MUTTONI, Francesco
– Nacque a Lacima (od. Cima di Porlezza) sulla sponda italiana del lago di Lugano, il 22 gennaio 1669 da Defendente e Caterina Lezzena (Puppi, 1980, p. 241).
Si stabilì nel 1696 con la famiglia a Vicenza dove si iscrisse, assieme al padre, alla fraglia dei muratori e tagliapietra con la qualifica di ‘muraro’, seguito poco dopo dai fratelli Carlo Giuseppe e Pietro Paolo.
Alcuni scritti, emersi alla fine degli anni Ottanta del Novecento allegati a un consistente nucleo di disegni (Grilli, 1991), gettano luce sul percorso intrapreso da Muttoni per emanciparsi da una condizione familiare segnata dalle difficoltà economiche. Anziano e malato, in occasione del testamento (1743) in cui formalizzava il proposito filantropico – maturato fin dal 1734 – di lasciare parte dei libri e delle raccolte grafiche alla parrocchia della sua città natale, rammentava, in un memoriale, la propria giovinezza priva di occasioni formative affermando di esser diventato «quel poco» che era, non con lo studio ma «con la diligenza, raccogliendo quanto si vede nelle migliori città e luoghi» che aveva visitato (ibid., pp. 212 s.).
Nel 1698 sposò, a Vicenza, Fiorina Lamberti con la quale ebbe sei figli di cui solo Domitilla (n. 1700) e Angela (n. 1705) raggiunsero la maggiore età (Puppi, 1966; Saccardo, 2007, pp. 181 s.).
Gli intrecci di amicizie e parentele che seppe coltivare in ambito vicentino e che lo agevolarono nella professione emergono già dall’elenco dei padrini e delle madrine che si alternarono al fonte battesimale dei figli (Barbieri, 1990, p. 157), tutti affermati professionisti (come il cartografo Dante Dante o i capomastri Giovanbattista Pozzo e Francesco Buttironi) o membri della nobiltà locale (come Francesco Piovene, Camilla Trento Valmarana, Roberto Trissino). Non a caso la critica ha più volte ipotizzato un trasferimento a Vicenza in qualche modo «pilotato» (Puppi, 1980, p. 236), promosso da una classe egemone intenzionata a ridare lustro alla città, dopo una lunga stagione trascorsa all’insegna del rigore scamozziano (Franco, 1937). Una committenza determinata, al volgere del secolo, a ritrovare un interprete in grado di declinare la tradizione con le proprie nuove istanze di fasto e autocelebrazione, di mediare tra i prodromi del neopalladianesimo ormai alle porte e il desiderio di introdurre quelle novità che da quasi un secolo circolavano nelle maggiori città italiane ed europee. I continui contatti con i viaggiatori del nord Europa che giungevano in Veneto alla ricerca delle opere di Palladio, divenute universalmente note grazie alla diffusione dei Quattro libri, facevano di Vicenza una capitale indiscussa, bisognosa di un professionista competente al servizio del genius loci.
Nel primo decennio del Settecento il percorso professionale di Muttoni appare in continua ascesa come dimostra la datazione serrata delle opere certe, pubbliche e private, da leggersi alla luce dell’intreccio inscindibile con quella committenza capitanata dal marchese Scipione Repeta che, in veste di privato cittadino o di pubblico funzionario, promosse sempre il suo operato. Se in palazzo Angaran alle Fontanelle (1701-03), demolito, Muttoni si adeguò alla tradizione locale, ispirandosi allo scamozziano palazzo Trissino al duomo, divenuto modello ricorrente nell’edilizia vicentina del secolo XVII (Barbieri, 1954), nel palazzo per Scipione e Enea Repeta (1701-12) in piazza S. Lorenzo, sperimentò per la prima volta l’innesto di un apparato decorativo di gusto barocco su una struttura compositiva di impostazione classica.
L’edificio appare preludio, nella solennità dell’insieme, di una capacità di recepire ed estrapolare da modelli colti (palazzo Canossa di Michele Sanmicheli, palazzo Civena e palazzo Thiene di Andrea Palladio, villa Lippomano a Conegliano di Baldassare Longhena e lo scalone del convento di S. Giorgio Maggiore a Venezia dello stesso autore) elementi che sarebbero diventati poi linguaggio autonomo come l’uso del bugnato per il piano terreno o l’inserimento di uno scalone scenografico a rampe gemelle che, per dimensioni e estro compositivo, rappresentò il primo esempio di scalone monumentale barocco a Vicenza (Barbieri, 1987, pp. 135 s.; Grilli, 1991, p. 195).
