MONTEMEZZANO, Francesco
MONTEMEZZANO, Francesco. – Nacque a Verona nel 1555, come si ricava dall’anagrafe cittadina del 1557, dove è registrato di due anni insieme al padre Jacobo e alla madre Barbara, residenti nella parrocchia di S. Giorgio in Braida (Brenzoni, 1963, p. 309).
Il cognome «de Montemezanis» deriva dalla località di origine della famiglia paterna (Mezzane, sita in territorio veronese), specializzata da almeno quattro generazioni nel ramo della costruzione edile (il padre risulta «inzegner marangon»; ibid., p. 312). Rilevato in casa dei genitori ancora nel 1570, Montemezzano divenne erede universale in qualità di unico figlio maschio dopo la morte del padre avvenuta nel 1579: nel testamento paterno non viene specificato dove risiedesse a quella data.
Non è certo quando e presso quale bottega sia stato avviato per la prima volta all’arte pittorica. I suoi dipinti rivelano una marcata adesione al linguaggio figurativo di Paolo Veronese, del quale viene detto discepolo da fonti seicentesche (Marco Boschini; Carlo Ridolfi). La sua presenza nella città natale all’età di 15 anni, quando il celebre maestro era ormai da tempo stabilmente attivo a Venezia, suggerisce di ipotizzare un primo apprendistato in un atelier veronese, a meno di immaginare che avesse iniziato il tirocinio in lieve ritardo rispetto alle consuetudini dell’epoca. In ogni caso, sebbene la critica moderna abbia ravvisato debiti formali con alcuni fra i principali pittori presenti allora a Verona, in particolare con Paolo Farinati (Crosato, 1972) e Felice Brusasorci (Fiocco, 1928, p. 155; Guzzo, 1982; Rigoni, 1988; Introvigne, 1993), è inevitabile inquadrare la carriera di Montemezzano nell’ottica di una precoce collaborazione con la bottega veneziana di Paolo e del fratello Benedetto Caliari.
Un atto notarile del 18 maggio 1574 lo segnala a Treviso «in cancelleria episcopali », in compagnia di un Antonio «eius frater», entrambi «pictoribus» e abitanti a Venezia (Crosato Larcher, 2000). La notizia è di fondamentale importanza, non soltanto perché conferma l’avvenuto trasferimento dell’artista in laguna entro la prima metà degli anni Settanta, ma anche perché va quasi certamente messa in relazione con la realizzazione degli affreschi che ornano la sala ducale del palazzo vescovile, commissionati a Benedetto Caliari dal vescovo Giorgio Corner, cui Montemezzano – stando a Ridolfi – avrebbe preso parte. Come proposto da Crosato Larcher (2000), l’Antonio menzionato potrebbe essere Antonio Vassilacchi detto l’Aliense, allievo anch’egli di Veronese, che secondo Ridolfi (p. 207) copiava disegni e quadri del maestro «in compagnia di Montemezzano»; l’indicazione del documento trevigiano, che li chiama fratelli, sembra rafforzare l’esistenza di un rapporto confidenziale fra i due giovani colleghi. Resta invece priva di riscontri l’ipotesi (Crosato, 1972) che Montemezzano avesse dipinto in quegli stessi anni gran parte della decorazione di villa Giunti a Magnadola di Cessalto, attribuita in alternativa a Christoph Schwarz.
Allo schiudersi del nono decennio l’artista riallacciò i contatti con Verona, dove, secondo fonti settecentesche, avrebbe eseguito nel 1580 il Noli me tangere per i benedettini di S. Giorgio in Braida, affiliati alla Congregazione veneziana di S. Giorgio in Alga (Rigoni). L’opera manifesta caratteri marcatamente veronesiani sia nella composizione sia nelle tipologie e nelle posture dei personaggi, tanto da essere rapportabile alla tela di medesimo soggetto dipinta dai Caliari per la chiesa di S. Maria Maddalena a Treviso. Se la data fosse corretta, la commissione si porrebbe apparentemente in continuità con il menzionato ritorno dell’artista in patria al momento della morte del padre, aprendo il problema di un suo possibile soggiorno prolungato in città, dove è documentato nuovamente nei due anni seguenti: nel marzo 1581 è padrino di Francesco Dario, figlio del pittore Aurelio Scaiola, battezzato nella chiesa olivetana di S. Maria in Organo (Rognini, 1974); nel settembre 1582 appare insieme alla sorella Virginia nella stesura di un atto divisionale riguardante il lapicida milanese Giovanni Maria Pozzali, abitante nella città scaligera (Brenzoni, 1963, pp. 305 s.).
