MONETI, Francesco
– Nacque a Cortona da Serafino di Antonio e da Angiola Infregliati e fu battezzato nella cattedrale della città il 16 ott. 1635 con il nome di Antonio.
Il padre, di umile estrazione, era «legnajuolo abilissimo di quadro e di tarsia» e «intendente sufficientemente delle matematiche e del disegno» (Manni, p. 120), mentre la madre apparteneva a una casata cortonese che vantava, tra i suoi antenati, lo scultore e architetto Giovanni Battista Infregliati, detto il Cristofanello. Il M. era cugino di secondo grado del botanico Mattia Moneti, canonico di S. Angelo in Metelliano, direttore della Società Botanica Cortonese, membro dell’Accademia Etrusca e autore di un erbario dipinto in tre volumi conservato presso la Biblioteca comunale di Cortona.
Della fanciullezza del M. si sa molto poco. Secondo alcuni biografi, avrebbe manifestato sin da giovinetto notevoli capacità mnemoniche e un animo vivido ma incostante, tendente a «una certa maldicenza frizzante» (Cortona, Biblioteca comunale, Mss., 705: N. Fabbrini, Vite di cortonesi illustri, II, c. 209v), ma potrebbe trattarsi di congetture alimentate a posteriori dalla sua fama di uomo bizzarro ed eclettico e dalla sua penna mordace, che lo fece cadere più volte in disgrazia. Compiuti gli studi in lettere umane, il M. entrò a sedici anni come probando nei minori conventuali del convento di S. Francesco di Cortona e compì il suo noviziato a Siena dove, nel 1652, prese i voti con il nome di Francesco. Studiò filosofia e teologia raggiungendo il grado di baccelliere e, nel dicembre 1659, fu promosso a diacono. Il suo temperamento vivace ma insofferente e il suo precoce interesse per l’astronomia e l’astrologia divinatoria lo distolsero dagli studi, preferendo egli dedicarsi alla scrittura satirica e all’attività pubblicistica. Accusato di aver composto una pasquinata contro i cardinali riuniti nei conclavi seguiti alle morti di Alessandro VII e del suo successore Clemente IX, il M. fu processato a Roma e imprigionato a Castel Sant' Angelo da dove, grazie all’intervento di amici influenti, uscì nel 1671.
Secondo Sparacio (p. 127) la pasquinata erroneamente attribuita al M. sarebbe da identificarsi in una satira contro il cardinale Ottoboni e la sua famiglia dal titolo Colascione. Alcuni versi satirici e pasquinate del M. sono segnalati da Mattesini (p. 11) presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro (Mss., 579a, cc. 228-231: Vera relatione dell’infermità e della morte del Santissimo Alessandro VII) e la Biblioteca Comunale di Cortona (Mss., 323; 340: c. 10: L’addolorata Roma ritrovandosi vedova per la morte di Clemente IX).
Intorno al 1672, a causa di una satira vergata contro un ignoto personaggio, identificabile forse con il vescovo di Cortona, Filippo Galilei, fu imprigionato nel carcere ecclesiastico di Corneto. Uscito dal carcere intorno al 1677, in occasione della missione a Cortona del padre gesuita Petriccioli, compose un poemetto satirico in sei canti dal titolo Cortona convertita, nel quale si scagliava contro la società del tempo e, in particolare, contro l’ipocrisia e la rilassatezza dei costumi dei gesuiti e la condotta immorale dei suoi stessi concittadini, non risparmiando ingiurie al vescovo Galilei. Ritrattò le sue posizioni – ma in realtà finse di farlo – nella Cortona nuovamente convertita o Ritrattazione, diffusa in forma manoscritta dopo il 1708, probabilmente in occasione di una nuova missione dei gesuiti a Cortona.
L’opera, di cui non è conservato l’autografo, né si conosce con esattezza l’anno di composizione, secondo alcuni fu scritta «per render la pariglia» a un poema anti-francescano del gesuita reggiano Sebastiano Chiesa (anagr. Tisabesano Sechia) dal titolo Il Capitolo dei Frati (Quadrio). La Cortona convertita ebbe un’ampia circolazione manoscritta (anonima o con nomi diversi o vari titoli), testimoniata dall’alto numero di copie esistenti presso molte biblioteche italiane (Mattesini, pp. 14 s., n. 51). Secondo Mancini (p. 79), la prima edizione sarebbe quella pubblicata con lo pseudonimo di Messer Ignoranzio Grillonzucca da Monteasinario e priva di note tipografiche, conservata presso la Biblioteca comunale di Cortona; ma la critica è oggi pressoché unanime nell’identificare come prima edizione quella di Parigi (in realtà a Firenze) del 1759 a cura di un anonimo, ma in realtà da D.M. Manni (Parenti, p. 161).