Negli stessi anni Muttoni ricevette l’incarico di approntare i disegni per la libreria Bertoliana Vecchia (1703-06) da situare nel cuore della città accanto alle opere pubbliche più rappresentative.
L’urgenza di erigere una libreria pubblica era dettata dal lascito (effettivo dal 1702) di migliaia di volumi da parte del giurista vicentino Giovanni Maria Bertolo. Dopo una prima ipotesi di intervento nel cortile del palazzo del Podestà (1702), si identificò nel Monte di Pietà il sito più adatto. Nel 1703 Muttoni preparò il progetto, riconducibile a un precedente disegno (1624) di Giambattista Albanese, assecondando forse le esigenze della committenza. Nel 1706 la libreria era pressoché conclusa come, nel 1708, i disegni degli arredi lignei in coincidenza con l’arrivo in città dei volumi dopo la morte del donatore nel 1707 (Curcio, 1990, pp. 191 s.). Al di là dell’impianto schematico del prospetto, ravvivato solo dall’episodio centrale, Muttoni non rinunciò alle citazioni dotte quali la base ‘astratta’ dell’ordine dorico mutuata dalle logge della basilica palladiana, motivo che divenne in seguito una vera e propria firma dell’architetto. Durante i lavori, intervenne anche nella vicina chiesa di S. Vincenzo (1704), facente parte del Monte di Pietà (ibid.; Barbieri - Cevese, 2004, p. 415).
In questo contesto di sperimentazione di modelli tra loro diversi, si inserisce l’incompiuto palazzo Velo (1706-08) in contra’ Cantarane, vera e propria ripresa palladiana (Barbieri, 1961) data l’evidente analogia con palazzo Chiericati all’Isola; citazione declinata tuttavia nel nuovo modo di sentire, magniloquente nelle dimensioni e ricco di suggestioni lombarde e barocche.
Ai palazzi cittadini si affiancò la progettazione di ville di campagna: probabile opera prima fu villa Fracanzan a Orgiano, realizzata, entro il 1710, per Francesco Fracanzan, amico di Repeta.
La pianta riprende la tipologia veneziana del salone passante con le stanze d’abitazione distribuite simmetricamente sui due lati, formula a cui Muttoni rimase fedele anche per i palazzi di città. Come di consueto dedicò grande rilievo alle scale tra cui quelle di servizio, a rampe incrociate, che rinviano a quanto progettato da Vincenzo Scamozzi nelle procuratie nuove di piazza S. Marco a Venezia. Nelle barchesse è chiaro invece il riferimento al cortile del palladiano palazzo Thiene a Vicenza. Degna di nota l’ipotesi progettuale (in collezione privata a Thiene) solo parzialmente realizzata, in cui, coinvolgendo buona parte della tenuta agricola, Muttoni si mostra capace di ridefinire il paesaggio circostante, uscendo dagli schemi della rigida simmetria, inglobando le preesistenze, organizzando blocchi tra loro diversi ma coerenti, collegati da percorsi alberati.
Fin dagli inizi della sua attività, Muttoni esercitò anche la professione di cartografo. Risale al 1701 la mappa delle mura e fortificazioni di Vicenza posta a corredo della relazione sullo stato di conservazione delle difese della città berica consegnata dall’erudito vicentino Ortensio Zago a Marcantonio Grimani, capitano di Vicenza (Soragni, 1977).
Nella primavera del 1708 intraprese un viaggio a Roma con lo scopo ufficiale di verificare in loco le misure dei monumenti rilevati da Andrea Palladio e riportati nei disegni autografi all’epoca in suo possesso. In quella circostanza ricevette da Zago una lettera di presentazione per Francesco Bianchini, dal 1703 presidente alle Antichità romane, affinché potesse compiere gli scavi necessari al rilievo.
Alcune raccolte grafiche (dal codice Twisden del Fondo Cappelletti presso il Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio di Vicenza, al dossier del Paul Getty Center a Santa Monica [Puppi, 1994A, pp. 88-93], ai rilievi del teatro Berga di Vicenza [Id., 1994B, pp. 81-84]) sembrerebbero provare interessi specifici per lo studio dell’archeologia classica. Attente analisi hanno evidenziato tuttavia come alcuni dei suoi supposti rilievi dall’antico siano stati direttamente tratti dalle tavole dell’opera di Antoine Desgodetz Les édifices antiques de Rome dessinés et mesurés très exactement, edita a Parigi nel 1682 (Pasquali, 2001). Metodologia del resto adottata anche per i tanti disegni di palazzi, giardini, fontane o altari ‘moderni’ delineati in occasione del viaggio romano, presenti nel fondo di Porlezza, e copiati da altrettante incisioni a stampa di autori tardo secenteschi (Grilli, 1991, p. 36).
