MINORELLO, Francesco
MINORELLO (Menorello, Minorelli), Francesco. – Figlio di Andrea, secondo Franceschetti sarebbe nato a Este nel Padovano il 29 luglio 1626; stando al necrologio dell’Ufficio di sanità di Padova, però, che lo dice scomparso nel settembre 1657 all’età di 33 anni, la sua nascita andrebbe anticipata di un paio d’anni.
Il padre, ricordato nelle fonti padovane come «proto dei murari» a partire dal 1658, svolse per lungo tempo attività di capomastro presso numerose istituzioni religiose di Padova, dove risiedeva almeno dal 1633 e dove è documentato con una certa continuità fino al 1673 (Sartori, 1976).
Pur in assenza di esplicita documentazione, la critica è generalmente concorde nel ritenere che il M. si sia formato a stretto contatto con il magistero di Luca Ferrari (Luca da Reggio), ritagliandosi all’interno della sua bottega un ruolo di primo piano, certificato dalla convocazione in qualità di testimone alla redazione del testamento del maestro reggiano nel febbraio 1654.
La questione tuttavia sfugge per il momento a una ragionata scansione cronologica: l’assenza di Ferrari da Padova nel corso del quinto decennio tenderebbe difatti ad escludere un suo intervento diretto nell’educazione del M., allora adolescente, a meno di non postulare un suo spostamento al seguito del capobottega. Il rapporto con la pittura di Ferrari risulta comunque pienamente comprovato sul piano del linguaggio, improntato a un gusto narrativo e a una sensibilità luministica di schietta ascendenza emiliana, nonché dalla simultanea presenza dei due artisti negli stessi cantieri e financo nei medesimi, esclusivi circuiti di committenza privata.
È possibile infatti che proprio attraverso la mediazione di Ferrari il M. ottenesse la possibilità di lavorare per i Pisani nella natia Este, eseguendo per il loro palazzo in contrada S. Martino in un momento imprecisato, forse anteriore al 1648, una copia (Venezia, collezione privata) della celebre composizione con la Famiglia di Dario di Paolo Veronese (Paolo Caliari), che proprio in quegli anni veniva trasferita nella residenza veneziana della famiglia (Terribile).
L’esordio pubblico del M. può essere riconosciuto nelle tre tele con i santi Francesco, Ludovico da Tolosa e Bonaventura, quest’ultima firmata, realizzate su commissione del padre cerimoniere fra’ Lodovico Gargano, e collocate nel presbiterio del Santo poco oltre il 1651, periodo in cui venivano completati i lavori nel coro ad opera di Lorenzo Bedogni.
Essenziali nell’impaginazione e nell’esecuzione, le tre opere (di cui esiste anche un disegno preparatorio a penna nella collezione J. Scholz, New York) sono difficilmente giudicabili a causa del precario stato di conservazione; in esse è possibile tuttavia intravedere alcune caratteristiche formali, evidenti soprattutto nelle tipologie fisionomiche, che ritorneranno nei lavori successivi.
A partire da questo momento la breve carriera artistica del M. è documentabile pressoché ad annum attraverso un numero ragguardevole di opere religiose, la cui paternità si fonda spesso sulla sola base delle testimonianze trasmesse dagli eruditi sette-ottocenteschi (Rossetti, Brandolese, Moschini).
Tra le opere ricordate dalle fonti, che tuttavia risultano al momento attuale perdute o irrintracciabili, vanno comunque senz’altro segnalati i due altari con le Storie di s. Barbara per l’omonima chiesa di Padova, firmati e datati 1652 e 1655, nonché le pale per le chiese di S. Giuliana, S. Agnese, S. Marco e S. Bernardino, sempre nella città del Santo.
Nel 1653 firmò il telero con la Missione degli apostoli realizzato per la Confraternita di S. Antonio Abate (Este, S. Maria della Consolazione), alla quale lo stesso M. era affiliato in qualità di «primo consiglier», come risulta dall’iscrizione posta nel margine inferiore del dipinto.
Allo stesso periodo risalirebbe pure il telero, parzialmente ridipinto, con S. Antonio resuscita un giovane (Este, Municipio), che la critica gli ha rivendicato in virtù delle evidenti affinità con l’opera precedente, riscontrabili soprattutto nell’enfasi caricaturale dei tipi fisionomici, dal sapore quasi carraccesco. Nello stesso anno si colloca anche la grande Moltiplicazione dei pani proveniente dalla chiesa di S. Benedetto Novello, opera firmata che evidenzia un progressivo viraggio verso le poetiche chiariste di provenienza lagunare.
