MORANDI, Francesco
MORANDI (Marani), Francesco (detto il Terribilia o Trebilia). – Nacque a Bologna nel 1528 da Palamede Marani, marito di una sorella (il cui nome non è noto) degli architetti Antonio e Giovanni Morandi.
Il reperimento e l’analisi delle carte dell’Eredità Terribilia, conservate nell’Archivio storico comunale di Bologna (cfr. Rubbi, 2010, p. 124), hanno fatto finalmente luce sul vero grado di parentela intercorso fra Antonio e Francesco Morandi (Marani), non padre e figlio, come sostenuto da parte della critica (Roversi, 2000, p. 753) ma zio e nipote. La confusione derivava dal fatto che questi due architetti, sono nominati, già nelle cronache antiche, con il medesimo cognome (Morandi) e soprannome (Terribilia). A ciò si aggiunga che anche i meno noti Giovanni, fratello e collaboratore di Antonio, e Paolo, fratello di Francesco, sono indicati dalle fonti con il medesimo soprannome.
La mancanza di notizie precise ha fatto sì che la carriera di Francesco sia ancora in parte oscura, anche se è certo che entrò presto a far parte dell’impresa edilizia fondata dal nonno materno Bernardino, qualificato come muratore, al fianco di Antonio e Giovanni, nei lavori effettuati per i complessi conventuali bolognesi di S. Giovanni in Monte, S. Domenico e S. Procolo, cantieri iniziati fra gli anni Trenta e Quaranta ma protrattisi per oltre trent’anni. Il suo nome compare accanto a quello degli zii in un contratto del 1544 riguardante la costruzione del «dormitorio, del chiostro, di due scaloni di macigno, un andito a lunette, un lavabo nella sagrestia e una loggetta» (Malaguzzi, 1987, p. 197) nel convento di S. Giovanni in Monte di proprietà dei canonici lateranensi. Riguardo agli interventi nella basilica di S. Domenico, forse è ascrivibile a Francesco (Rubbi, p. 127 n. 22) un progetto, mai realizzato, databile agli ultimi anni del Cinquecento, per la nuova cappella dedicata al santo, eseguita in seguito da Floriano Ambrosini (1597-1605), a lui va di certo attribuita la realizzazione, nel 1568, dell’ambiente destinato a nuova sede dell’Inquisizione. L’opera, un corpo architettonico annesso al convento, è attribuita a Francesco Morandi da Alce (1968) anche se lo stesso studioso non esclude la diretta partecipazione ante mortem dello zio Antonio. Lo stile rustico del porticato dorico, le decorazioni di colonne, portali e finestre, e la sobria razionalità degli spazi suggeriscono infatti il linguaggio artistico di quest’ultimo, presto passato nel modus operandi del nipote. Sempre a Bologna, Francesco progettò il campanile e la chiesa di S. Mattia (1575; ora sconsacrata) ed eseguì alcuni lavori nel refettorio di S. Procolo (1595), lasciati incompiuti dall’architetto Giulio della Torre.
Nel 1568 è documentato a Cesena dove fu impegnato nel riassetto interno dell’abbazia della Madonna del Monte. Oltre al progetto dello lo scalone ascendente che collega la cripta della basilica al presbiterio, suo è anche il disegno della cupola (Faranda, 2009) che, ribassata tra 1771 e 1772 e ulteriormente rimaneggiata nel 1914, donava all’edificio benedettino un maggiore equilibrio.
Numerosi sono anche i progetti di edilizia privata, realizzati a Bologna, riconducibili, per via stilistica, ai Morandi. Se ciò da un lato testimonia il favore goduto in città dalla bottega morandiana, un atelier moderno a conduzione familiare (Rubbi, 2010, p. 141), dall’altro rende spesso difficile separarne i cataloghi. Tradizionalmente associato a Francesco è il progetto di palazzo Caprara-Montpensier (1561, attuale sede della prefettura).
La costruzione più antica dell’edificio, estesa verso la chiesa di S. Salvatore su un’area di vecchie case acquistate dai Caprara nel corso degli anni in via dell’Asse (odierna via IV Novembre), fu commissionata da Francesco Caprara per testimoniare la sorprendente ascesa sociale ed economica della famiglia che, di estrazione artigiana, aveva saputo guadagnarsi un posto di rilievo tra le casate felsinee più illustri. Lo stabile è costituito da due corpi, la cui facciata, senza portico, presenta una cortina muraria liscia, interrotta da finestre rettangolari a edicola, balconi inflessi con balaustra e timpani triangolari e curvi alternati. Il portale centrale è caratterizzato dall’ordine rustico di colonne fasciate da bugnato liscio, motivo presente anche nelle paraste angolari. Nella parte alta un frontone spezzato reca al centro una finestra ornata di cartiglio.
Attribuibili a Francesco sono forse anche l’intervento di ristrutturazione della facciata di palazzo Lambertini (1570), il progetto di palazzo Fava (1584) e la ristrutturazione di palazzo Legnani-Pizzardi (1587), poi proseguita da Francesco Guerra.
