalle collezioni milanesi (catal.), a cura di G. Bora et al., Milano 1987, pp. 158-161 (scheda 83); F. Swagemakers, in Italian paintings from the sixteenth century in the Dutch public collections, a cura di A.W.A. Boschloo - G.J. van der Sman, Firenze 1993, pp. 61 s. (scheda n. 46); T.K. Kustodieva, in The Hermitage. Catalogue of Western European painting. Italian painting. Thirteenth to sixteenth centuries, Firenze 1994, pp. 296 s.; C. Vecce, Nota al testo, in Leonardo da Vinci, Libro di pittura, a cura di C. Pedretti, I, Firenze 1995, pp. 93-96, 102 s., 106 s.; F. Frangi, Girolamo Figino ritrovato, in Nuovi studi, II (1997), 3, p. 33; P.C. Marani, F. M., in I leonardeschi. L’eredità di Leonardo in Lombardia, Milano 1998, pp. 371-384 (con bibl.); C. Vecce, Leonardo, Roma 1998, pp. 282-288, 290-294, 300 s., 316 s., 329-331, 333 s., 339-341, 416-418, 435-439, 444-449; M. Clayton, Leonardo da Vinci. The divine and the grotesque (catal., Edimburgo 2002-03 e Londra 2003), London 2002, pp. 62 s., 86-89, 90 s., 110-112, 140 162 s.; C.C. Bambach, in Leonardo da Vinci master draftsman (catal., New York), a cura di C.C. Bambach, New Haven-London 2003, pp. 641 s.; G. Bora, Girolamo Figino «stimato valente pittore e accurato miniatore»…, in Raccolta Vinciana, 2003, n. 30, pp. 268-270, 289; V. Forcione, L’album du Louvre: les grotesques de Léonard de Vinci, originaux, dispersion, copies, estampes, in Léonard de Vinci. Dessins et manuscrits (catal.), a cura di F. Viatte - V. Forcione, Paris 2003, pp. 206 s., 215 s.; M. Pavesi, Milano, Firenze, Roma, Parigi: la diffusione del Trattato della pittura di Leonardo, in Leonardo. Dagli studi di proporzioni al Trattato della pittura (catal.), a cura di P.C. Marani - M.T. Fiorio, Milano 2007, pp. 91 s. n.9 (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 99 s.
F. Sorce