MICHELI, Francesco
– Nato a Lucca e battezzato in S. Frediano il 18 maggio 1508, fu figlio di Bonaventura di Nicolao e di Elisabetta di Lazzaro Arnolfini, le cui nozze avevano suggellato la fondazione di compagnie di commercio e banca attive a Lione, Parigi, Anversa, Londra, Francoforte fino al secolo successivo.
Nel 1534 il M. si trovava ad Anversa per governare con il padre la compagnia intestata a questo e al cognato Girolamo Arnolfini, che si occupava prevalentemente di assicurazioni marittime, commercio del pastello e del vino. Intorno al 1540 stabilì la propria dimora a Lione per gestire un’altra compagnia fondata dal padre con Arnolfini, finalizzata prevalentemente al commercio della seta. Nel 1545 fece parte di un’ambasceria inviata dai Lucchesi al re di Francia Francesco I per congratularsi della pace di Crépy. Negli stessi anni figura come socio nella ragione sociale «Bonaventura Micheli, Girolamo Arnolfini, e compagni» di Anversa, fondata nel 1541 per quattro anni e rinnovata nel 1545 per altri cinque. Alla morte del padre, intervenuta prima del novembre 1548, subentrò con i fratelli nelle diverse compagnie fondate da Bonaventura con i cognati Bartolomeo e Girolamo Arnolfini, attive a Lucca, Lione e Anversa.
Sembra che il M. aderisse a Lucca alla Riforma al tempo della predicazione del teologo Pietro Martire Vermigli, priore del convento di S. Frediano nel 1541-42, e che, insieme con altri, costituisse la così detta Ecclesia Lucensis, un’ampia conventicola di stampo filocalvinista. Nel 1543 l’erasmiano scozzese Florence Wilson (Fiorenzo Voluseno) dedicò al M. il dialogo filosofico-religioso De animi tranquillitate (Lione, S. Gryphe, 1543), ambientato nei così detti Horti, una villa dei Micheli situata sulla collina di Fourvières nei pressi di Lione. Alla presenza del M., il Wilson intesseva nel dialogo le lodi di tre religiosi, Bernardino Ochino, Pietro Martire Vermigli e Paolo Lazise che da poco avevano lasciato Lucca, o più in generale l’Italia, religionis causa. Il M. potrebbe inoltre avere favorito la pubblicazione del Traicté du bénéfice de Jésus Christ crucifié envers les Chrestiens … (Lione, J. de Tournes, 1545), traduzione francese del Trattato utilissimo del beneficio di Giesu Christo crocifisso verso i Cristiani (Venezia 1543) realizzata dal mercante lionese Claude Le Maistre, con il quale era legato da affari e da amicizia. Nel 1547 il M. «adheriva alle opinioni delli eretici» secondo il protonotario fiorentino Pietro Carnesecchi che lo aveva incontrato a Lione (Firpo-Marcatto, II, p. 1043).
Nel settembre 1548 il M. si trovava ad Anversa e, sulla via del ritorno a Lucca, in compagnia di Niccolò Balbani, sostò a Lione. L’anno successivo, in aprile, sposò, con una dote di 2000 ducati, la sorella di Niccolò, Isabetta (Zabetta) Balbani, nata a Lucca il 28 ott. 1530 da Agostino, che in Fiandra aveva aderito alla Riforma già negli anni Trenta. Dal matrimonio nacquero a Lucca Flaminia (1550), Domitilla e Orazio (1554). Nell’agosto 1550 il M. si trovava nuovamente ad Anversa e, nel fare ritorno a Lucca in compagnia del cognato Turco Balbani, sostò a Lione, il 20 settembre, per fare il proprio testamento alla presenza di alcuni dei principali mercanti della «nazione» lucchese, fra i quali Vincenzo Buonvisi, Matteo Balbani, Martino Gigli, che allora condividevano le sue posizioni religiose.
Il testamento, steso di suo pugno, esprimeva la sua adesione alla Riforma («Et primamente rendendo l’anima allo onnipotente Dio, onde la venne ricomprata dal preciosissimo et salutar sangue di Giesù Christo signor mio, lo prego a riceverla a la fine dei giorni miei, non per merriti di quella, ma per pura gratia et liberal dono suo», Ginevra, Archives du Crest, Archivio Micheli, Testamento, p. 1). Chiedeva agli esecutori testamentari di «fugir la spesa et la pompa inutile delle esequie» (ibid.), agli eredi di «doversi esercitare in le opere de la charità verso il prossimo» (p. 12) e versare 300 scudi d’oro «a povere figlie et honeste per maritarle» (ibid.); non erano previsti invece lasciti in suffragio della sua anima. Egli disponeva che, dopo la sua morte, permanesse la comunione dei beni mobili e immobili costituita presso il notaio Michele Serantoni con i fratelli Iacopo, Bartolomeo e Girolamo nel novembre 1548.