Secondo la proposta di Fiocco (p. 139), andrebbe collocato in questo periodo – precisamente nel 1581 – il Battesimo di Cristo conservato nel santuario della Madonna del Pilastrello a Lendinara, edificato fra 1577 e 1579 come nuova sede di una famiglia monastica olivetana. La pala, su cui un tempo era leggibile la firma «Fra.co Monte», in origine ornava l’altare della famiglia Locatelli (Pizzamano, 1992). Per le evidenti analogie formali, è stata messa in relazione con la tela di medesimo soggetto nella chiesa dei Ss. Vito e Modesto di Spinea, vicino a Mestre (Crosato, 1972; Fossaluzza, 2000). Sebbene non sia mai stato messo in rilievo, un legame concreto fra le due commissioni è rappresentato dal fatto che la chiesa di Spinea era sotto la giurisdizione di un altro convento olivetano, quello di S. Elena in Isola: vista la coincidenza cronologica con il menzionato atto battesimale del 1581, non è escluso che le relazioni con l’Ordine risalgano a contatti stabiliti nell’ambiente veronese di S. Maria in Organo.
Il 12 novembre 1583 Montemezzano si trovava a Sacile, dove fece da padrino al battesimo di Martino Nicolò Vitale (Introvigne, p. 55). La notizia sembra convalidare l’attribuzione e suggerire la datazione del ciclo affrescato nella sala da ballo (detta degli Imperatori) del locale palazzo Ragazzoni. Qui sono tuttora conservati cinque dei sei episodi (uno, staccato, si trova alla Gemäldegalerie di Dresda) tratti dalla vita del nobile friulano Giacomo Ragazzoni (1528-1609), personaggio di spicco del mondo mercantile e diplomatico veneziano, in contatto con esponenti di punta del patriziato lagunare.
Le scene, scandite da finte colonne corinzie giganti e dipinte sopra una balaustra in finto marmo che gira attorno alla sala, celebrano il committente e la sua famiglia rappresentandone importanti incontri con sovrani e principi, da Maria I d’Inghilterra a Enrico III di Francia, dal doge Sebastiano Venier a Maria d’Austria, svoltisi fra il 1554 e il 1581. La data del 1583 corrisponde anche all’anno delle nozze tra Marcantonio Foscarini e Claudia Ragazzoni, figlia di Giacomo, che nell’affresco ora a Dresda (La famiglia Ragazzoni riceve nel suo palazzo Maria d’Austria nel 1581) appare adornata da due fili di perle, permesse solo alle donne sposate (De Feo, 1993, p. 40). A questo affresco vanno riferiti due disegni preparatori con Testa di bambina (Darmstadt, Hessisches Landesmuseum) e Testa di fantesca (Parigi, École nationale supérieure des beaux-arts). Non vi è unanimità sull’autografia dell’intero ciclo, nel quale affiorano lampanti scarti qualitativi, né lo stato conservativo, danneggiato da restauri troppo aggressivi, ne permette una lettura agevole (Sapienza, 2008, pp. 434 s.).
