MONTANI, Francesco
– Nacque a Pesaro il 12 ag. 1673 dal conte Alfonso e da Porzia Gottifredi, di famiglia romana. Primogenito, ebbe tre fratelli: Cesare (1675-1729), Giulia (1676-1754, monaca nel monastero di S. Caterina) e Carlo, abate (1684-1762).
Dal padre, giureconsulto e poeta, il M. fu avviato alla carriera diplomatica. A tredici anni, fu accolto come paggio alla corte dei Medici al servizio della granduchessa Vittoria Della Rovere e poi come gentiluomo e cameriere segreto del granduca Cosimo III. L’origine pesarese della granduchessa favorì il trattamento riservato a Firenze al giovane M., il quale, formatosi nella lingua greca nello Studio fiorentino sotto la guida di Anton Maria Salvini, acquisì una discreta dimestichezza anche nella lingua ebraica e nelle lingue orientali. Quando nel 1694 la poetessa pisana Maria Selvaggia Borghini, in rapporto con i principali letterati fiorentini, si rivolse al custode dell’Arcadia Giovan Mario Crescimbeni perché accogliesse nell’Accademia il M., lo descrisse come: «giovane veramente meraviglioso che compone benissimo e possiede francamente la lingua ebraica, la siriaca, la greca e scrive in esse meravigliosamente» (lettera da Pisa, 30 ag. 1694, in Borghini). Ascritto all’Arcadia con lo pseudonimo di Fileto Erimanzio, il M. avrebbe potuto beneficiare della cattedra di lingue orientali, istituita a Firenze nel 1698 e affidata al siro maronita Pietro Ambarach, se la sua educazione alla carriera diplomatica non lo avesse allontanato dalla città per alcuni anni. Nell’ottobre 1697 fu inviato da Cosimo III come ambasciatore straordinario a Bruxelles per complimentarsi con l’elettore di Baviera Massimiliano Emanuele di Wittelsbach, allora governatore dei Paesi Bassi spagnoli, in occasione della nascita del figlio Carlo avuto dal suo secondo matrimonio con Teresa Cunegonda Sobieska.
L’elettore era fratello di Violante Beatrice di Baviera, moglie del gran principe Ferdinando de' Medici. La stretta parentela ispirò il tenore riguardoso dell’istruzione al M., sottoscritta dal segretario di Stato Carlo Antonio Gondi il 16 ott. 1697 (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 2669, cc. n.n.): al giovane cortigiano, scelto per «disinvoltezza» del suo tratto e per le «giudiziose maniere» fu raccomandato di viaggiare senza rivelare il suo «carattere», «senza seguito di camerata» e con pochi servitori. Come modello del cerimoniale da seguire furono accluse all’istruzione alcune memorie e lettere che nel 1693 e nel 1695 avevano accompagnato la missione a Bruxelles del marchese Casimiro Luca degli Albizi. Nonostante il profilo piuttosto defilato dell'ambasciata, come lo stesso M. narra nella Memoria de’ trattamenti ricevuti in Bruxelles, ricevette calorose accoglienze da parte dei ministri e dagli altri ambasciatori presenti e dallo stesso elettore, che lo ricevette familiarmente in «roba di camera». Massimiliano Emanuele, scrivendo a Firenze, lo definì «cavaliere che mi si rese commendabilissimo per le sue qualità e per le sue compiute maniere…» (Ibid., lettera da Bruxelles del 14 genn. 1698). Dal 28 ott. 1697, ovvero dall’inizio del suo viaggio, fino al suo ritorno, il M. scrisse alla corte fiorentina venti lettere – l’ultima datata Venezia 22 luglio 1698 – nelle quali descrisse la sua sosta in Olanda, caldeggiata da Cosimo III, che in quei paesi era stato in viaggio d’istruzione. Durante la missione il M. rese visite informali alla principessa Anna Maria Luisa de' Medici, moglie dell’elettore del Palatinato Giovanni Guglielmo II, a Düsseldorf, e alla corte di Monaco.