Il 5 febbr. 1654 il M. fu testimone, insieme con il collega Francesco Viacavi, delle ultime volontà di Luca Ferrari.
Nei mesi successivi, su mandato della vedova Isabetta Mercati, si adoperò per riscuotere alcuni crediti vantati dal maestro presso i mercanti genovesi Giovanni e Giacomo van Veerle (Sartori, 1976, p. 166). Ulteriori procure a suo nome per conto della vedova Mercati furono rilasciate nella primavera del 1655 (ibid.).
A cavallo di queste date dovrebbe anche situarsi la presenza del M. nell’importante cantiere della chiesa di S. Tommaso Cantuariense, per cui si andava elaborando in quegli anni un ampio ciclo di tele raffiguranti i Misteri del Rosario.
Qui, oltre a completare probabilmente la Lavanda dei piedi per il baldacchino dell’altare maggiore lasciata incompiuta da Ferrari alla sua morte, realizzò secondo Brandolese le due figure di S. Teresa e S. Giustina, in cui la critica ha avvertito un deciso avvicinamento alla lezione cromatica di Francesco Maffei (Fantelli, 2001).
Nel settembre del 1655 i quaderni dell’Archivio capitolare registrano un pagamento per alcuni «telaretti de’ quadri nelli archi del volto» (Bellinati - Puppi), verosimilmente riferito alla realizzazione delle lunette centinate con figure di santi a mezzo busto presenti nella cappella della Santa Croce del duomo patavino, riconducibili per ragioni stilistiche alla mano del Minorello.
Nel 1656 firmò e datò la grande tela con Alessandro concede Campaspe ad Apelle (Venezia, collezione privata), realizzata come «quadro di corrispondenza» (Cicogna) della copia del telero veronesiano eseguita dallo stesso M. un decennio prima per palazzo Pisani a Este.
L’opera, probabilmente richiesta da Vettore Pisani o da un suo erede, fornisce una delle prime testimonianze del montante gusto neoveronesiano promosso in seno al patriziato veneto, di cui il M. fu forse un tanto inconsapevole quanto produttivo precursore. Non è da escludere infatti che siano opera dello stesso M. quelle copie del Caliari ricordate negli inventari Pisani-Giusti del Giardino compilati alla fine dell’Ottocento, di cui recentemente è stato proposto di identificare un esemplare nel Martirio di s. Giorgio dei Musei di Padova (Baldissin Molli, 1995; 1997).
Nello stesso anno va collocata anche la realizzazione di un’Incoronazione della Vergine con santi e donatore per l’altare di Bagnara in S. Fermo (Moschini, 1817, p. 102), ora conservata nel collegio dei Rogati di Padova.
Molto discussa è invece la possibilità di un intervento da parte del M. nella pala, firmata da Luca Ferrari, con le Stigmate di s. Francesco per l’altare Vigonza a S. Francesco Grande. Come risulta dai documenti rintracciati da Sartori (1964-65), l’altare venne difatti acquistato da Nicolò Vigonza nel 1656, due anni dopo la morte del pittore reggiano; l’evidente anacronismo suggeriva quindi allo stesso Sartori di attribuire l’opera a un collaboratore di Ferrari, che l’avrebbe portata a compimento dopo la morte del maestro, individuando nel M. il candidato ideale. Tuttavia, stando alla ricostruzione di Pirondini (1999), è possibile che il dipinto fosse stato richiesto nel 1651 da Francesco Betoti, minore conventuale, per essere inviato a Francesco I d’Este; solo in un secondo momento l’opera, trattenuta presso i francescani «perché più per altare che per Galleria» (p. 207), sarebbe stata ceduta ai Vigonza per decorare la loro cappella.
Il M. morì a Padova, nella casa di famiglia in contrada San Benedetto, il 27 sett. 1657; stando agli Annali di Giovanni Lazzara, il suo corpo fu tumulato con grandi onori nella basilica del Santo (Moschini, 1826).