Il viaggio romano segnò uno spartiacque importante nella carriera professionale di Muttoni che, lungi dal dedicarsi esclusivamente agli edifici antichi, fu invece impegnato nell’aggiornare il proprio repertorio linguistico frequentando l’Accademia di S. Luca e accostandosi alle opere di più recente realizzazione.
Rientrato a Vicenza, seguì, nel dicembre del 1708, la visita di Federico IV, re di Danimarca, che nel tour delle glorie cittadine fu condotto d’innanzi alla basilica palladiana, alla «Libraria del fu conte Bertolo» e alla Rotonda di cui il re si dispiacque di non averla vista prima «perché haverebbe fatto fabricare in tal dissegno un palazzo nuovamente da esso costrutto in suo giardino» (Archivio di Stato di Venezia, Senato, Dispacci dei rettori di Vicenza, 1708, dic. 27). Tale ammirazione ispirò Muttoni nel grandioso progetto di palazzo a pianta centrale (1709) offerto successivamente in omaggio al re (Puppi, 1981).
Il 17 marzo 1709, i deputati ad utilia lo ripagarono di questa sua «perizia et valore […] non solo nell’architettura, ma ne’ disegni, perticatione de’ beni, mesure dell’acque et altre matematiche operazioni» e dell’«universale aggradimento […] per le fabbriche pubbliche e private maestosamente innalzate» nominandolo architetto e pubblico perito della città di Vicenza (Id., 1966, p. 318). Di questo periodo si ricordano alcune soluzioni progettuali, non eseguite, per una «scala maestra» e una «secretta» per il palazzo veneziano di Francesco Antonio Farsetti (Grilli, 1991, pp. 197s.), l’incarico pubblico (Barausse, 2002) per restaurare a Vicenza la torre Bissara, all’epoca addossata al palazzo del Podestà, la stesura di una relazione sulla copertura del teatro Olimpico (Olivato, 1990, pp. 204 s.). Nel successivo approdo a Vicenza del re di Danimarca, nella primavera del 1709, Muttoni ricevette l’incarico di occuparsi degli allestimenti scenografici per i ricevimenti in suo onore al teatro Olimpico e ai giardini Valmarana (Puppi, 1992; Id., 2007). Se il 1709 segnò un momento di grande successo professionale per l’architetto, fu anche l’anno in cui scontò gravi perdite dal punto di vista personale con la morte della moglie e di due figli. Si risposò quindici anni dopo, l’8 gennaio 1724, con Margherita Gonzi, vedova del capomastro Pietro Farina (Id., 1981, p. 332).
Tra il 1712 e il 1717 realizzò palazzo Trento Valmarana all’Isola, forse l’edificio più importante del suo repertorio.
Muttoni ideò due prospetti assai diversi: il primo sulla pubblica via (contra’ S. Faustino) più austero e privo di ordini; il secondo, sul giardino, ricco di soluzioni barocche nella decorazione, vicina a modelli borrominiani, e nella struttura, in particolare nelle ali che si concludono con «angoli a semicircolo». L’aver posto, poi, nell’asse centrale il ‘pieno’ di una lesena che costringe ad una lettura ‘in movimento’, dimostra l’abilità nel saper nascondere, esaltandoli, i difetti di un sito irregolare nella planimetria e nei dislivelli (Barbieri, 1987, p. 139; Saccardo, 2007, p. 419).
Nel 1713, temendo incendi o disordini provocati dalla folla che durante la fiera si riversava copiosa nelle piazze attorno alla basilica, si chiese a Muttoni il progetto per un allestimento in Campo Marzo, presentato nel marzo di quell’anno e, di fatto, non eseguito (Soragni, 1976).