Costretto a lasciare Cortona, non prima di aver tentato «con arte e scaltrezza» (Vite di cortonesi illustri, II, c. 212r) di ottenere il perdono, il M. fu obbligato all’esilio presso il convento di S. Francesco a Siena, dal quale lo sottrasse il principe Ferdinando de’ Medici, figlio del granduca Cosimo III, che, insieme con lo zio cardinale Francesco Maria che del M. apprezzava la «pronta maniera d’improvvisare, e piccante» (Manni, p. 129), lo prese sotto la sua protezione. Iniziò così un duraturo rapporto, testimoniato dalle lettere del M. al cardinale e al principe, al quale inviò anche alcuni suoi componimenti. L’interesse per l’astronomia e la gnomonica portò il M. a realizzare «vari globi artificiali, ora rappresentanti la terra, ora la sfera celeste» e alcune meridiane presso i conventi di Pistoia e di Pisa (Vite di cortonesi illustri, II, c. 217v) e, dal 1681, a pubblicare una fortunata serie di almanacchi o lunari annuali con il titolo Apocatastasi celesti che gli diedero una notevole fama e che, sfruttando il suo nome, furono pubblicati anche dopo al sua morte. Sin dalla prima edizione, il M. chiarì, se non altro per mettersi al riparo dalla censura, che non credeva affatto nell’astrologia come scienza divinatoria, tutt’al più ne riconosceva una certa utilità per la medicina, la coltivazione o la navigazione, dichiarando di scrivere soltanto «per scherzo» e per «avvisare gl’amici, se si guardino degl’inganni di alcuni ciarloni, e vendibubbole, che spacciandosi per indovini pretendono con le loro dicerie di gabbare il prossimo» (F. Timone, Indicativo delle stelle…, Perugia 1781, p. 8).
Le Apocatastasi furono pubblicate dal M. dal 1681 al 1713; successivamente ne uscirono sette a suo nome tra il 1725 e il 1756. Ogni almanacco era accompagnato da notizie di vario genere (fatti di cronaca, predizioni bizzarre, oroscopi burleschi e consigli a mogli, mariti, cortigiani ecc.) e da qualche motto, indovinello o componimento poetico «che molto titillava le orecchie dei leggitori, e faceva si che eziandio i poco creduli nell’Astrologia vi trovassero gustoso pascolo» (Manni, p. 119). Nelle Apocatastasi pubblicò i versi composti in occasione di «mascherate concertate», come il Viaggio di Apollo in Parnaso (1686) e Il mondo gabbia di matti (1687), il burlesco Testamento e ricordi lasciati dal gran villano di Garfagnana ad un suo figliolo prima di morire (1705), un soggetto assai popolare all’epoca, e un’antologia di enigmi in sonetto, la Sfinge in Parnaso (1699), non tanto originali nei soggetti quanto nelle soluzioni, riproposti anche nel Festino delle muse in Parnaso (1707) e nell’Apollo enimmatico (1712).
La vita del convento, condotta con «illibato costume» (Manni, p. 129) e l’apostolato, che portò il M. a viaggiare in lungo e in largo per l’Italia centro-settentrionale, non gli impedirono di continuare a scrivere satire, invettive, parodie sacre e componimenti vari pubblicati o fatti circolare con gli pseudonimi più diversi: Francesco Timone, Messer Asino Capodibue, Girolamo Traseoni, Messer Ignoranzio Grillinzucca da Monte Asinaio.
Tra il 1690 e il 1694 compose la Naseide (in Torti, pp. 205-207) una raccolta di quarantotto sonetti carichi di lazzi e insulti contro il senatore Anton Francesco Nasi, commissario mediceo a Cortona, e la Ceide (in Torti, pp. 228-238), ventiquattro sonetti indirizzati contro il nuovo vescovo di Cortona, Giuseppe Cei. Allo stesso genere appartengono anche una parodia del Breviario dal titolo Contra Bigozzos seu Zoccolantes ad similitudinem Officii (in Torti, pp. 239-257) nella quale si burlava dei suoi confratelli, una Laurea doctoralis in latino maccheronico (in Manni, pp. 120-123), alcuni sonetti contro i gesuiti e molti altri versi sparsi. Particolarmente violenta e mordace è la satira in terzine Della vita e dei costumi dei fiorentini, originata, a quanto sembra, da un’ingiustizia subita per una causa d’eredità con suoi parenti. Composta nel 1698, fu pubblicata solo a fine Ottocento (Firenze 1888).
