MOROSINI, Francesco
– Nacque a Venezia il 15 aprile 1573 da Antonio di Pietro e da Paola Priuli di Lorenzo, futuro doge.
Ricchissime e prestigiose entrambe le famiglie; questo ramo dei Morosini risiedeva nella parrocchia di S. Silvestro, sestiere di S. Polo, ed era conosciuto come ‘da Bassano’ per via delle notevoli proprietà fondiarie che possedeva in quei paraggi, a Cartigliano, dove sorge una grandiosa villa edificata dalla famiglia.
Morosini fu destinato alla carriera politica, mentre un fratello minore, Matteo, avrebbe provveduto alla continuità famigliare sposando Maria Tiepolo di Francesco del procuratore Alessandro. Ricevette pertanto una adeguata educazione e, quando ebbe raggiunta l’età richiesta, fu eletto savio agli Ordini per due anni consecutivi, nei semestri aprile-settembre del 1599 e del 1600; poi per alcuni anni il suo nome non compare nei registri del segretario alle Voci, forse anche per la concomitante presenza di altri esponenti del numeroso casato che si contendevano l’ingresso nel collegio (per limitarsi agli omonimi, ce n’erano infatti ben cinque in quel torno di anni).
Il 21 marzo 1604 fu eletto provveditore a Peschiera, mentre ricopriva il saviato di Terraferma, cui era stato eletto per il primo semestre dell’anno; lasciò Venezia alla fine dell’estate e si trattenne nella fortezza posta tra il Garda e il Mincio sino all’ottobre dello stesso 1605, allorché il Maggior Consiglio gli accordò la licenza di rimpatriare sostituendolo con Giacomo Soranzo, in considerazione delle sue cattive condizioni fisiche.
Lesse la relazione in Senato il 24 dicembre, mentre ricopriva la carica di provveditore sopra le Fortezze (15 ottobre 1605-settembre 1606); fu quindi provveditore al Bosco del Montello dal novembre 1606 al maggio 1607; ancora savio di Terraferma tra l’ottobre 1607 e il marzo 1608. Il 5 marzo risulta eletto ambasciatore a Mantova.
Aveva inizio così una nuova fase della carriera politica di Morosini, caratterizzata da un susseguirsi di legazioni, che l’avrebbe portato a morire, di lì a qualche anno, lontano dalla patria. Si era da poco conclusa la crisi dell’Interdetto, che lo aveva visto schierarsi non solo con il partito dei ‘giovani’ anticuriali, ma addirittura far parte della ‘compagnia ateista’ guidata dal nuovo doge Leonardo Donà, nella quale militavano Paolo Sarpi e, in posizione alquanto più defilata, Galileo Galilei, di cui Morosini era amico.
Soggiornò a Mantova dal 14 maggio al 7 giugno 1608. Dalla lunga relazione, letta in Senato il 21 giugno, si ricava – come da tradizione – un quadro dettagliato della famiglia ducale, delle sue entrate, della situazione politica che vedeva allora contrapposti i Gonzaga ai Savoia a causa delle reciproche rivendicazioni sul Monferrato. Ma i risvolti mondani dell’evento fanno aggio, nella circostanza, sugli aspetti politici; l’invio a Mantova di un ambasciatore straordinario era stato infatti deciso in occasione del matrimonio di Francesco, figlio del duca Vincenzo, con Maria Margherita di Savoia, nella speranza – peraltro rivelatasi subito assai debole – di comporre la complessa vertenza. La cerimonia nuziale era stata celebrata a Torino quasi tre mesi prima, ma l’arrivo degli sposi a Mantova aveva offerto occasione a grandiosi festeggiamenti sui quali Morosini insiste diffusamente, certo nell’intento di destare la curiosità dei senatori; e che si trattasse di un avvenimento atteso lo conferma la presenza a corte di una cinquantina di nobili veneti giunti a ossequiare il duca e a godere di feste che «sono state fatte sontuosissime e con magnificenza veramente regale e che supera la credenza di cadauno» (Segarizzi, 1912, p. 100).
Morosini era da poco rimpatriato, quando, il 7 agosto 1608, fu nuovamente eletto ambasciatore per analoga circostanza: stavolta la corte era quella medicea e il matrimonio riguardava il figlio del granduca, il futuro Cosimo II, con Maria Maddalena d’Asburgo, figlia dell’arciduca Carlo d’Austria, che la Signoria aveva servito con le sue galere nel viaggio da Trieste a Firenze.
Partito da Venezia alla metà di ottobre, si fermò in Toscana per oltre un mese; anche di questa missione è stata conservata la relazione, letta in Senato il 5 dicembre. In essa il diplomatico tralascia la consueta descrizione del sito e degli ordinamenti costituzionali, già ben noti al governo marciano, limitandosi a osservare che «scordate ormai del tutto le antiche forme del governo e della libertà, cadauno vive vita sicurissima» (Relazioni, 1976, II, p. 331), né più pensa alla politica, non più di tanto almeno; i motivi di malcontento, pur presenti e vivi, sono rappresentati piuttosto dai risvolti economici, dall’interessata ingerenza del granduca nei settori del commercio dei grani e del credito finanziario, l’uno e l’altro fattori decisivi del concentrarsi della ricchezza nelle mani della famiglia medicea. Altri problemi, oltre alle tradizionali considerazioni sulla politica estera, acquistano crescente rilievo agli occhi di Morosini, quali – scrive Angelo Ventura nella sua Introduzione (ibid., I, p. LXV) – «il granduca, la sua famiglia, i consiglieri, il porto di Livorno, la marina, le questioni di precedenza, le cerimonie, il tono d’una vita sociale che ha sempre più nella corte il suo centro e che, abbandonate le libere forme del vivere civile imposte nel passato dalla borghesia mercantile e artigiana, assumeva sempre più i riti e le convenzioni d’una società aristocratica».