Nel 1568 fu nominato ingegnere ufficiale della Fabbrica di S. Petronio, andando così a sostituire, in ideale continuità, lo zio, detentore della prestigiosa carica dal 1549 fino alla morte, avvenuta proprio in quell’anno. Fu sicuramente l’impiego nel più importante e controverso cantiere cittadino a recare profitto a Francesco che elaborò con Andrea Palladio un ipotetico progetto conclusivo per la facciata della basilica, come testimoniano un disegno preparatorio del 1571, un altro progetto, realizzato a due mani, del 1572 (entrambi a Bologna, Museo di S. Petronio; cfr. Burns, 2001; Zanchettin, 2001) e un interessante corpus epistolare, a riprova del vivace dibattito critico intercorso fra i due architetti (Bologna, Archivio della Fabbriceria petroniana).
L’ambiziosa questione del completamento della facciata di S. Petronio fu il problema artistico- politico più spinoso nella Bologna del XVI secolo. Dopo l’inconcludente tentativo (1558-1568), coordinato dallo zio Antonio, di ultimare la facciata secondo il disegno del 1518 di Domenico da Varignana, furono interpellati i maggiori architetti del tempo: Giulio Romano, Cristoforo Lombardo, Baldassarre Peruzzi, Alberto Alberti, Domenico Tibaldi, il Vignola, fino ad arrivare alla consulenza dello stesso Palladio (Fanti, 2001). Morandi, in qualità di architetto della Fabbrica si trovò in una posizione privilegiata che però non lo favorì come testimonia la continua revisione a cui fu sottoposto il suo primo progetto che si presenta come un insieme di soluzioni alternative, incollate al foglio iniziale, corredate da molte didascalie (Zanchettin, 2001). Sulla scia dei precetti dello zio, Francesco, percorrendo la strada della semplificazione e pur scendendo a un compromesso con i committenti, sembra riscrivere in linguaggio gotico la struttura dei sostegni e del telaio della facciata. Lo stesso spirito di contaminazione tra stile «todesco» ed elementi all’antica anima il progetto del 1572 nel quale Palladio e Morandi, mantenendo quasi inalterata la parte bassa, già avviata secondo la proposta di Varignana, sembrano sbizzarrirsi solo nella parte alta immaginata come un enorme apparato con statue, festoni, obelischi e rilievi (Burns, 2001, p. 110).
Analogie palladiane si rintracciano anche nella cisterna (1587, Bologna, cortile dell’Accademia di belle arti), un tempo nel viridario del palazzo del Legato, nel quale Francesco risulta attivo dal 1583 (Ricci, 2008, p. 117). Al 1581 risalgono quattro progetti presentati al concorso per la riedificazione del ponte sul fiume Idice (Menchetti, 2005-2007).
Morì a Bologna nel 1603.
Lasciò un solo figlio che non ebbe discendenza. I figli del fratello Paolo continuarono la casata fino alla sua estinzione nella persona di Maria Faustina Marani Terribilia, morta ai primi del Settecento, che nominò eredi universali del patrimonio Terribilia le Scuole pie di Bologna.
Fonti e Bibl: F. Malaguzzi Valeri, L’architettura a Bologna nel Rinascimento, Rocca San Casciano 1899; G. Zucchini, Documenti inediti per la storia del S. Petronio a Bologna, in Miscellanea di storia dell’arte in onore di Igino Benvenuto Supino, Firenze 1933, pp. 183-210; V. Alce, Due chiostri cinquecenteschi in S. Domenico di Bologna, in Memorie domenicane, LXXXV (1968), 1, p. 4 nota 2bis; G. Roversi, F. M., in Le vie di Bologna, a cura di M. Fanti, Bologna 2000, p. 753; M. Fanti, I disegni e la facciata della basilica di S. Petronio dal Cinquecento al Settecento: le vicende di una raccolta singolare, in La basilica incompiuta. Progetti antichi per la facciata di S. Petronio (catal., Bologna 2001-2002), a cura di M. Faietti - M. Medica, Ferrara 2001, p. 17; H. Burns, F. M. detto il Terribilia e Andrea Palladio, ibid., pp. 110-114, scheda 13; V. Zanchettin, F. M., detto il Terribilia. Progetto per la facciata di S. Petronio, ibid., pp. 122 s. scheda 17; F. Menchetti, I disegni di Vignola e di Domenico Tibaldi per i canali e i torrenti di Bologna, in Artes, XIII (2005-2007), pp. 145-147; M. Ricci, Palladio e gli «amici» bolognesi. Note su una lettera a F. M. del 18 ottobre 1572, in Palladio 1508-2008; il simposio del cinquecentenario. Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio, a cura di F. Barbieri - D. Battilotti et al.,Venezia 2008, pp. 117-122; F. Faranda, La cupola della basilica di S. Maria del Monte a Cesena, introduzione di A. Marabottini, Cesena 2009; V. Rubbi, Sull’architettura del Cinquecento: Antonio Morandi, detto il «Terribilia», in L’architettura del Rinascimento a Bologna. Passione e filologia nello studio di Francesco Malaguzzi Valeri, Bologna 2010, pp. 125 n. 10, 127 n. 22, 141 s.; M. Fanti, Un ulteriore documento relativo al progetto Palladio- Terribilia per la facciata di S. Petronio (1572), in Domenico e Pellegrino Tibaldi. Architettura e arti a Bologna nel secondo Cinquecento. Atti del Convegno, Bologna… 2006, in corso di stampa; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, p.119 s.