Nel biennio 1551-52 l’incolumità del M. fu messa a repentaglio dagli intrighi dell’uomo d’affari lucchese Agostino Puccini, il quale agiva d’accordo con un canonico della cattedrale, Domenico Menocchi.
Puccini intendeva vendicarsi di alcuni presunti torti ricevuti dal M. e da Vincenzo Buonvisi, un altro prestigioso mercante lucchese residente a Lione. Pertanto alla fine del dicembre 1551, a Pisa, accusò di eresia i due mercanti alla presenza di un canonico della cattedrale, Pietro Bonanno, che agiva per conto dell’Inquisizione romana, e di un notaio della stessa città, Andrea Fiorelli, disponendo inoltre della testimonianza di un sensale e due preti lucchesi. Alla presenza di Fiorelli, a Lucca Puccini aveva accusato il M. e il Buonvisi, e con loro i membri più in vista della «nazione» lucchese di Lione, di esportazione clandestina di moneta aurea dal Regno di Francia, reato per il quale erano previste come pene non solo la confisca dei beni, ma anche la perdita della vita. Secondo Puccini, processato in segreto nel gennaio 1552 da una commissione di cui facevano parte anche gli Anziani della città, il M. e Buonvisi vivevano da alcuni anni a Lione «contra bonos mores et laudabiles consuetudines Sanctae Romanae Ecclesiae» (Adorni Braccesi, 1994, p. 230) e si mostravano desiderosi di convertirlo alle loro idee. In particolare il M. avrebbe affermato di non credere alla presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, e alla confessione sacramentale. Reputando che il credente fosse redento dal sangue di Cristo, avrebbe affermato di non credere al purgatorio, e si sarebbe espresso pubblicamente contro l’uso delle veglie e dei digiuni. Reputate superflue tutte le cerimonie della Chiesa romana, a partire dalla celebrazione della messa, sempre secondo Puccini, avrebbe rifiutato la venerazione dei santi e il culto delle immagini. Convinto altresì che il papa fosse un semplice vescovo, non conferiva valore ai giubilei e alle indulgenze, mentre avrebbe fermamente creduto nel sacerdozio universale dei fedeli e nella possibilità data loro di somministrare i sacramenti. Insieme con Buonvisi, ancora secondo Puccini, il M. si era perciò dedicato, all’interno della «nazione» lucchese a Lione, a un’attività di propaganda religiosa, sostenuta dalla continua lettura di autori quali Bernardino Ochino, Pietro Martire Vermigli e Filippo Melantone. Il sensale Giuseppe Massei, che aveva particolare dimestichezza con il M., testimoniò che quest’ultimo avrebbe iniziato a catechizzarlo dicendo: «et siete ricchi et il vero cristiano che vuole che Dio lo aiuti, bisogna una sola cosa et non tante, che è solo credere che Dio per Cristo suo figliuolo ne habbi regenerati et pagato ogni nostro peccato et da fare et questa sola fede è bastante a farne salvi» (ibid., p. 233). Aveva quindi esortato l’interlocutore a leggere qualche scritto di fra Bernardino o di Pietro Martire Vermigli «tanti homini dotti quali sono stati sì fuora dalla strada che voi che poi inluminati hanno lassato tante superstitioni et abuzioni et furfantarie che questi homini hanno posto avanti alla gente sotto spetie di sanctimonia» (ibid.).
Il M. non riportò, al pari di Buonvisi, il minimo danno in seguito a questi fatti. Anzi, nella primavera del 1553, a Lione, in compagnia del cognato Niccolò Balbani, anch’egli già segretamente partecipe delle idee riformate, e di Lattanzio Ragnoni, cercò di convertire alla Riforma anche il protonotario Pietro Carnesecchi, seguace, come Ragnoni, del mistico spagnolo Juan de Valdés, in casa dei mercanti fiorentini Panciatichi, notoriamente aderenti alla Riforma. In quell’occasione manifestò anche il proposito di ritirarsi a Ginevra.