Coinvolto in seguito anche nelle trattative matrimoniali del principe Gian Gastone, resta ancora da chiarire come mai il M. lasciasse Firenze per fare ritorno nella città natale. Dissapori nati per questioni patrimoniali con i fratelli e col padre Alfonso, e poi la morte di quest'ultimo nel 1701, furono probabilmente all’origine del rientro a Pesaro, richiamato anche dalla madre Porzia, a lui molto legata. A Pesaro fin dal 1694 gli era stato riconosciuto il diritto di far parte del Consiglio civico, ma si dedicò soprattutto alle cure familiari e agli studi. Il 2 genn. 1703, il M. sposò la marchesa Beatrice Baviera di Senigallia, dalla quale ebbe sette figli. Aspri contrasti nacquero tra il M. e il fratello Cesare, dedito alla carriera militare e dalla condotta dissipata. Attraverso una serie di cause tra il 1704 e il 1718 sembrò raggiunto un accordo che lasciava indivisa la proprietà della casa situata in via S. Giovanni a Pesaro, della villa di Ginestreto e di altri immobili in città e in campagna. Al M. fu assegnato il casino di Ginestreto. Cesare, però, scontento della spartizione, attuò una serie di devastazioni nelle proprietà del fratello e proseguì negli anni con atti di violenza anche ai danni dell'altro fratello, Carlo, finché il 27 sett. 1729 questi fu costretto a sparargli per difendersi dalle continue aggressioni.
Nonostante queste vicissitudini, il M. non abbandonò gli studi, che furono però occasione di non pochi dispiaceri. Del 1709 è la pubblicazione a Venezia in forma anonima della Lettera toccante le Considerazioni sopra la maniera di benpensare scritta da un accademico *** al sig. conte di *** l’anno 1705. Datata 2 maggio 1705, la lettera fu messa a stampa solo quattro anni dopo, corredata di un Avviso al lettore, dopo che era ampiamente circolata manoscritta. La sua origine è legata alla vivace polemica insorta a seguito della pubblicazione de La manière de bien penser dans les ouvrages d’esprit, del gesuita francese Dominique Bouhours (Parigi 1687), nella quale veniva attaccato il gusto e lo stile letterario degli italiani, troppo pedissequamente legato all’imitazione dei classici. A queste affermazioni si oppose Giovan Giuseppe Orsi, che nel 1703 dette alle stampe le sue Considerazioni sopra un famoso libro franzese… (Bologna 1703, ma 1704), che poi confluirono nelle Considerazioni del Marchese Giovan Gioseffo Orsi bolognese… sopra la Maniera di ben pensare ne’ componimenti… (Modena 1735, in due volumi) insieme con una raccolta di scritti pro e contro le sue tesi, tra le quali anche la Lettera del M. (vol. II, pp. 1-42, a cui si rinvia per le citazioni successive).
In questa celebre polemica, che si inseriva nella coeva querelle des ancien set des modernes, il M. si faceva paladino dei moderni, ovvero di una cultura cosmopolita non legata al pedantismo e al localismo accademico e in grado di svincolarsi dal principio di autorità in nome di un’«autorità figlia della ragione» (p. 5). L’intervento del M. preoccupò Orsi fin dalla versione manoscritta, come si deduce dal suo carteggio con Ludovico Antonio Muratori (Carteggio…, p. 372, lettera del 21 apr. 1707 e Viola, p. 311), tanto che, una volta venuto a conoscenza della paternità della Lettera, fu lui stesso a convincere il M. a dare alle stampe il testo per poter meglio esporre le proprie tesi. Il destinatario della Lettera è stato identificato da E. Graziosi in Lorenzo Magalotti; si può dire che il pamphlet fatto circolare dal M. fosse destinato a una élite gravitante attorno a Magalotti e agli altri intellettuali medicei aperti alle novità scientifiche sulla scorta dell’esperienza galileiana, ma anche alle novità della filosofia sensista, nel contesto di una corte dove, così si esprime il M., si stava «sempre in traccia dell’aggradevole e del gentile» (Lettera, pp. 22 s.). Nella visione del M. la politesse cortigiana si opponeva non solo all’ambiente dell’accademia bolognese, ma anche alla corrente tradizionalista dell’Arcadia, più incline a conservare la poetica del vero e del verosimile. I contemporanei del M. individuarono nella Lettera numerosi plagi da alcune opere di Magalotti, Galileo e Pietro Bembo, mentre non furono riconosciute le riprese dallo scrittore libertino Charles de Saint-Évremond messe i luce solo di recente (Graziosi, pp. 261-264). Più che di plagi, la critica odierna ha dimostrato trattarsi di citazioni, di allusioni dissimulate, dettate da chi sapeva di parlare di cose note a un pubblico di amici e gentiluomini che si abbeveravano alla cultura d’Oltralpe, specialmente quella francese. L’originalità delle posizioni inneggianti all’estro poetico e