MIGLIORI, Francesco
MIGLIORI (Meliori), Francesco. – Non si conoscono data di nascita ed estremi anagrafici di questo pittore, attivo pressoché unicamente a Venezia nella prima metà del XVIII secolo.
Stando alla testimonianza di Guarienti, che lo dice morto nel 1734 «in età di anni 50 circa», il M. sarebbe nato a Venezia attorno al 1684. Tale cronologia può essere tuttavia anticipata di un buon decennio, in virtù dell’informazione ricavabile dal «rollo» dell’arte dei pittori, che nel corso del periodo 1724-28 segnala il suo nome tra quelli degli artisti «contribuenti che non sono matricolati», indicandone, oltre all’assenza di prole, l’età di cinquantacinque anni (Favaro, p. 228), e fissando così un’alternativa data di nascita attorno agli inizi dell’ottavo decennio del Seicento.
Parimenti ignoti restano i dettagli sulla prima formazione e sul periodo di apprendistato. Secondo Pallucchini, l’adesione al gusto dei «tenebrosi» che ricorre nei primi lavori deporrebbe a favore dell’ipotesi di un alunnato presso la bottega di Antonio Molinari, di cui il M. costituirebbe quindi uno degli ultimi creati. In seguito, in concomitanza con la progressiva emancipazione professionale, si sarebbe verificato un avvicinamento alle poetiche riccesche e neoveronesiane, forse filtrate tramite contatto con artisti di area emiliana.
Tale scansione trova implicita conferma nel breve profilo biografico composto da Guarienti, in cui si opera una netta distinzione tra le due maniere del M., ponendo a fondamento del mutamento di stile una grave perdita di senno, dovuta a un non meglio precisato «impensato accidente», sulla cui effettiva portata è lecito tuttavia dubitare. In realtà gli evidenti scarti linguistici avvertibili nelle opere giovanili sembrano principalmente testimoniare il tentativo svolto in piena autonomia di uniformarsi alle maggiori tendenze stilistiche presenti nel contesto veneziano all’inizio del Settecento, ostacolando la possibilità di ricondurre l’educazione del M. sotto un referente univoco, ed evocando piuttosto il ricorso a una prassi attenta a cogliere i mutamenti nel mercato e nel gusto artistico del suo tempo.
Le prime attestazioni documentarie si possono far risalire al periodo tra il 1711 e il 1715, quando il nome del M. è registrato con continuità negli elenchi della corporazione dei pittori, con la sola eccezione del 1712, anno in cui risulta esentato dal pagamento della «tansa» in quanto dimorante «fuori di Venetia» (Favaro, p. 222). A questo frangente dovrebbero risalire le due distinte serie di dipinti realizzati per la galleria dell’elettore di Sassonia Federico Augusto I, menzionati negli inventari della collezione a partire dal 1722, che segnalano l’inserimento del M. all’interno dei circuiti del collezionismo internazionale, riconoscendone un rango non inferiore a quello di Molinari e Antonio Bellucci, di cui pure in quegli anni il sovrano andava raccogliendo opere. La comparazione tra le due serie permette di apprezzare la netta evoluzione stilistica che contrassegna la parabola artistica del M. tra primo e secondo decennio.
Un primo gruppo di quadri per lo più a soggetto biblico – raffiguranti Caino e Abele, il Sacrificio di Isacco, Giuseppe interpreta i sogni, Lot e le figlie e Cimone e Pero (distrutti, ma di cui abbiamo le foto) – è ancora riconducibile al rapporto con i modelli di Federico Bencovich e Giovan Battista Piazzetta, riproposti nella severa semplificazione degli impianti figurativi e nell’adozione di una forte tensione chiaroscurale. Un netto affrancamento da queste tipologie si riscontra invece nell’invio, di qualche anno più tardo, di due scene mitologiche con Bacco e Arianna e il Ratto di Europa (tuttora a Dresda, Gemäldegalerie), in cui l’ampliamento delle categorie cromatiche e lo sviluppo articolato dell’ordito narrativo segnano lo smarcamento dalle formule seicentesche e l’avvicinamento al chiarismo rococò. A questa fase di trapasso dovrebbero appartenere anche le due palette gemelle, in origine forse destinate a un ricetto privato, raffiguranti l’Adorazione dei magi e il Transito di s. Giuseppe provenienti dalla raccolta Boldarino di Lavariano, un tempo assegnate a Gaspare Diziani ma di recente restituite al M. da Pavanello, che vi intravede un contatto con i modi di Antonio Balestra.
Entro lo scadere del secondo decennio si situa anche l’esordio del M. nel campo delle commissioni pubbliche. Non datata, ma anteriore alla visita pastorale del patriarca di Venezia Pietro Barbarigo nel 1718, è l’ancona con l’Assunzione della Vergine per l’altare della Scuola della Beata Assunta nella chiesa di S. Stae (Moschini, 1815), che si segnala – più che per la struttura iconografica, ancora di ascendenza cinquecentesca – per la particolare attenzione alla retorica gestuale e ai moti dell’animo.
