MOLINO, Francesco
– Nacque a Venezia, il 13 apr. 1546, da Marco di Federico e da Bianca Salamon.
La sua famiglia, pur ascritta da secoli al patriziato veneziano, non era né ricca né potente, a differenza di altri rami del casato. Il M. non va confuso con un altro Francesco da Molino (1540-1611), di Giovanni, che fu amico e corrispondente di Paolo Paruta e autorevole senatore.
Il M. ebbe una carriera modesta, proporzionata alle possibilità familiari: dopo una sommaria educazione fu precocemente avviato alla marineria; nel 1562 fu testimone dell’eroica morte a Corfù del provveditore d’armata Cristoforo Canal. Nel 1563 per tentare la strada della mercatura si recò ad Alessandria con l’esiguo capitale fornitogli dal padre, ma non riuscì a farlo fruttare. Nel 1566 si imbarcò come «balestriere» (funzione riservata ai giovani nobili) sulla nave «Giustiniana», che da Zante trasportava uva passa in Inghilterra per conto dei mercanti Iacopo Foscarini e Iacopo Ragazzoni. Nel viaggio di ritorno la nave fu requisita per ordine di Filippo II e fu adibita al trasporto di truppe spagnole da Malaga a Cartagena. Il M. cavalcò fino a Madrid, dove giunse nel luglio del 1567; qui prese contatto con l’ambasciatore Sigismondo Cavalli e si mosse con disinvoltura nel difficile ambiente della corte, ma poté solo accelerare la pratica del dissequestro, concesso alla fine di agosto. Il M., però, si era affrettato a rientrare con un’altra nave a Venezia (dove giunse il 29 sett. 1567) per approfittare della sorte, che lo aveva designato all’ingresso anticipato nel Maggior Consiglio.
Fin dai tempi della crociera con l’ammiraglio Canal il M. aveva cominciato a raccogliere una serie di note – in parte diario, in parte cronaca – poi entrate a far parte del Compendio … delle cose, che reputerò degne di tenerne particolar memoria, mai edito (Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 553 [=8812]). In questi primi anni l’opera riflette l’alternarsi delle cariche istituzionali (avvocato ai Consigli nel 1568, avvocato sopra gli Uffici di Rialto nel 1569) e delle cure private (il matrimonio di una sorella, il restauro di una modesta abitazione rurale presso La Motta). Ricorrono anche gli echi di vicende pubbliche, come l’incendio dell’Arsenale nel 1569 (in cui il M., che abitava in una casa vicina, rischiò la vita) o le reazioni dell’opinione pubblica veneziana alle alterne vicende della guerra di Cipro.
Cessate le ostilità con gli Ottomani, nel 1573 il M. si recò nell’isola di Creta (dove aveva già soggiornato in gioventù) come consigliere a Retimo. Qui fu testimone dell’energica gestione della carica di sindaco inquisitore e provveditore generale da parte di Iacopo Foscarini, che tra il 1574 e il 1575 incarcerò e depose patrizi veneziani e alti funzionari del Ducato di Candia colpevoli di abusi. Pur ammirando le capacità di governo del provveditore, il M. espresse il dubbio che la sua magistratura straordinaria, dotata di un’autorità assoluta, fosse incompatibile con le istituzioni di una Repubblica aristocratica.
Rientrato nel 1577 a Venezia, dopo avere atteso in Dalmazia l’attenuarsi dell’epidemia di peste, il M. fu eletto giudice della Quarantia. Ebbe quindi accesso al Senato e fu presente alle discussioni sulla ricostruzione di Palazzo ducale: avversò le tesi di Palladio e del suo protettore Marcantonio Barbaro e si rallegrò per la decisione finale di ripristinare il palazzo com’era.
La sua irritazione nei confronti dell’oligarchia di governo crebbe durante il rettorato a Pordenone nel 1580-81, quando dovette constatare che l’autorità del Consiglio dei dieci veniva impiegata per favorire in modo illegale i potenti segretari Ottobon, che avevano comperato i beni della Signoria nel Pordenonese. Anche per questo il M. accolse con gioia, nel 1582, il rifiuto del Maggior Consiglio di rieleggere la zonta del Consiglio dei dieci.