I rapporti con i Ragazzoni confermano il buon inserimento di Montemezzano a Venezia e verosimilmente riconducono alla sua partecipazione nella ridecorazione di alcune sale di palazzo ducale, seguita ai due incendi del 1574 e del 1577. Ragazzoni risulta infatti indirettamente legato, soprattutto tramite il socio e amico Jacopo Foscarini, alla cerchia di Jacopo Contarini, principale responsabile della gestione del progetto per il nuovo ciclo delle sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio, nonché figura di massima importanza nel panorama culturale della Serenissima (Tagliaferro, 2001). Stando a quanto riportato da Girolamo Bardi (1587), Montemezzano realizzò due scomparti monocromi per il soffitto della sala del Maggior Consiglio (Albano Armario martirizzato dai Turchi e Trofei) e una grande tela per il soffitto di quella dello Scrutinio (Presa di Acri); inoltre gli vengono tradizionalmente attribuiti, a partire da Boschini (1664), tre riquadri affrescati sulle sovraporte dell’Anticollegio (Mercurio e Pallade,Giove e Pomona, Fortuna e Silenzio). La datazione di questi ultimi viene di consueto riferita al 1576 (Crosato, 1972), anno in cui si ritiene concluso l’affresco del soffitto di Paolo Veronese, ma l’ipotesi va presa con cautela. Una nota del magistrato al Sal riferisce invece i Trofei monocromi al 1585 (Brenzoni, 1963, p. 300 n. 1), periodo al quale risalgono probabilmente anche le altre due tele dipinte per il medesimo ciclo.
Montemezzano si trovò così a far parte dei più importanti cantieri decorativi dell’edilizia civile veneziana di quegli anni, nel cuore dell’epicentro politico della città, presumibilmente sfruttando – come altri colleghi quali l’Aliense e Andrea Vicentino – gli agganci di Paolo Veronese, protetto di Contarini e vicino all’élite di governo. Che fosse introdotto in questo stesso milieu è testimoniato da un’epistola di Giovanni Battista Leoni del 6 agosto 1589: in essa il letterato veneziano, che faceva parte della cerchia di Contarini, invitava Montemezzano a Roma, da dove scriveva, insistendo sull’opportunità di studiare le opere antiche e moderne e sostenendo che, scomparsa la generazione dei vecchi maestri, non se ne erano più eguagliate la finezza e l’eccellenza nel «fare», soprattutto al Nord, dove spiccavano soltanto Tintoretto e «il vostro Veronese» (Bottari, 1766, p. 33; Tagliaferro).
L’aderenza al linguaggio del maestro, tradotto tuttavia in un ductus più incisivo e tormentato, lontano dai ritmi cadenzati e dalle eleganti modulazioni cromatiche del modello, dovette procurare a Montemezzano un certo successo tanto in laguna quanto in Terraferma, dove ricevette numerose ordinazioni per quadri di devozione sia pubblica sia privata. Le fonti antiche segnalano un discreto numero di opere destinate a chiese veneziane, di cui è sopravvissuta una minima parte: la Caduta della Manna e Abramo incontra Melchisedec nella cappella del Sacramento in S. Francesco della Vigna; la Missione dello Spirito Santo e S. Pietro in carcere nel soffitto dei Ss. Apostoli; l’Assunzione della Vergine proveniente da S. Maria Nova (ora a Fontanelle, chiesa parrocchiale); il tondo con il Transito di s. Nicolò al centro del soffitto in S. Nicolò dei Mendicoli, probabilmente allogato entro il 1591, forse il quadro più interessante di questo gruppo per la grandiosità e complessità della rappresentazione (Gallo-Mason, 1995).
Un’altra prova di questa intensa produzione è fornita da un disegno con un Progetto per altare e pala raffigurante l’Assunta, s. Maria Egiziaca e un santo vescovo (Darmstadt, Hessisches Landesmuseum), firmato e datato 1584, recante le indicazioni delle misure per un ignoto committente. Il foglio costituisce l’unica attestazione di un’attività progettuale architettonica dell’artista, sebbene nel Seicento Martinioni (1663, p. 149) lo definisse «pratico anch’egli dell’Architetture» e gli attribuisse le quadrature del soffitto di S. Nicolò dei Mendicoli. Al disegno di Darmstadt ne sono stati avvicinati altri due (Tietze-Tietze Conrat, 1942; Disegni veronesi, 1971) raffiguranti rispettivamente un Progetto per altare e pala raffigurante il martirio di s. Caterina (già Princeton University Art Museum) e un Bozzetto per riquadro entro finta architettura con due dame e un nano (Windsor Castle, Royal Collection).