Nuovamente a Venezia, entrò subito savio di Terraferma, incarico che sostenne fino a tutto il marzo 1609; non aveva però ancora portato a termine il mandato, che sin dal 14 marzo fu eletto a un’altra ambasceria di livello ancora una volta più diplomatico che politico. Si trattava di rappresentare la Repubblica presso il duca di Lorena, Enrico, e Morosini parve quantomai idoneo allo scopo dal momento che tre anni prima il duca aveva sposato Margherita Gonzaga, figlia di Vincenzo I, e sua sorella Cristina era stata granduchessa di Toscana fino a poco tempo prima l’inizio della legazione, avendo perso il marito, Ferdinando I de’ Medici, proprio nel 1609: due corti, Mantova e Firenze, e due principi che Morosini conosceva bene. Ricevuta la commissione il 15 agosto, lasciò Venezia all’inizio di settembre e si recò a Nancy via Innsbruck per rimpatriare nell’ultima decade di ottobre 1609. Assunse per la quarta volta il saviato di Terraferma, che tenne dall’ottobre 1609 al marzo 1610 rivestendo la funzione di cassiere del Collegio; fu probabilmente un suo omonimo a essere nominato commissario sopra i confini di Loreo il 22 luglio 1610, laddove fu proprio Morosini a ricoprire l’incarico di provveditore alle Fortezze fra il 4 ottobre 1610 e il 30 settembre 1611.
Ancora savio di Terraferma per il secondo semestre 1611, divenne poi provveditore alle Artiglierie (15 ottobre 1611 - 23 maggio 1612) e savio alle Acque dall’indomani, 24 maggio, sino al 16 giugno 1612, allorché risultò eletto ambasciatore alla corte di Spagna.
La partenza ebbe luogo solo un anno dopo, il 18 luglio 1613. A Madrid accusò presto cattive condizioni di salute, tanto che dall’ottobre 1613 al gennaio 1614 fu il segretario Girolamo Cavazza a sostituirlo sia nella stesura dei dispacci sia nelle funzioni diplomatiche. Ripresosi alquanto, nella corrispondenza col Senato si occupò prevalentemente dapprima dei tentativi di accomodamento ispano-sabaudo circa la questione del Monferrato (rientra in quest’ambito il riavvicinamento tra Venezia e Torino, realizzato nell’estate 1614), poi del conflitto subentrato al fallimento delle trattative. Nel corso dell’estate, tra il giugno e il settembre 1615, poté infine ragguagliare sul trattato di Asti, che poneva fine alla controversia, lasciando tuttavia insoddisfatte entrambe le parti.
Morosini stese il suo ultimo dispaccio il 5 ottobre e morì a Madrid il 2 novembre 1615; aveva 42 anni e non gli fu concesso di raccogliere i frutti, in termini di carriera politica, del suo lungo tirocinio.
Nel testamento, steso il 9 giugno 1613, chiese di essere sepolto in una chiesa di francescani e raccomandò al fratello Matteo un figlio naturale, storpio, che aveva avuto da Lavinia Cernosa, figlia del console spagnolo a Venezia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti …, V, p. 306; Segretario alle voci, Elez. Pregadi, regg. 6, cc. 21, 28; 7, cc. 13, 14, 31, 49; 8, cc. 18, 19, 31, 56, 69, 71, 84, 100, 166; Senato, Dispacci Francia, filza 39 bis, nn. 1-7 (legazione al duca di Lorena); Senato, Dispacci Spagna, filza 45-47 passim; Notarile, Testamenti, b. 1243/289; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl.VII, cod. 833 (= 8912): Consegi, cc. 195r, 282r; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, p. 477; Relazione di … Mantova … 21 zugno 1608, inRelazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, I, Bari 1912, pp. 87-110; F. Seneca, La politica veneziana dopo l’Interdetto, Padova 1957, pp. 8, 88, 94, 96, 99, 101, 103, 106-108, 116; A. Ventura, Introduzione, in Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, I, Bari 1976, pp. LXIV s., LXVII, LXXIX, XCV; Relazione … presso al granduca Ferdinando I di Toscana …, ibid., II, pp. 329-362; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma. X. Provveditorato di Salò. Provveditorato di Peschiera, a cura dell’Istituto di Storia economica del’Università di Trieste, Milano 1978, pp. LXXVI, 281-286; R. Targhetta, Appunti su una famiglia patrizia veneziana: i Morosini detti da Bassano(secc. XV-XVII), in Archivio Veneto, s. 5, 1990, n. 169, pp. 56-58, 66; M. Zorzi, Le biblioteche a Venezia nell’età di Galileo, in Galileo Galilei e la cultura veneziana. Atti del Convegno di studio…18-20 giugno 1992, Venezia 1995, p. 178.