Analoga impostazione si può riscontrare anche nella pala con la Crocifissione di Cristo con i ss. Lorenzo, Lucia e Rocco per la parrocchiale di S. Martino a Sambughè, nel Trevigiano, non datata ma di indole fortemente affine alla precedente. Nel 1719 venne tassato di 13 lire – cifra in linea con quella dovuta dalla maggior parte dei suoi colleghi – per il pagamento del «taglion», imposta di recente istituzione il cui riparto era stabilito sulla base del livello di benessere di ciascun membro della corporazione (Montecuccoli degli Erri).
Al biennio 1727-28 è riferibile la decorazione del pergolo dell’organo di S. Moisè, di cui in quegli anni si andavano concludendo i lavori di riattamento a spese del pievano Stefano Stefanini e per cura del primo prete titolato Ippolito Grasseni.
Stando a quanto riportato da Coleti (1758, p. 331), spetterebbero al M. l’esecuzione del comparto laterale sinistro con una S. Cecilia, nonché il telero frontale con l’Adorazione del vitello d’oro; sarebbero invece opera di Francesco Pittoni gli altri dipinti della cantoria, tra cui il secondo riquadro laterale con David che canta i salmi, che tuttavia Fossaluzza (1997) assegna per via stilistica al Migliori. Tra le opere del M. ricordate da Coleti (p. 333) deve anche annoverarsi un S. Antonio che resuscita il padre Martino falsamente accusato di omicidio, realizzato per la cappella a destra dell’altare maggiore consacrata al santo lusitano. Verosimilmente legata a questo momento è pure la piccola tela con Cristo e la samaritana, in deposito presso l’Accademia dei Concordi, già citata da Bartoli insieme con un Cristo e la Maddalena nella collezione Silvestri di Rovigo.
A partire dall’aprile 1728 è documentata l’attività del M. presso S. Marcuola, per la quale elaborò un ciclo pittorico che si diffonde in tutti gli ambienti della chiesa appena rinnovata da Giorgio Massari, concepito secondo un disegno teso a unificare e aggiornare la decorazione agiografica esemplata sul modello dei santi titolari Ermagora e Fortunato.
L’esordio del M. si può far coincidere con l’allestimento di un «modello della chiesa», andato perduto, i cui pagamenti sono annotati nel «Libro cassa della fabbrica della chiesa di S. Marcuola» alla data del 30 apr. 1728 (Sorato, 1979-1980, p. 388). A questo fece seguito la realizzazione delle tele della sacrestia, per le quali risultano versati un primo acconto nell’aprile 1729 e il saldo finale l’11 sett. 1731 (ibid., p. 389). La decorazione, attualmente ricomposta nelle sede originaria, comprende due teleri raffiguranti Fortunato che assiste al martirio di Ermagora e il Battesimo conferito da Ermagora alle ss. martiri Eufemia, Dorotea, Tecla ed Erasma, più un soffitto con la Gloria dei santi titolari. Ulteriori versamenti, scalati tra l’ottobre del 1733 e la primavera del 1736 (ibid., pp. 390 s.), sono annotati negli spesari per fattura di non specificati «quadri della chiesa», da riferirsi al grande soffitto con la Gloria dei ss. Ermagora e Fortunato, posto in sede entro l’aprile 1735, e al secondo soffitto di soggetto eucaristico per il presbiterio con la Caduta della manna, installato verso l’agosto del 1735. Nel maggio dell’anno successivo è annotato un forte pagamento, saldato nel mese seguente, per alcuni «quadri della cappella», quasi certamente da riferirsi ai due dipinti con la Vergine Addolorata e S. Francesco di Paola ora posti ai lati del pulpito sinistro, ma che non si esclude possa in realtà alludere a «quelle vaste aggiunte con le quali vennero manomessi, proprio in quell’epoca, i due teleri (tintorettiani) ai lati del presbiterio» (ibid., p. 392). Infine, al dicembre del 1736 risale la consegna, al posto di un precedente dipinto di Leonardo Corona, della pala per l’altare maggiore con l’Assunzione della Vergine, il cui originale, sostituito da una copia a metà Ottocento, è al momento irrintracciabile.
Forse su suggestione delle opere per S. Marcuola, alcuni inventari ottocenteschi assegnano al M. anche la realizzazione del Ciclo della Passione per l’attiguo oratorio del Cristo, compiuto dopo il 1733 e in seguito andato disperso, e di cui attualmente è rimasta in situ solo una Deposizione di attribuzione dubbia, talora riferita a Nicolò Bambini (Sorato, 1981, p. 208).
Apparentemente incongrua invece l’attribuzione al M. del soffitto con la Resurrezione (Venezia, Museo di S. Apollonia) eseguito per la sala dell’Albergo della vicina Scuola del Cristo, per la presenza di un cartiglio con la data 1674, inconciliabile con la cronologia del M. (Romei - Tosini).