Dal 1714 fu impegnato nella costruzione di villa Porto a Monticello. Di inequivocabile derivazione dalla scamozziana villa Pisani di Lonigo, dilatata nelle dimensioni e semplificata nella struttura planimetrica, la villa non ha la forza espressiva dell’archetipo sebbene il contesto paesaggistico e la sistemazione del belvedere retrostante creino un episodio di sicuro rilievo. Muttoni fu, infatti, a giudizio della critica, «il più originale architetto di giardini attivo nel Veneto nella prima metà del Settecento» (Azzi Visentini, 1990, p. 355). Tre episodi, in particolare, ne sugellano le capacità linguistiche: villa Fracanzan Piovene (1710), villa Trissino Marzotto a Trissino (1711-46) e villa Loschi Zileri Dal Verme al Biron (1728-34). Alcune mappe autografe evidenziano, accanto all’intervento architettonico sulla villa padronale, la sapiente trasformazione della campagna circostante. Nella valorizzazione del sito, esaltato attraverso soluzioni scenografiche, giochi d’acqua, fontane, parterres e percorsi alberati, Muttoni attesta di essere a conoscenza di quanto altrove era andato maturando (Tafuri, 1965; Sicca, 1989; Azzi Visentini, 1988; Id., 1990; Frank, 1998; Maschio, 1998).
Nel 1717 fu interpellato per risolvere la questione relativa alla costruzione di un collegamento tra la città e il santuario di Monte Berico, di cui rese conto nell’opera a stampa Osservazioni intorno alle fabbriche fatte e da proseguirsi in onore della beata Vergine Maria di Monte Berico…, pubblicata nel 1741.
Lontano dall’indulgere in apparati decorativi, mise in atto un linguaggio prettamente funzionale proponendo la costruzione di portici, in analogia con il santuario bolognese di S. Luca, che da villa Volpe giungevano alla chiesa mariana, escludendo il vecchio tracciato, promosso da Enea Arnaldi, che partiva dall’arco delle «scalette». Nel 1746, grazie alla mediazione del fisico e matematico padovano Giovanni Poleni, i lavori ebbero inizio e si conclusero intorno al 1761 (Barbieri, 1990, pp. 184 s.).
Tra il 1724 e il 1727 realizzò la complessa mole di villa Valmarana Morosini ad Altavilla Vicentina realizzata su precedente cantiere del 1702-03 (Puppi, 1972-75; Grilli, 1991, pp. 201 s.). Interessante la grande scuderia: tra le costruzioni più eleganti in terra vicentina e tema a Muttoni congeniale come si vede anche in quella del castello Porto Colleoni Thiene a Thiene, generalmente ricondotta alla sua produzione. Tra le ville attribuite si ricordano inoltre: villa Monza (1715) a Dueville, villa Checcozzi (1717) a San Tomio di Malo (Saccardo, 1995), villa Trento (1717-18) di Costozza, villa Cerchiari (1722) a Isola Vicentina (Zaupa, 2006), villa Capra (1728) a Santa Maria di Camisano, per quanto attiene ai fabbricati annessi, mentre sicura appare l’appartenenza al regesto muttoniano di villa Negri (1708) a Bertesina (Barbieri, 1991). Al 1736 sono riconducibili alcuni interventi (scuderia, ingresso e foresteria) in villa Valmarana ai Nani a San Bastiano (Puppi, 1968, p. 223).
In contra’ S. Stefano a Vicenza restaurò nel 1731 alcuni fabbricati, non disdegnando l’edilizia ‘utilitaria (Zaupa, 2006), mentre tra il 1736 e il 1739 fu impegnato nella progettazione del vicino palazzo Capra, non realizzato, ma importante per i materiali grafici e le perizie pervenute: prezioso unicum teso a illustrare le diverse ipotesi compositive poste al vaglio della committenza e dei consulenti interpellati tra i quali spicca l’architetto Giorgio Massari (Barbieri, 1951). Tra i palazzi attribuiti si ricordano palazzo Franco in contra’ S. Lucia, palazzo Sale (1709) in contra’ Oratorio dei Proti, l’ampliamento di palazzo Porto Breganze (1725) in contra’ Porti e lavori di minore entità in palazzo Bissari Arnaldi in contra’ S. Paolo (Barbieri - Cevese, 2004). Sicuramente di sua mano è invece palazzo Poiana (ora pesantemente manomesso) in contra’ S. Tommaso (Barbieri, 1991).
Muttoni si occupò anche di architettura ecclesiastica: costruì il campanile della chiesa di S. Faustino a Vicenza (1710-19) e ne ristrutturò l’interno (1718-28); progettò la chiesa parrocchiale di Rossano Veneto (1719) e quella di S. Michele Arcangelo (1720) a Leffe (Bergamo); fu impegnato tra il 1723 e il 1725 nel complesso di S. Corona a Vicenza progettando una nuova sala per l’Inquisizione (perduta), una loggia a doppio ordine, dorico e ionico (Saccardo, 1987) e la cappella Thiene (Saccardo, 1984; Grilli, 1991).