Negli ultimi anni di vita il M. si dedicò a generi letterari per lui nuovi come il poema epico-giocoso, che tentò nel Mustafà, del quale rimangono soltanto 82 ottave del primo canto (pubblicate per la prima volta nella Apocatastasi del 1696, pp. 94-119) e soprattutto nella Cortogna aliberèta, un poema in due canti in dialetto cortonese.
Pubblicato parzialmente per la prima volta nel 1893 (Erudizione e belle arti, a cura di F. Ravagli, in Cortona, I, 6, pp. 87-91; 7, pp. 104 s.) e poi nell’edizione critica curata da Mattesini (1980), il poema costituisce una delle più importanti tracce storiche del dialetto cortonese e più in generale di quello aretino-chianaiolo. Vi si narra la liberazione della città, avvenuta nel 1261 nell’ambito dei contrasti tra guelfi e ghibellini, dagli aretini, che ne occupavano la rocca, ma la scelta del tema è in realtà un pretesto per canzonare, in chiave parodistica, personaggi e costumi della Cortona della sua epoca.
Il M. si dedicò anche ad alcune composizioni di argomento religioso o moraleggiante, come lo Specchio ideale della prudenza tra le pazzie ovvero riflessi morali sopra le ridicolose azzioni e semplicità di Bertoldino (Firenze 1707); una raccolta di novelle a commento dell’opera di Giulio Cesare Croce inframmezzate da arguzie, storielle e proverbi. Nel 1704, in occasione dell’accademia annuale dell’ordine presso la basilica di S. Croce a Firenze, il M. incontrò l’erudito Anton Francesco Marmi che assistette alla lettura di alcuni suoi «quadernarij ridicoli» dal titolo «Il diavolo e ‘l Moneti» (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII.16: A.F. Marmi, Zibaldone di diverse notizie letterarie…, c. 19). Marmi lo descrisse come un uomo «piccolissimo di statura, sdentato, faccia rubiconda, naso grande, occhio piccoletto e un po’ incavato», dalla «voce gracile, e di poche parole» tanto che «dall’aspetto suo mal si stimeria, che in esso vi fusse tanto fiel satirico»; il M. disse a Marmi che, come sua abitudine, sarebbe tornato a piedi a Cortona, preferendo «trattarsi bene di tavola all’osteria» piuttosto che spendere in calessi e vetturini (ibid.). Secondo altri però questa abitudine veniva invece dall’oroscopo che egli stesso si era fatto e secondo il quale sarebbe morto a causa di una caduta, cosa che, come ricordarono i suoi confratelli nel necrologio, fatalmente avvenne.
Il 4 sett. 1712, mentre si trovava ad Assisi nel convento di S. Francesco, il M. fu rinvenuto morto – secondo alcune fonti con «un dito in bocca» (Cortona, Biblioteca comunale, Mss. 394: Biblioteca cortonese, o vero Raccolta di tutti i Cortonesi che ànno dato qualche opera alle stampe. Opera di Francesco Paolo Baldelli, nobile cortonese, da lui cominciata l’anno 1685 e in seguito da altri continuata, c. 26) – ai piedi di una scala che dal chiostro cosiddetto di Sisto IV, sulla destra dell’abside della basilica superiore, portava attraverso una botola in cantina.
La fama del M. fu notevolissima non solo in vita ma lungo tutto il XVIII secolo. La sua prima biografia, ripresa poi dai tutti biografi successivi, fu redatta da Manni nel 1758, seguita da una vita in latino, forse opera dell’editore senese Giuseppe Pazzini Carli (Sparacio, p. 127), premessa a una raccolta di versi del M. uscita a Londra nel 1797 (Francisci Moneti cortonensis in mores, ingenium… historica elucubratio, in La Cortona convertita di F. M. con la Ritrattazione ed altri bizzarri componimenti poetici dell’Autore, pp. I-XXXII); molti suoi testi inediti furono pubblicati tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX da S. Torti. La critica novecentesca ha generalmente considerato il M. uno scrittore mediocre anche se fecondo, un minore del genere satirico ed epico-giocoso seicentesco (Cian, Previtera, Belloni) se non il «più meschino e triviale» emulo di Alessandro Tassoni (Momigliano). Più recentemente è stato rivalutato come fonte per la storia della cultura e della società del suo tempo (Mattesini, p. 3).