Gradito ai governanti lucchesi, il M. ricoprì nel frattempo numerose e prestigiose cariche: il 12 nov. 1550 venne eletto a far parte per il 1551 della magistratura dei Segretari, preposti dalla Repubblica alla tutela dell’ordine pubblico e, contemporaneamente, a far parte, per i primi sei mesi dell’anno, della magistratura preposta alla tutela dei poveri, e insieme fu invitato nel Consiglio dei trentasei. Nel novembre 1553 entrò a far parte dell’Offizio sopra gli introiti, mentre il 9 sett. 1554 venne ancora eletto a far parte del Consiglio dei trentasei per i primi sei mesi del 1555 e dell’ufficio preposto alla tutela delle vedove e dei pupilli. Nel febbraio 1554 fece parte della commissione di sei cittadini incaricati di dirimere una vertenza con il vescovo in merito ai rapporti con l’Inquisizione romana. Il M. era inoltre stato assortitore delle Tasche, per gli anni 1552-55. Il 22 ag. 1555, pur non avendo mai ricoperto la carica di anziano, venne designato gonfaloniere per i mesi di settembre e ottobre 1555. Già allora, però, aveva lasciato Lucca per Lione, munito di un salvacondotto.
Negli stessi anni la passione per le lettere e le comuni propensioni per la Riforma avvicinarono il M. ad Aonio Paleario, pubblico lettore di umanità nelle scuole lucchesi (1546-55). In particolare nell’aprile 1556 Paleario, dietro richiesta dell’umanista Celio Secondo Curione (esule da Lucca a Basilea nel 1542), scrisse da Milano al M., perché procurasse buona accoglienza in Lucca a Basilio Amerbach, figlio del celebre umanista Bonifacio. Nel giugno dello stesso anno il vescovo Alessandro Guidiccioni convocò il M., insieme con altri otto illustri cittadini accusati, come lui, di eresia; ma già il 19 ottobre successivo il M., con la moglie Isabetta e le figlie Domitilla e Flaminia, risultava abitante di Ginevra. Il figlio Orazio rimase invece a Lucca.
Per poter continuare a commerciare con l’Italia, il M. acquistò, nei pressi di Ginevra, il castello di Pougny, sito nel bailliage di Gex, allora soggetto alla Savoia. Alla cittadinanza ginevrina preferì, nel 1556, quella dei Grigioni e fu così aggregato alla comunità di Vicosoprano, grazie anche all’interessamento di un altro esule lucchese, Angelo da Colle, che si era adoperato in tal senso già nel 1553. Mentre nulla di preciso è noto riguardo alle attività manifatturiere e finanziarie intraprese dal M. a Ginevra, si sa che anche qui, come a Lione, egli sostenne a proprie spese la propaganda religiosa. Un altro esule lucchese, il giurista Nicolao Liena, affermava infatti, nel 1567, che alcuni libri scritti dal proprio fratello Girolamo «che non potevano essere letti in Italia» (Adorni Braccesi, 1991, p. 423) erano stati stampati a spese del Micheli. A sua volta il poeta messinese Giulio Cesare Paschali, esule a Ginevra nel 1554, nel dedicare nel 1592 le Rime spirituali a Orazio Micheli, affermava di avere trascorso con il M., suo padre, «già più anni di non volgare famigliarità, scambievole benevolenza, e christiana fratellanza» (pp. A2r-A3v).
Il M., che non fu mai bandito da Lucca, morì a Ginevra nel novembre 1558.