Di quella crisi costituzionale il M. fornì nel Compendio una fondamentale ricostruzione, in cui è espressa tutta l’avversione di un patrizio di modesta condizione nei confronti dei grandi casati arroccati a difesa del Consiglio dei dieci e dei suoi inamovibili segretari.
Nel corso del successivo decennio il M. entrò più volte in Senato, come giudice della Quarantia o in altre cariche (salvo che nel 1584-85, quando fu rettore della fortezza di Spinalonga, nell’isola di Creta). Per questo motivo nell’ultima parte del Compendio sono frequenti i resoconti dei dibattiti avvenuti nei Consigli, pur se non mancano descrizioni di vicende avventurose e tragiche, come quelle di Bianca Capello e dell’alchimista Marco Bragadin, o della carestia del 1590-91.
Il Compendio testimonia soprattutto i vivaci contrasti di quegli anni fra Venezia e la S. Sede: con papa Gregorio XIII per il patriarcato di Aquileia, con Sisto V per il riconoscimento di Enrico di Borbone, con Clemente VIII per l’asilo concesso al bandito Marco Sciarra. Il M., pur professando una convinta ortodossia, espresse apertamente la sua avversione per le pretese dei pontefici e per l’arrendevolezza di molti senatori filocuriali. Lo turbò, in particolare, la drammatica vicenda di Vittoria e Marcello Accoramboni.
Il M. morì a Venezia, nella contrada di S. Ternita, il 29 ott. 1596.
Intorno al 1598 il Compendio fu ricopiato da un conoscente dei Molino, Francesco Matteucci, che ne intuì per primo l’interesse storico.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Libri d’oro nascite, reg. 52, II, c. 118v; Collegio, Relazioni, b. 87, cc. n.n.: Relatione de ser F. da M. fu provveditore a Spinalonga, presentata nell’eccellentissimo Collegio alli 4 di febraro 1585 [more veneto]; Dieci Savi alle decime in Rialto, b. 94, n. 270 (redecima del 1538, sestiere di Castello); b. 159, nn. 238, 240 (redecima del 1582, sestiere di Castello); Senato, Dispacci ambasciatori, Spagna, filza 6, nn. 37, 39, 46; Capi del Consiglio dei dieci, Dispacci dei rettori, Pordenone, b. 189, nn. 39-41; Provveditori alla Sanità, Necrologi, b. 826, cc. n.n. (anni 1595-96); Pordenone, Biblioteca comunale, Archivio antico, Deliberazioni del Consiglio, vol. V, cc. 18v-47v; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano agli inizi del Seicento, Venezia-Roma 1958, pp. 4 s., 7, 9 s., 18, 29 s.; I. Cervelli, Intorno alla decadenza di Venezia. Un episodio di storia economica, ovvero un affare mancato, in Nuova Rivista storica, L (1966), pp. 612 s., 633 s.; M.J. Clement Lowry, The reform of the council of Ten, 1582-3: an unsettled problem?, in Studi veneziani, n.s., XIII (1971), pp. 275-310; L. von Ranke, Venezia nel Cinquecento, Roma 1974, pp. 160, 166, 169; F. Braudel, Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, I, Torino 1976, p. 665; Storici e politici veneti del Cinquecento e del Seicento, a cura di G. Benzoni - T. Zanato, Milano-Napoli 1982, p. LIII; G. Trebbi, La società veneziana, in Storia di Venezia, VI, Dal Rinascimento al Barocco, a cura di G. Cozzi - P. Prodi, Roma 1994, pp. 135, 149 s., 152; S. Maggio, Il diarista F. da M. e i patrizi anticuriali, in Lo Stato marciano durante l’interdetto 1606-1607, a cura di G. Benzoni, Rovigo 2008, pp. 117-130.