NAPPI, Francesco
– Nacque a Milano da Giovan Paolo attorno al 1565, se è corretta l’indicazione fornita dal contemporaneo Giovanni Baglione, il quale lo dice morto sessantacinquenne (1642, p. 311); la più tarda indicazione che morì «circa il 1638» (Orlandi, 1719) trascinò in errore Pietro Zani (1823), il quale pone la data di nascita al 1573. Ignoto è il nome della madre.
Nulla si conosce di una eventuale formazione in patria; padre Sebastiano Resta lo disse «in Milano scolaro del Morazzone» (Nicodemi, 1956), ma tale alunnato risulta improbabile, poiché questi nacque nel 1573. Dal medesimo Baglione, suo primo biografo, sappiamo che Nappi giunse a Roma, riteniamo verso la metà dell’ultimo decennio del Cinquecento, dopo un soggiorno in Veneto: «Venne da Milano un Pittore, detto Francesco Nappi, che per l’addietro aveva in Vinegia dimorato, il quale si burlava di tutti i Pittori di Roma» (1642, p. 310). Eppure una certa integrazione nel contesto romano è attestata, fin dai primi anni del nuovo secolo, oltre che dai numerosi lavori eseguiti, dalla sua partecipazione, almeno dal 1603 al 1627, alle congregazioni dell’Accademia di S. Luca (Calenne, 2010, p. 109 n. 2). Elencando le opere in un ordine apparentemente cronologico, Baglione principia da un fregio «con alcuni Mostri Marini, e Ninfe, di maniera assai buona» (1642, p. 310), oggi perduto, affrescato da Nappi nel cortile di una casa di proprietà di Giovan Battista Crivelli, in via dei Cappellari, seguito «Su la facciata vecchia del Palazzo di Madama, intorno all’arme del Gran Duca di Toscana» da «due Putti grandi a fresco, assai buoni», pure scomparsi. Padre Resta ricorda, attorno al 1710, altre pitture di Nappi «quasi tutte o demolite o sbiancate per l’aggiustamento del portichetto tra i due cortili di casa Tocci» (Nicodemi, 1956); non è chiaro se si riferisse a quelle di casa Crivelli. Se la sequenza proposta da Baglione è corretta, sarebbero successive a tale tipo di interventi le pitture di Nappi nella cappella dei ‘garzoni degli osti’ in S. Maria della Consolazione stimate, nel 1597, da Cherubino Alberti e Cesare Nebbia (Cosmo, 1985, p. 114 n. 19): della tela con l’Assunta sull’altare è stata rubata la metà inferiore nel 2011 (Isman, 2012) e gli affreschi alle pareti (Storie della Vergine) appaiono in cattive condizioni. Il lavoro, nel quale emerge più che altrove il sostrato veneto dell’artista, fu saldato nel 1601 (Calenne, 2010, pp. 133 s.). Al 1597 risale l’affresco, tuttora esistente, raffigurante S. Giuseppe, dipinto dall’artista nella sede dell’Università dei carpentieri presso il palazzo dei Conservatori (Maniello Cardone, 2005). Nel medesimo anno, il «Pier Francesco Milanese» coinvolto in una rissa assieme a Giacomo Galli potrebbe essere Nappi (Lafranconi, 2002) o, più probabilmente, il Morazzone (Stoppa, 2003, pp. 24 s.).