La maniera particolarmente espressiva sviluppata dal pittore, che ama caricare la mimica e la muscolatura dei personaggi, incavare le pieghe dei panneggi, animare le composizioni con movimenti impetuosi, contraddistingue anche alcuni dipinti sacri dal marcato accento drammatico, convincentemente ascritti alla sua mano, come le versioni della Pietà della Pinacoteca regionale di Tambov (Markova, 1982), dell’Ermitage (Fomichova, 1992), di collezione privata padovana e degli Staatliche Museen di Berlino (Crosato, 1972). Quest’ultima redazione offre inoltre, nel gruppo di donatori a sinistra, un saggio dell’abilità ritrattistica dell’artista, già decantata da Ridolfi, apprezzabile in un cospicuo nucleo di effigi, soprattutto di dame veneziane, sparse in vari musei e attribuitegli prevalentemente in base al confronto con gli affreschi di Sacile. Oltre a fornire un’interessante galleria di volti acconciati secondo la moda di fine Cinquecento, questi ritratti permettono di misurare la popolarità del pittore presso le famiglie più agiate di Venezia. Desta un certo interesse l’ipotesi, tutta da verificare, che il pittore abbia decorato gli affreschi della villa (ora Gidoni) fatta costruire a Mira da Zuanne (Giovanni) di Serotti, abitante nella parrocchia di S. Maria Nova (Sapienza, p. 356).
Mentre manteneva la propria base operativa a Venezia, Montemezzano eseguì anche pale d’altare per l’entroterra veronesevicentino, a riprova della persistenza dei suoi contatti con la zona d’origine (Rigoni). Nel 1590 firmò e datò il Martirio dei ss. Fermo e Rustico per l’altar maggiore dell’omonima chiesa a Lonigo, appartenente ai benedettini di S. Giorgio in Alga. Firmata è anche la Presentazione al tempio per l’altar maggiore della parrocchiale di Roverchiara, chiesa nella quale si conserva anche una Madonna col Bambino e i ss. Rocco e Sebastiano, che gli viene comunemente ascritta.
Altre opere ricondotte alla sua autografia sono la Madonna col Bambino e i ss. Lucia e Girolamo di Ronco di Roverchiara (S. Maria), l’Assunzione della Vergine di Lonigo (Madonna dei Miracoli, chiesa dipendente da S. Maria in Organo di Verona) e la Consegna delle chiavi di Zoppè nel Trevigiano (parrocchiale; Fossaluzza, 1995). Si tratta di lavori dall’esito variabile, in cui è rintracciabile la collaborazione di aiuti, a conferma di una bottega che nel decennio conclusivo del secolo lavorava a pieno regime. Di essa non si hanno notizie precise, salvo che nel giugno 1594 un certo Vincenzo di Paolo Trevelin «marangon» veniva assunto come garzone per i successivi otto anni (Sapienza, p. 356).
L’ultimo dipinto databile è l’Adorazione dei pastori di Albaredo (parrocchiale), che una fonte settecentesca riferisce essere stata ordinata a Montemezzano nel 1602 dall’arciprete Francesco Tobanelli (Rigoni, pp. 91 s., n. 9).
Non si conoscono il luogo e la data di morte dell’artista.
Ridolfi (p. 140) riferisce che il pittore morì «di veleno circa l’anno 1600», ma le ricerche di Brenzoni nei Necrologi del Magistrato alla Sanità degli anni 1599-1605 non hanno dato esito positivo (Brenzoni, 1963, p. 297), ragione per la quale lo studioso ha dedotto che la morte fosse avvenuta fuori Venezia.