Ancora lacunoso è invece il profilo di Giambattista, figlio di Lodovico e nipote di Antonio lapicida, quest’ultimo zio del M. (Furlan), pittore attivo per lo più nel vicentino tra ottavo e nono decennio del Seicento. Già autore secondo Moschini (1817, p. 70) di uno Sposalizio della Vergine, attualmente nella sacrestia dei Prebendati del duomo di Padova, la sua personalità è stata solo di recente riportata alla luce a seguito di alcuni rinvenimenti documentari che hanno consentito di restituirgli i due teleri con Mosè in preghiera (in precedenza attribuito a Francesco Ruschi) e il Miracolo della Croce, realizzati nel 1680 come parte del paramento liturgico commissionato dal vescovo Giuseppe Civran per la cattedrale di Vicenza (Saccardo). Allo stato attuale delle ricerche, questa interessante figura presenta ancora ampi margini di indagine, specialmente per quanto riguarda il riconoscimento di un corpus di opere autonomo. Indicazioni in tal senso sono state fornite da Barbieri, che suggeriva di identificare in Giambattista il cosiddetto «maestro di villa Trento», autore di un ciclo di affreschi nell’omonima villa a Costozza (Vicenza), e dalla Binotto, che riconduceva alla mano dell’artista due dipinti provenienti dall’oratorio del Rosario di Vicenza raffiguranti la Flagellazione e la Resurrezione (Castegnero, chiesa parrocchiale), in cui si avvertono reminiscenze zanchiane e giordanesche. Due ulteriori opere, un Sansone e un David trionfante, sono documentate in un inventario del convento di S. Felice a Vicenza, redatto nel maggio del 1676 (Furlan).
Fonti e Bibl.: P. Brandolese, Pitture, sculture e architetture …, Padova 1795, pp. 59, 140, 163, 180 s., 184, 208, 241; G. Moschini, Guida di Padova, Padova 1817, pp. 1 s., 38, 49, 70, 102 s.; Id., Della origine e delle vicende della pittura in Padova, Padova 1826, p. 103; G. Rossetti, Descrizione delle pitture …, Padova 1826, p. 103; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, VI, Venezia, 1853, p. 905; N. Petrucci, Biografia degli artisti padovani, Padova 1858, pp. 194 s.; F. Franceschetti, La chiesa ed il convento di S. M. delle Consolazioni dei p.p. minori osservanti di S. Francesco in Este, in Le Venezie francescane, I (1932), p. 98; F. Cessi, Tre tele inedite di F. M. per il presbiterio della Basilica del Santo, in Il Santo, III (1963), pp. 247-249; A. Sartori, L’altare del Sardi in S. Francesco di Padova, in Atti e memorie dell’Accademia patavina di scienze lettere e arti, LXXVII (1964-65), pp. 533 s.; A. Morelli, Per il catalogo di F. M., in Padova, XII (1965), pp. 30-33; A. Sartori, Documenti per la storia dell’arte a Padova, Vicenza 1976, pp. 165-167; Padova. Basiliche e chiese, a cura di C. Bellinati - L. Puppi, Vicenza 1975, I, p. 92; G. Pavanello, Dipinti seicenteschi in ca’ Pisani-Moretta: Luca Ferrari e F. M., in Arte veneta, XXX (1978), pp. 180 s.; G. Baldissin Molli, Opere veronesiane a Padova nel secolo XVII, in Bollettino del Museo civico di Padova, LXXXIV (1995), pp. 78 s.; Id., in Da Padovanino a Tiepolo. Dipinti nei Musei civici di Padova del Seicento e del Settecento (catal.), Padova 1997, p. 331; M. Pirondini, Luca Ferrari, Reggio Emilia 1999, pp. 90 s.; P.L. Fantelli, Padova 1650-1700, in La pittura nel Veneto. Il Seicento, I, Milano 2000, pp. 155 s.; II, ibid. 2001, p. 852 (con bibl.); C. Terribile, Del piacere della virtù …, Venezia 2009, pp. 37 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 582. Su Giambattista, si veda in particolare: M. Saccardo, Il paramento Civran nella cappella maggiore della cattedrale di Vicenza, in Scritti e memorie in onore di mons. Carlo Fanton, a cura di L. Mottiello - T. Motterle, Vicenza 1982, pp. 117-120; F. Barbieri, I dipinti del paramento Civran, in Il paramento Civran nella cattedrale di Vicenza. Restauro e ricomposizione (catal.), Vicenza 1993, p. 24; M. Binotto, Vicenza, in La pittura nel Veneto. Il Seicento, I, Milano 2000, pp. 303 s.; C. Furlan, Il paramento Civran, in La cattedrale di Vicenza, a cura di G. Barbieri, Vicenza 2002, p. 79.
M. Biffis