Nel 1600 attese alla decorazione dell’abside di S. Giacomo degli Incurabili (Angeli nel catino absidale, Ss. Matteo e Marco e la Raccolta della manna sulla parete sinistra), eseguita su committenza del cardinale Antonio Maria Salviati, in occasione del giubileo; la sua partecipazione a quell’impresa si evince dalle testimonianze del contemporaneo Gaspare Celio (1638) che gli riferisce le pitture della «Tribona», su invenzione del novarese Giovan Battista Ricci, e di Baglione (1642, p. 311) il quale ricorda la «manna nel deserto con molte figure: e di sopra vi sono due Santi; il tutto in fresco dipinto: & ancora nella volta sonvi Angeli, e puttini del Nappi». In questa decorazione – come anche nelle successive pitture delle volte del chiostro di S. Maria sopra Minerva – è stato scorto un legame con la pittura della famiglia Alberti, artisti originari di Borgo San Sepolcro (Strinati, 1979, p. 77; Macioce, 1990, p. 97), oppure una possibile collaborazione con il viterbese Tarquinio Ligustri (Calenne, 2010, pp. 153 s.). Non ha sinora riscontro la notizia che Nappi abbia dipinto, in collaborazione con Giovanni Alberti, una facciata del palazzo del Quirinale (Thieme - Becker). Sempre nel 1600 Nappi fu pagato per alcuni dipinti in S. Nicola in Carcere («a bon conto della Pittura che fa a s.to Nicolao in Carcere»: cit. in Abromson, 1976, p. 354), dove operarono i pittori Marco Tullio, Orazio Gentileschi e Giovanni Baglione; si tratta, con ogni probabilità, di lavori eseguiti, sotto la direzione del Cavalier d’Arpino, su committenza del cardinale Pietro Aldobrandini, nella cappella del Ss. Sacramento (Calenne, 2010, p. 152). Dal 31 agosto 1601 – seppure indicato come «Jaco Nappi» – e fino al 10 maggio 1602, fu pagato per la sua partecipazione al cantiere dei mosaici della cappella Clementina in S. Pietro, realizzati e verosimilmente conclusi nel 1601 sotto la guida di Cristofano Roncalli, il Pomarancio (Thieme - Becker; Kirwin, 1972, p. 532). Tra gli altri aiuti del Pomarancio in quel cantiere fu Prospero Orsi, con il quale Nappi collaborò anche in seguito; da Roncalli apprese il modo di colorire e una pienezza delle forme che troviamo nelle sue opere successive come affermato anche da padre Resta, il quale scrive che Nappi «in Roma haveva preso a mirar nel Cav. Roncalli tanto che le figurine in medaglie parevano sue» (cfr. Nicodemi, 1956). Nel novembre 1603 lavorò per il cardinale Cesare Baronio (Smith O’Neil, 1985), dipingendo «quelle tele, colorite a chiaro scuro, che per l’ottava de’ Morti si vedono su le muraglie di dentro alla Chiesa di s. Gregorio nel Monte Celio» (Baglione, 1642, p. 311) esistenti ancora nel primo Settecento ma in seguito perdute (Pedrocchi, 1993, pp. 83, 147). Particolarmente abile, secondo Baglione, nel «far’ornamenti bizzarri di chiaro, e scuro con diversi capricci assai buoni, e gustosi» (1642, p. 311), Nappi dimostrò questo talento negli affreschi del chiostro di S. Maria sopra Minerva, forse il suo capolavoro, realizzando pitture che «paiono miniature, tanto l’ha ritocche, e cacciate sì, che non assembrano esser lavorate a fresco, ma a secco» (Baglione, 1642, p. 310). Com’è stato recentemente chiarito, la committenza di questi affreschi, iniziati nel 1603 e condotti a termine nel 1607, si deve al vescovo Andrea Fernández de Córdoba (Calenne, 2010, pp. 141-45).
A Nappi si possono riferire l’Ascensione, l’Assunzione e la Pentecoste, lungo il braccio settentrionale, l’Incoronazione della Vergine, lungo il braccio occidentale, così come alcune delle pitture nelle volte delle campate, con il concorso della bottega. In esse e in generale nella sua prima produzione romana, è stato ravvisato «un complesso gioco di equilibri tra la tarda pittura veronese, la maniera veneta di Palma il giovane, gli esercizi intellettuali di A. Figino e del Pederzano», che avrebbe costituito la base per la sua pittura «completamente antiaccademica» (Strinati, 1980, p. 48 n. 52), secondo un giudizio non totalmente condivisibile. Già Lanzi (1809) rilevava che l’artista «è vario; e dove ha dipinto nel suo stile lombardo, come in un’Assunta al chiostro della Minerva e in altre cose all’Umiltà, è un naturalista che appaga più che i manieristi del suo tempo». In questi affreschi vi sono importanti tangenze col Pomarancio e col Cavalier d’Arpino, ma anche con i primi lavori romani del Morazzone, in S. Silvestro in Capite. Al contempo Nappi rimase estraneo alle istanze classiciste carraccesche e alle novità del Caravaggio. I gruppi di figure a chiaroscuro ocra raffigurate sulle lesene affrescate tra le scene, sulle pareti, con figure satiresche avvinghiate, sono stati anche riferiti al modenese Giovan Battista Magni o al bolognese Giovan Luigi Valesio (Calenne, 2010, pp. 157, 161 s.); per quello tra l’Assunzione e l’Ascensione è stato rintracciato un possibile disegno preparatorio, conservato a Parigi (Louvre, Département des arts graphiques, inv. 21400 r; L’Occaso, 2010).