Opere. Per un orientamento sulla vasta produzione letteraria del M., sia manoscritta sia a stampa, distribuita in molte biblioteche italiane, si può fare riferimento a un primo catalogo compilato da Torti, aggiornato e ampliato da Mattesini.
Fonti e Bibl.: Cortona, Biblioteca del Convento di S. Francesco, Necrologium alme Provinciae Tusciae Fratrum Minorum Conventualium, iussu admodum R. P. M. Iulii Baglioni Ministri Provincialis editum; Cortona, Archivio della Curia vescovile, Registro dei battezzati, anni 1626-1640, c. 202v; Ibid., Biblioteca Comunale, Miscellanea Fabbrini, tomo XVII, c. 112; Mss., 163: Libro delle messe, 1700-1763, c. 8; 424, cc. 374v-376r; 425, c. 149r: F. M., Postille alla storia del Tartaglini; 705: N. Fabbrini, Vite di cortonesi illustri, II, cc. 209-219; Roma, Archivio della Curia Generalizia dei Minori Conventuali, SS. XII Apostoli, Serie C, n. 28, serie C: N. Papini, Scriptores Minoritae Conventuales ab anno 1650 ad annum 1830; Siena, Archivio Arcivescovile, Acta Ecclesiastica anni 1658-1682, cc. n. nn.; Firenze, Biblioteca Nazionale, Magl., VIII.195, c. 3 (lettera di Francesco di Paolo Baldelli ad A. Magliabechi, Cortona, 3 sett. 1681); Alcune lettere inedite al principe Ferdinando de’ Medici, con le risposte di quest’ultimo, a cura di C. Morfini, Massa 1898; I lunari in foglio della Biblioteca Comunale di Foligno, a cura di T. Serpilli - I. Picchiarelli, Foligno 1977, pp. 30 s.; D. Tartaglini, Nuova descrizzione dell’antichissima città di Cortona, con l’aggiunta di diversi fatti, Perugia 1700, p. 141; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, Milano 1752, vol. IV, t. VI, p. 244; G. Cinelli Calvoli Biblioteca volante, III, Venezia 1746, pp. 347 s.; D.M. Manni, Vita di F. M., in Id., Veglie piacevoli, II, Firenze, 1758, pp. 119-132; F. Inghirami, Storia della Toscana, II, Fiesole 1841, p. 90; G. Mancini, Il contributo dei cortonesi alla coltura italiana, Firenze 1898, pp. 77-79; F. Novati, La parodia sacra nelle letterature moderne, in Id., Studi critici e letterari, Torino 1889, pp. 250 s.; S. Torti, F. M. minore conventuale. Studio biografico-critico, Pontassieve 1909; D. Sparacio, Frammenti bio-bibliografici di scrittori ed autori minori conventuali dagli ultimi anni del 600 al 1930, Assisi 1931, pp. 126-130; G.G. Sbaraglia (Hyacinthi Sbaraleae), Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum s. Francisci, III, Roma 1936, p. 232; A. Momigliano, Storia della letteratura italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano-Messina 1954, p. 300; V. Cian, La satira. Dall’Ariosto al Chiabrera, II, in Storia dei generi letterari italiani, Milano 1945, pp. 303-306; A. Belloni, Il Seicento, in Storia letteraria d’Italia, Milano 1952, pp. 311 s.; C. Previtera, La poesia giocosa e l’umorismo (dal sec. XVII ai giorni nostri), in Storia dei generi letterari italiani, Milano 1953, p. 82; G. Cecchini, Due mss. della ‘Cortona convertita’ del p. F. M. nella Biblioteca Augusta di Perugia, in Annuario dell’Accademia Etrusca di Cortona, XVIII (1979), pp. 115-119; E. Mattesini, La vita e le opere di F. M., in F. M., Cortogna alibereta. Poema epicogiocoso in vernacolo cortonese, a cura di E. Mattesini, Perugia 1980, pp. 1-55.