Malato e sentendosi prossimo alla fine, il M. aveva steso il suo ultimo testamento a Ginevra il 4 luglio 1558 presso il notaio Jean Ragueau, alla presenza, fra gli altri, del lionese Claude Le Maistre, come lui esule a Ginevra, e di due italiani, il lucchese Vincenzo Mei e il senese Lattanzio Ragnoni, rispettivamente un diacono e il ministro della Chiesa italiana di Ginevra. Il M., senza specificare né l’ubicazione né la consistenza dei propri beni, designava erede universale il figlio Orazio, ancora residente a Lucca, e, in eventuale assenza di legittima discendenza maschile a Ginevra, al momento della sua morte, lasciava i beni ai propri fratelli o ai loro eredi maschi. Destinava a ciascuna delle figlie, Domitilla, Flaminia e Sara (quest’ultima nata nel frattempo a Ginevra) una dote di 1000 scudi e altri beni e nominava tutrice dei figli la moglie Isabetta, insieme con il cognato Niccolò e i propri fratelli, in particolare, quello che, alla sua morte, si fosse trovato a far parte della Chiesa italiana di Ginevra. Si deduce così che fra il M. e i fratelli rimasti a Lucca l’intesa fosse perfetta, anche sul piano religioso, e che uno di loro, almeno, si preparava a seguire il M. in esilio. Quest’ultimo incaricò infatti i fratelli di istruire i propri figli «purement en la religion chrestienne et soubz la sainte reformation de ceste église de Genève ou aultre église fidèle à reformer selon l’Evangile» (Ginevra, Archives d’État, Minutes de Jean Ragueau, II, c. 265). Lasciava alla vedova il compito di distribuire una somma di denaro a propria discrezione «aux pauvres estrangers retirés pour l’Evangile» (ibid., p. 263). Dopo la morte del M., il fratello Girolamo condusse Orazio a Ginevra e consegnò a Isabetta Balbani circa 60.000 scudi come risarcimento per i beni lasciati a Lucca. Ella assunse come precettore dei figli l’umanista calabrese Apollonio Merenda il quale, prima del suo esilio a Ginevra nel 1557, era stato discepolo di Juan de Valdés. Isabetta fu bandita da Lucca con i figli nell’anno 1567.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Consiglio generale, 45, pp. 277, 283, 285; 46, p. 582; 47, p. 263; Lucca, Biblioteca statale, Mss., 1120: G.V. Baroni, Notizie genealogiche sulle famiglie lucchesi, pp. 427, 441-444; Ginevra, Archives du Crest, Archivio Micheli, Testamento olografo di Francesco di già Bonaventura Micheli, Lione, 20 settembre 1550, pp. 1-8; Ibid., Archives d’État, Minutes de Jean Ragueau, II, cc. 262-266; F. Volusenus (F. Wilson), De animi tranquillitate dialogus, Lugduni 1543, pp. 3-5, 8 s.; G.C. Paschali, Rime spirituali ... a cui è dietro aggiunto il primo canto del suo Universo, Geneva 1592, pp. A2r-A3v; G. Civitale, Historie di Lucca, a cura di M.E. Leonardi, II Roma 1988, p. 583; V. Burlamacchi, Libro di ricordi degnissimi delle nostre famiglie, a cura di S. Adorni Braccesi, Roma 1993, pp. 108, 111, 113, 120 s., 218; I processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi (1557-1567). Edizione critica, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, II, 1, Città del Vaticano 2000, p. 81; 3, pp. 1043 s., 1048, 1056; C. Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese, in Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, Lucca 1825, pp. 136-138; A. Pascal, Da Lucca a Ginevra. Studi sull’emigrazione religiosa lucchese nel secolo XVI, Pinerolo 1935, passim; G. Miani, Arnolfini, Bartolomeo, in Dizionario biografico degli Italiani, IV, Roma 1962, pp. 257-260; Id., Arnolfini, Girolamo, ibid., pp. 266-269; S. Caponetto, Aonio Paleario (1503-1570) e la Riforma protestante in Toscana, Torino 1979, pp. 109 s., 128, 195; R. Sabbatini, «Cercar esca». Mercanti lucchesi a Anversa nel Cinquecento, Firenze 1985, pp. 30, 88; L. Mottu Weber, Economie et refuge à Genève au siècle de la Réforme: la draperie et la soierie (1540-1630), Genève-Paris 1987, pp. 233-235; S. Adorni Braccesi, Le «Nazioni» lucchesi nell’Europa della Riforma, in Critica storica, XXVIII (1991), pp. 363-426, in particolare, p. 423; F. Daenens, Le traduzioni del trattato «Della vera tranquillità dell’animo» (1544). L’irriconoscibile Ortensio Lando, in Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance, LVI (1994), pp. 677 s.; S. Adorni Braccesi, Una città infetta: la Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Firenze 1994, pp. 118 s., 195, 206, 223-225, 228, 230-236, 247, 272, 286, 301, 313, 320, 332, 335, 341, 347, 374; Id., Mecenatismo e propaganda religiosa dei mercanti lucchesi tra Ginevra, Lione e l’Italia, in Frontiere geografiche e religiose in Italia. Fattori di conflitto e comunicazione nel XVI e XVII secolo. Atti del Convegno …, Torre Pellice … 1993, a cura di S. Peyronel, in Bollettino della Società di studi valdesi, CLXXVII (1995), pp. 27-52, in particolare pp. 36 s.; Id., Portrait d’une dame lucquoise: Zabetta di Agostino Balbani, veuve de Francesco Micheli, in «C’est la faute à Voltaire, c’est la faute à Rousseau». Recueil anniversaire pour Jean-Daniel Candaux, Genève 1997, pp. 273-279; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1999, pp. 436-438, 443 s.; H. Heller, Antitalianism in sixteenth century France, Toronto 2003, pp. 64-68.
S. Adorni Braccesi