Dei primi del Seicento dovrebbero anche essere le pitture, realizzate assieme al romano Girolamo Nanni, nella cappella Gregoriana in S. Croce in Gerusalemme; gli affreschi, in pessimo stato conservativo, raffigurano la Ss. Trinità con la Vergine, ss. monaci, angeli, le Anime del purgatorio, S. Gregorio e S. Bernardo.
Nel 1607 prese parte, assieme a Celio, Nanni, Orsi e Cristoforo Greppi, ai lavori nell’appartamento vaticano di Paolo V; le pitture furono stimate da Ricci l’anno seguente (Bertolotti, 1881A, p. 78; Pupillo, 1998, p. 306). Nel 1608 «dipinse in casa de’ Signori Crescentij fregi di stanza, dicono con capricci assai belli» (Baglione, 1642, p. 310), parte dei quali è stata individuata nel fregio con Putti presente nel palazzo che fu proprietà di Giovan Battista Crescenzi, in piazza della Rotonda (Kirwin, 1972, p. 489 n. 261); in tale decorazione i modi del Pomarancio risultano goffamente irrigiditi. Due disegni tradizionalmente attribuiti a Roncalli e conservati presso il Wallraf-Richartz Museum di Colonia (Li 507-39 e Ll 507-41), preparatori per detti fregi, sono stati di conseguenza legati a Nappi, ma sono comprensibili le perplessità espresse verso tale proposta (Pupillo, 1998, p. 309 n. 40).
Potrebbe anche aver lavorato per Vincenzo Giustiniani, se a lui può riferirsi un pagamento (non datato) di 243 scudi destinati «per la pittura al Napo» (Calenne, 2010, p. 116 n. 16). Attorno al 1607-08 dovette stringere sodalizio con Celio a fianco del quale lavorò in palazzo Mattei e dove dipinse, nel 1608, un riquadro con il Sacrificio di Isacco affrescato nel «camerino oscuro» (Panofsky - Soergel, 1968, p. 138), copia da Tintoretto (Scuola Grande di S. Rocco; Calenne, 2010, p. 137). La «societas» si allargò il 16 agosto 1612 a Orazio Borgianni, per «tutte quelle opere che si haveranno dalla R. fabrica di S. Pietro»; un diverso e specifico accordo tra i tre artisti fu stipulato il 5 gennaio 1613, per la decorazione della cappella del Tesoro di S. Gennaro nel duomo di Napoli, e il 26 gennaio 1613, per lavori da realizzare nella piccola chiesa di S. Tommaso d’Aquino a Napoli, su committenza di Tommaso d’Avalos (Pupillo, 1998). Nessuno degli accordi stipulati dai tre artisti ebbe probabilmente modo di essere messo in pratica.
Nel 1609 abitava, di fronte a S. Marcello al Corso, assieme al pittore urbinate Giovanni Maria Gherardi (Bertolotti, 1881B); l’anno appresso condivideva ancora la dimora con Gherardi e, dal 1608, ebbe per garzone Orazio Zecca da Montefortino (Bertolotti, 1881A, p. 79; Calenne, 2010, pp. 109-32). Il 5 settembre 1613 fu pagato «per giornate n° 29, a scudo 1 per giornata, datte da lui et giornate 9 datte da Gismondo suo giovane a far diverse pitture nel giardino» di villa d’Este a Tivoli, su committenza del cardinale Alessandro d’Este (Seni, 1902, p. 120); suo collaboratore fu tale «Gismondo Straccia» (Calenne, 2010, p. 132 n. 53). Nulla rimane delle pitture eseguite, intorno al 1613, su committenza di Francesca Baglioni Orsini, in S. Maria dell’Umiltà (Baglione, 1642, p. 310; Calenne, 2010, p. 139). Le pitture andarono perdute con la ristrutturazione seicentesca della chiesa, anche se in seguito Titi (1763, p. 327) affermò che «il quadretto nell’altar maggiore si crede del Nappi». Perduta è anche «una figura di s. Sebastiano in piedi a fresco» ai Ss. Apostoli, con il quale Nappi intese «chiarire li Pittori di Roma, ma egli restò il chiarito» (Baglione, 1642, p. 310).