Fonti e Bibl.: G. Bardi, Dichiaratione di tutte le istorie che si contengono ne i quadri posti nuovamente nelle sale dello Scrutinio, et del Gran Consiglio…, Venezia 1587, passim; C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte ovvero Le vite degli illustri pittori veneti e dello Stato (Venezia 1648), a cura di D. von Hadeln, II, Berlin 1924, pp. 89 s., 139 s., 207 s., 213; M. Boschini, La carta del navegar pitoresco (Venezia 1660), a cura di A. Pallucchini, Venezia-Roma 1966, pp. 416-418; G. Martinioni, Venetia città noblissima et singolare…, Venezia 1663, pp. 46, 115, 149, 154, 243, 348, 358 s.; M. Boschini, Le minere della pittura, Venezia 1664, pp. 15, 49, 58, 115, 180, 200-202, 204 s., 323 s., 412, 433, 435; Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura…, a cura di G.G. Bottari, V, Roma 1766, pp. 33-35; G. Fiocco, Paolo Veronese, Bologna 1928, passim; H. Tietze - E. Tietze Conrat, The drawings of the Venetian painters in the 15th and 16th centuries, New York 1944, p. 191; R. Brenzoni, F. M., in L’Arte, LXII (1963), pp. 293-320; Disegni veronesi del Cinquecento (catal., Venezia), a cura di T. Mullaly, Vicenza 1971, pp. 71-74; R. Brenzoni, Dizionario di artisti veneti, Firenze 1972, pp. 207-209; L. Crosato, Proposte per F. M., in Arte veneta, XXVI (1972), pp. 73- 91 (con bibl.); L. Rognini, I fratelli Scaiola ignorati pittori, amici del Brusasorci e del M., in Vita veronese, XXVII (1974), pp. 208-212; E.M. Guzzo, Due dipinti di F.M. nella provincia di Brescia, in Memorie bresciane, 1982, n. 2, pp. 54- 63; V.E. Markova, Inediti della pittura veneta nei musei dell’U.R.S.S. (I), in Saggi e memorie di storia dell’arte, XIII (1982), pp. 21 s.; C. Rigoni, La bottega dei Caliari a Verona, in Veronese e Verona (catal.), a cura di S. Marinelli, Verona 1988, pp. 85-92; T.D. Fomichova, The Hermitage. Catalogue of Western European painting, II, Venetian painting, Firenze 1992, p. 219; P. Pizzamano, Le pitture, in P.L. Bagatin - P. Pizzamano - B. Rigobello, Lendinara. Notizie e immagini per una storia dei beni artistici e librari, Treviso 1992, pp. 258 s.; R. De Feo, Gli affreschi di F. M. in palazzo Ragazzoni di Sacile e un inedito, in F. M. in palazzo Ragazzoni-Flangini-Billia… (catal.), a cura di F. Amendolagine - R. De Feo - G. Ganzer, Sacile 1993; S. Introvigne, F. M. Cenni biografici, ibid., pp. 53-58; A. Walther, Montemezzanos Empfangsszene ein Fresko im Bestand der Gemäldegalerie Alte Meister, in Dresdener Kunstblätter, XXXVII (1993), pp. 82-90; G. Fossaluzza, Cassamarca. Opere restaurate nella Marca trevigiana 1987-1995, Treviso 1995, p. 68; A. Gallo - S. Mason, Chiesa di S. Nicolò dei Mendicoli. Arte e devozione, Venezia 1995, pp. 29- 32; G. Fossaluzza, in Treviso cristiana. 2000 anni di fede (catal.), a cura di di L. Bonora - E. Manzato - I. Sartor, Treviso 2000, p. 253; L. Crosato Larcher, Precisazioni e aggiunte al ciclo a fresco di Benedetto Caliari nel salone del Vescovado di Treviso, in Arte veneta, LVI (2000), pp. 71-75; G. Tagliaferro, Quattro Jacopo per M., in Venezia Cinquecento, XI (2001), 21, pp. 141-154; H.D. Huber, Paolo Veronese. Kunst als soziales System, München 2005, pp. 86-100; V. Sapienza, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Cinquecento, a cura di G. Pavanello - V. Mancini, Venezia 2008, pp. 356, 434 s; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, pp. 87 s.