all’inventiva, all’incredibile e al meraviglioso, in cui alcuni studiosi hanno voluto vedere il precorrimento delle teorie estetiche di G.B. Vico, lasciarono il M. abbastanza isolato. Dalla parte di Orsi si schierarono invece compatti molti autorevoli letterati italiani, tra i quali Muratori, G. Baruffaldi e lo stesso A.M. Salvini. Il M. non rispose alle polemiche e da Pesaro continuò a mantenere contatti epistolari con gli ambienti della corte medicea e con le accademie fiorentine. Nel 1713 scrisse ad Anton Francesco Marmi per chiedergli notizie sulla recente versione inglese dell’Alessandra (o Cassandra), il poema del poeta greco del IV-III secolo a.C. Licofrone, tradotto da J. Potter (Oxford 1697 e 1702). Del poema il M. fece una traduzione in versi italiani corredata di note erudite e con dedica alla principessa Anna Maria Luisa de' Medici. L'opera, però, rimase inedita (ms. Oliveriano 2200) e fu solo annunciata nel tomo XXXI del Giornale de’ letterati d’Italia (Venezia 1719, pp. 401 s.). In altre due lettere indirizzate a Marmi il M. si dilungò sulla questione dell’epoca in cui sarebbe vissuto il lessicografo Papias. Contro la tesi dell’amico fiorentino Benedetto Bresciani e quanto affermato nel De scriptoribus ecclesiaticis dall’abate Tritemio, il M. propendeva, secondo quanto sosteneva Charles Du Cange du Fresne nella prefazione al primo tomo del Glossarium mediae et infimae Latinitatis, per la cronologia adottata dall’erudito tedesco Gerard Voss («essendo quegli cui si potrebbe dar fede in qual si voglia cosa, ancorché cento altri pel contrario scrivessero…», Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. VIII, Serie IV, Tomo X, cc. 165-170).
Critico attento ai progressi della filologia e dell’antiquaria europea, il M. ebbe discrepanze di vedute con il concittadino Annibale Olivieri, con il quale dal 20 luglio al 7 ag. 1735 intercorse una breve ma intensa corrispondenza. Nella risposta a Olivieri a proposito di un suo altro testo rimasto inedito, il Cimelio egizio (ms. Oliveriano 214, cc. 28r-48r), affiora in maniera significativa il diverso approccio metodologico del M. da quello dell'interlocutore, che rifletteva quanta era già emerso nel modo di affrontare la querelle des anciens et des modernes al tempo delle polemiche con Orsi. Alle argomentazioni fondate sull’autorevolezza delle fonti scritte evocate da Olivieri, il M. contrappone il richiamo al giudizio che si forma «con intelligenza, pratica e buon occhio», consentendo di riconoscere subito una statuetta egiziana da una greca o romana, «agli abiti, all’aria dei volti, alla maniera tutta o al carattere del lavoro» (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Mss. Oliveriani, 445, f. 16, c. 86rv). Moderno connaisseur piuttosto che erudito, il M. ebbe un ulteriore infortunio con la pubblicazione anonima delle sue Glossae marginales ad Musaei Passerii lucernas collectae (Bologna 1740), nelle quali criticava l’avvocato e antiquario esperto di etruscologia Giovan Battista Passeri, autore delle Lucernae fictiles Musaei Passerii (I, Pesaro 1739), che, tra l’altro, era stato anche consulente antiquario alla corte medicea. A difesa di Passeri si schierò Olivieri con l’opuscolo Glossae marginales ad Musaei Passerii lucernas collectae a. D. 1739 colle riflessioni di Pietro Tombi Mecchi bidello dell’Accademia pesarese (Pesaro 1740).
Eccetto una Dissertazione sopra un’iscrizione greca e sopra un bassorilievo della Galleria granducale di Toscana, che fu pubblicata nel Giornale de’ letterati d’Italia del 1719 (tomo XXXII, pp. 87-96), molte opere del M. sono rimaste inedite e probabilmente sono ancora reperibili nell’archivio privato della famiglia. Il ms. Oliveriano miscellaneo 456, III, f. 148, ad nomen, ricorda: Marmi medicei (trattato epigrafico dedicato alla principessa Violante Beatrice di Baviera), Cosmogonia, riflessioni sopra il Genesi, Hierothodia, canti sacri e morali. Nel ms. Oliveriano 214, cc. 1r-26v, 49r-108v, 109r-147r sono conservati i trattati Due medaglie greche della città di Pesaro, Marmo primo e Marmo quinto.
Inedita rimase anche una Lettera sul tabacco, con dedica a un nobildonna «di delicata, profonda erudizione» di cui si tace il nome. Descrivendo la scoperta, la diffusione e le qualità terapeutiche del tabacco, il M. non manca di ricordare che a Pesaro ne era stato introdotto l’uso fin dalla prima metà del Seicento dallo zio Terenzo Montani, mentre ai suoi tempi era ormai molto in voga «tra le persone di qualità… quasi più necessario del sale e uno de’ più considerabili proventi de’ principi» (Lettera sul tabacco, a cura di O. Ruggeri, Urbino 1957, pp. 38-41).