Nel 1616 furono pubblicate le Disputationes di Mario Altieri, con un frontespizio del quale Nappi fu l’«inventor» e «Christophorus Blancus Lotharingius» l’incisore (Calenne, 2010, p. 159). Nel 1618 lavorò per la famiglia Alveri (ibid., p. 139). Il 5 aprile 1621 fu incaricato con Matteo Pagani della pittura dell’arco di trionfo approntato per l’elezione di papa Gregorio XV (Masetti Zannini, 1966). Tra le ultime opere sono le pitture della cappella dell’Annunziata in S. Maria in Monserrato, che denunciano quella pesante involuzione qualitativa già rilevata da Baglione (1642, p. 311); gli affreschi con Storie della Vergine e la pala d’altare – raffigurante l’Annunciazione – si datano al 1624-26 (Fernández Alonso, 1968). Titi (1763, p. 120) riferisce all’artista erroneamente anche le pitture nella cappella del Crocifisso.
Il corpus grafico è limitato, oltre al disegno conservato al Louvre, a pochi altri fogli, due dei quali conservati presso il Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi di Firenze e riferiti a Nappi da antiche scritte: una Madonna con il Bambino e s. Giovannino (inv. 13302 F) e un Profeta (o Apostolo) con cartiglio (inv. 13303 F; Ferri, 1890).
Morì il 13 maggio 1630 a Roma, nel rione di S. Andrea delle Fratte (Thieme - Becker; Mazzetti di Pietralata, 2003, p. 23 n. 3).
A Nappi sono stati inoltre attribuiti (Titi, 1763, p. 359; Strinati, 1979) una Annunciazione su tela in S. Maria in Aquiro , poi restituita al cappuccino Paolo Piazza (Fumagalli, 2002), e gli affreschi (Profeti e angeli nella cupola e Storie del Battista) e la pala d’altare raffigurante il Battista nel deserto della cappella Naro in S. Maria sopra Minerva (Strinati, 1979, p. 77; Id., 1985, pp. 38 s.); anche di questi ultimi dipinti è mutata l’assegnazione: gli affreschi sono opera del fiorentino Jacopo Berni (1601-03) e la tela fu dipinta nel 1606 dal maceratese Giuseppe Bastiani (Nicolai, 2008, p. 95). Non molto persuasivo è il legame intravisto tra le pitture di tale cappella e gli affreschi della cappella Marliani, di incerto autore, in S. Maria delle Grazie a Milano (Bora, 1983). Le decorazioni di due absidiole in S. Caterina della Rota sono menzionate – non è chiaro su quali basi – come opere tarde ma certe di Nappi, «una sorta di epilogo espressionistico della sua parabola» (Strinati, 1979, p. 78).