Dal 1739 si dedicò principalmente all’impresa editoriale riguardante la riedizione critica dei Quattro libri di architettura di Palladio (intitolata Architettura di Andrea Palladio vicentino di nuovo ristampata di figure di rame diligentemente intagliate arricchita, corretta, e accresciuta di moltissime fabbriche inedite, con le osservazioni dell’architetto N. N. [pseudonimo con cui Muttoni soleva celare il proprio nome] e con la traduzione francese), progetto che certamente scaturì dall’aver constatato le difficoltà nel reperire i capolavori del maestro. Se una sicura influenza sulla genesi dell’opera dovettero avere i coevi studi sugli ordini di Alessandro Pompei (Pasquali, 2001; Bosso, 2009), l’istanza di rendere note le divergenze tra i disegni del trattato e quanto realizzato delle fabbriche palladiane era maturata in lui da tempo.
Nella società, formata a Venezia nel 1739, Muttoni coinvolse oltre all’incisore Giorgio Fossati, Francesco Bianchi e Giovanni Gonzi, che gestiva il «dannaro e così anco tutti li rami, carte, libri» (Arch. di Stato di Vicenza, Notarile, L. Castelli, b. 13744, 1739, dic. 7). Il piano dell’opera prevedeva inizialmente dieci tomi, poi ampliati in dodici, ma a causa di contenziosi e difficoltà sorti all’interno della società l’opera subì ritardi e rimase incompiuta: i primi due tomi furono stampati da Angelo Pasinelli alla fine del 1740, il III (1741) non venne diffuso prima del 1743, il IV (1743) non prima del 1746 e così fino all’VIII (1748). Il IX, edito da Giorgio Fossati, uscì nel 1760. Del X, sugli edifici moderni, mai pubblicato, si conservano alcuni disegni preparatori nella Library of Congress di Washington, nelle collezioni del duca di Devonshire a Chatsworth e nel citato codice Twisden di Vicenza (Pasquali, 2001). Se molte tavole, nate dal rilievo in situ, risultano valido strumento per conoscere la configurazione delle fabbriche palladiane nei primi decenni del Settecento, di altre non è sempre chiara l’attendibilità mancando nell’opera «un indirizzo unitario» (Barbieri, 1980, p. 226). Del resto le motivazioni circa la scarsità di notizie sulla figura di Muttoni studioso ed editore di Andrea Palladio sono probabilmente da ricercarsi in quella sfortuna critica che egli scontò, già all’indomani della sua morte, allorquando gli esponenti della nuova ‘ventata neoclassica’ gli tributaronoun giudizio negativo unanime.
Morì a Vicenza il 21 febbraio 1747 nella sua casa in contra’ delle Grazie e fu sepolto il giorno dopo nella cattedrale di S. Maria Annunciata (Puppi, 1966, p. 326).
Se una valutazione conclusiva circa la personalità di Muttoni è ancora lontana dal poter essere formulata, la messe dei materiali documentari emersi negli ultimi decenni rendono maturi i tempi per un approccio complessivo all’autore. La raccolta di Porlezza fa riflettere poi sulla mole della sua produzione, anche se fu limitata a Vicenza e al suo territorio. Puppi (1992) ha ben sottolineato «il raggio vasto della sua professionalità», dotata di una mentalità più aperta e meno ancorata ai localismi di quella generazione di autori nati a Vicenza intorno agli anni Venti del Settecento – magistralmente delineata da Franco Barbieri (1972) – destinata a succedergli.
Fonti e Bibl.: per quanto riguarda la bibliografia precedente il 1991, non citata espressamente, si rimanda al volume N. Grilli, Un archivio inedito dell’architetto F. M. a Porlezza (prefazione di F. Barbieri, pp. XI-XVI), Firenze 1991. F. Franco, La scuola scamozziana di stile severo in Vicenza, in Palladio, I (1937), pp. 59-70; F. Barbieri, Per il catalogo di F. Muttoni. Un progetto inedito alla Civica Biblioteca Bertoliana, in Il Giornale di Vicenza, 16 giugno 1951; Id., Per il regesto di F. M: il distrutto palazzo Angaran alle Fontanelle, in Vita vicentina, IV (1954), pp. 34 s.; Id., Una interessante ripresa palladiana nel primo Settecento vicentino: il palazzo Velo in Cantarane, in Quaderni dell’Istituto di storia dell’architettura dell’Università di Roma,VI-VIII (1961), pp. 287-292; M. Tafuri, Il parco della villa Trissino a Trissino e l’opera di F. M., in L’Architettura, X (1965), pp. 832-841; L. 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