Gli ultimi anni di vita del M. furono travagliati dalla condotta dissipata del figlio primogenito Alfonso, anche a causa di un suo matrimonio mal combinato mentre risiedeva a Firenze come paggio alla corte medicea. Maggiori soddisfazioni vennero dal figlio Giulio, che, dopo aver frequentato il collegio dei nobili di Urbino, nel 1729 era entrato a far parte dell’esercito sabaudo su raccomandazione del cardinale Prospero Lambertini (poi papa Benedetto XIV). Nel 1750 fu affidata al M. la composizione di un’iscrizione latina da destinarsi alla fontana del porto di Pesaro, fatta costruire dal legato pontificio monsignor Gianfrancesco Stoppani (ms. Oliveriano 445, f. 16, c. 97 bis).
Il M. morì a Pesaro il 17 febbr. 1754. Un elogio funebre comparve sul Giornale de’ letterati d’Italia di quell’anno (IX [1754], pp. 254-257).
Fonti e bibl.: Le lettere del M. ad A. Olivieri sono conservate a Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Mss. Oliveriani, 445, f. 16; quelle a Magalotti sono pubblicate in E. Graziosi, M. e Magalotti: storia di un plagio, in Giornale storico della letteratura italiana, CLXVIII (1991), pp. 265-270. Mss. Oliveriani, 965: C.E. Montani, Biografie di illustri pesaresi, cc. 88v-89r; 2036: Id., Memorie della famiglia, II, cc. 32r-43v; 1062: D. Bonamini, Biografie degli uomini illustri pesaresi, cc. 229r, 281r-282r; 1064: Id., Memorie degli scrittori pesaresi, II, c. 269r-v e ad nomen; 1546, V, c. 1r-v; 2201 (testamento); 2204-2226 (scritti vari); 2209 (libro domestico); 2237 (appunti vari); Mss. Oliveriani miscellanei, 456, III, f. 148, ad nomen; 458, III, fasc. 148, ins. 2, ad nomen; Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 2669: «Spedizione del sig. conte Francesco Montani Gentilhuomo di camera et cameriere segreto del Ser.mo Granduca, in qualità di inviato straordinario al Ser.mo Elettore di Baviera, 1697»; Firenze Biblioteca nazionale, Magl. VIII, Serie IV, tomo X, cc. 165r-168r; Epistolae clarorum Belgarum…, II, Florentiae 1754, pp. 257-259; L.A. Muratori, Carteggio con Giovan Gioseffo Orsi, a cura di A. Cottignoli, Firenze 1984, ad ind.; M.S. Borghini, Saggio di poesie, Firenze 1827, pp. 254-256; A.F. Zaccaria, Storia letteraria d’Italia, IX, libro III, Modena 1756, pp. 510 s.; H. Quigley, Italy and the Rise of a New School of Criticism in the 18th Century, Perth 1921, pp. 28 s.; G. Toffanin, L’eredità del Rinascimento in Arcadia, Bologna 1923, pp. 112 ss.; D.W. Thompson, M., Saint-Évremond and Longinus, in Modern Language notes, LI (1936), pp. 11-17; B. Croce, Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica italiana, Bari 1940, pp. 357-361; Id., Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Bari 1940, pp. 500, 527-529; G. Toffanin, L’Arcadia, Bologna 1947, pp. 49-56; F. Montani, Lettera sul tabacco, a cura di O. Ruggeri, Urbino 1957; A.M. Giorgetti Vichi, Gli Arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon, Roma 1977, p. 123; E. Graziosi, Montanari e Magalotti: storia di un plagio, in Giornale storico della letteratura italiana, CLXVIII (1991), pp. 85-127, 229-270; A. Brancati, La nobile famiglia Montani tra politica, economia e cultura, in Il Palazzo e la famiglia Montani a Pesaro. Un restauro architettonico e un recupero di memorie per la storia della città, a cura di A. Brancati, Pesaro 1992, pp. 48-125; M.P. Paoli, «Come se mi fosse sorella». Maria Selvaggia Borghini nella Repubblica delle lettere, in Per lettera. La scrittura epistolare femminile tra archivio e tipografia, secoli XV-XVII, a cura di G. Zarri, Roma 1990, pp. 530 s.; C. Viola, Tradizioni letterarie a confronto. Italia e Francia nella polemica Orsi-Bouhours, Verona 2001, pp. 311-324 e ad indicem.