Tra le opere dell’ultimo periodo, la cui elaborazione dovette in parte sovrapporsi ai primi impegni per S. Marcuola, si annoverano una pala di Ognissanti dipinta per l’omonima chiesa padovana nel 1730 su commissione della badessa Coccino (ora Istituto degli esposti; Moschini, 1817, p. 153), e un Ratto di Europa (Brescia, palazzo Bettoni-Cazzago), già citato da Chizzola, di cui la critica ha sottolineato la decisa impronta riccesca ravvisabile nella forte vivacità cromatica.
Tra le opere di incerta attribuzione si segnalano invece una Madonna con Bambino e santi nella chiesa di S. Michele di Piave, recentemente assegnata alla fase avanzata del M. dopo un restauro che ne ha eliminato le ridipinture ottocentesche (Fossaluzza, 1999), una pala con l’Immacolata, la ss. Trinità e santi, documentata nella chiesa delle Penitenti a partire dal 1826 (Aikema - Meijers), nonché le due tele rettangolari con la Resurrezione e l’Ascensione – quest’ultima con la data 1736 – nella chiesa dello Spirito Santo a Venezia (Lorenzetti, p. 529).
Non sono noti luogo e data di morte del M., che dovette spegnersi verosimilmente a Venezia, in un momento successivo alla fine del 1736, quando ricevette gli ultimi pagamenti per le opere di S. Marcuola.
Fonti e Bibl.: P. Guarienti, Supplemento a P.A. Orlandi, Abecedario pittorico, Venezia 1753, p. 194; N. Coleti, Monumenta ecclesiae Venetae Sancti Moysis, Venetiis 1758, pp. 293, 331, 333; L. Chizzola, Le pitture e le sculture di Brescia, Brescia 1760, pp. 182, 185; Catalogue des tableaux de la Galerie electorale à Dresde, Dresde 1765, pp. 29, 36, 77, 97, 101, 169 e passim; F. Bartoli, Le pitture sculture ed architetture della città di Rovigo, Venezia 1793, p. 257; G.A. Moschini, Guida per la città di Venezia, Venezia 1815, pp. 37-39, 146, 526; Id., Guida per la città di Padova, Venezia 1817, p. 153; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Milano 1926, ad ind.; W. Arslan, Opere del Forabosco e del M., in Rivista di Venezia, XIII (1934), pp. 93-97; Id., Studi sulla pittura del primo Settecento veneziano, in Critica d’arte, I (1936), p. 193; N. Ivanoff, Il ciclo pittorico della Scuola del Cristo presso la chiesa di S. Marcuola a Venezia, in Arte veneta, VI (1952), p. 164; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Settecento, Roma 1960, pp. 148 s.; Dictionary of Venetian painters, IV, a cura di P. Zampetti, Leigh-on-Sea 1971, pp. 73 s.; E. Favaro, L’arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, pp. 156, 222, 228; F. Lechi, Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, V, Il Seicento, Brescia 1976, p. 109; P. Sorato, Due artisti poco conosciuti nella chiesa di S. Marcuola a Venezia: G. Susali e F. M., in Atti dell’Istituto veneto di scienze lettere ed arti, CXXXVIII (1979-80), pp. 388-395; Id., La Scuola del Cristo nella contrada di S. Marcuola, in Arte veneta, XXXV (1981), pp. 204-209; B. Aikema - D. Meijers, Nel regno dei poveri. Arte e storia dei grandi ospedali veneziani in Età moderna 1474-1797, Venezia 1989, p. 278; F. Romei - P. Tosini, Collezioni veneziane nelle foto di Umberto Rossi. Dipinti e disegni dal XIV al XVIII secolo, Napoli 1995, p. 88; R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, II, Milano 1995, pp. 70-76; Tesori di Praga. La pittura veneta del ’600 e del ’700 dalle collezioni nella Repubblica ceca (catal.), a cura di L. Daniel, Milano 1996, p. 196; G. Pavanello, Schedule sei e settecentesche, in Arte in Friuli, arte a Trieste, 1996-97, nn. 16-17, p. 91; G. Fossaluzza, Antonio Arrigoni «pittore in istoria» tra Molinari, Ricci, Balestra e Pittoni, in Saggi e memorie di storia dell’arte, XXI (1997), p. 182; F. Montecuccoli degli Erri - F. Pedrocco, Michele Marieschi, Milano 1999, p. 19; Fondazione Cassamarca. Opere restaurate nella Marca trevigiana 1996-99, a cura di G. Fossaluzza, Treviso 1999, p. 260; R. Tomić, Djela F. M. u Dalmaciji (Opere di F. M. in Dalmazia), in Radovi Instituta za povijest umjetnosti (Rivista dell’Istituto di storia dell’arte), XXIV (2000), pp. 161-164; Parrocchia di S. Martino, Sambughè. Storia e arte, Preganziol 2001, p. 51; V. Bralić - N. Kudiš Burić, Istria pittorica. Dipinti dal XV al XVIII secolo, Rovigno-Trieste 2005, pp. 309 s., 350-352; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 545.
M. Biffis