Fonti e Bibl.: G. Celio, Memoria delli nomi dell’artefici delle pitture che sono in alcune chiese...diRoma (Napoli 1638), a cura di E. Zocca, Milano 1967, p. 17; G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti…, Roma 1642, pp. 310 s.; G. Biffi, Pitture, scolture ed ordini d’architettura... (1704-05 circa), a cura di M. Bona Castellotti - S. Colombo, Milano 1990, p. 76 n. 3; P.A. Orlandi, L’abcedario pittorico..., Bologna 1719, p. 173; F. Titi, Descrizione delle pitture, sculture e architetture…in Roma, Roma 1763, ad ind.; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia… (Bassano 1809), a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 331; P. Zani, Enciclopedia… delle belle arti, XIV, 1, Parma 1823, p. 16; M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca..., Roma 1823, p. 466; A. Bertolotti, Artisti lombardi a Roma..., II, Milano 1881A, pp. 78 s., 102; Id., Artisti urbinati in Roma prima del secolo XVIII, Roma 1881B, p. 32; P.N. Ferri, Catalogo riassuntivo della raccolta di disegni...dalla R. Galleria degliUffizidiFirenze, Roma 1890, p. 273; F.S. Seni, La villa d’Este in Tivoli, Roma 1902, p. 120; G. Nicodemi, Le note di Sebastiano Resta..., in Studi storici in onore di mons. Angelo Mercati, Milano 1956, p. 288; G.L. Masetti Zannini, I pontefici in Campidoglio, in Capitolium, XLI (1966), p. V; G. Panofsky-Soergel, Zur Geschichte des Palazzo Mattei di Giove, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XI (1967-68), p. 138; J. Fernández Alonso, S. Maria di Monserrato, Roma 1968, p. 28; W.C. Kirwin, Cristofano Roncalli..., Ph. D. Stanford Univ., Stanford 1972, pp. 297 n. 655, 489 nn. 261, 532; M.C. Abromson, Painting in Rome during the Papacy of Clement VIII (1592-1605), Ph. D. Columbia Univ., New York 1976, pp. 354, 364; C. Strinati, Quadri romani tra ’500 e ’600... (catal.), Roma 1979, pp. 74-78; Id., Roma nell’anno 1600. Studio di pittura, in Ricerche di storia dell’arte, X (1980), pp. 35 s., 38 s., 47 s. n. 52; G. Bora, in La chiesa di S. Maria delle Grazie, a cura di G.A. Dell’Acqua - C. Bertelli, Milano 1983, p. 170; G. Cosmo, L’intervento di F. N. nelle volte del chiostro di S. Maria sopra Minerva, in Bollettino d’arte, s. 6, LXX (1985), 29, pp. 105-114; L. Spezzaferro, Un imprenditore del primo Seicento: Giovanni Battista Crescenzi, in Ricerchedi storia dell’arte, XXVI (1985), pp. 63 nn. 27, 33-34, 66 n. 90; M. Smith O’Neil, The patronage of cardinal Cesare Baronio at S. Gregorio Magno, in Baronio e l’arte. Atti del Convegno internazionale di studi… 1984, a cura di R. De Maio et al., Sora 1985, p. 155; E. Francia, Storia della costruzione del nuovo S. Pietro, Roma 1989, p. 105; S. Macioce, Undique splendent, Roma 1990, pp. 97, 139, 151, 155; A.M. Pedrocchi, S. Gregorio al Celio, Roma 1993, pp. 83 s., 174; A. Melorio, F. N., in Roma di Sisto V (catal.), a cura di M.L. Madonna, Roma 1993, p. 537; E. Fumagalli, Paolo V Borghese in Vaticano, in Storia dell’arte, LXXXVIII (1996), p. 369 n. 65; M. Pupillo, Il «Virtuoso tradito», in Storia dell’arte, 1998, nn. 93-94, pp. 303-311; G. Mulazzani, Gli interventi decorativi, in S. Maria delle Grazie, Milano 1998, p. 245; E. Fumagalli, Padre Cosimo cappuccino a Roma, in Paolo Piazza..., a cura di S. Marinelli - A. Mazza, Verona 2002, p. 232; M. Lafranconi, Risarcimento di Giacomo Galli, «misterioso spadarino», in Paragone, s. 3, LIII (2002), 45, p. 57; C. Mazzetti di Pietralata, Grottesche e paesaggi nelle volte del chiostro di S. Maria sopra Minerva, in Decorazione e collezionismo a Roma nel Seicento, a cura di F. Cappelletti, Roma 2003, pp. 21-28; J. Stoppa, Il Morazzone, Milano 2003, pp. 30 s. n. 39; S. Maniello Cardone, Un «S. Giuseppe» di F. N. per l’Università dei carpentieri in Campidoglio, in Alma Roma, XLVI (2005), 2-3, pp. 35-72; S. Pierguidi, Dare forma humana a l’Honore et a la Virtù, Roma 2008, pp. 59, 62, 64; F. Nicolai, La committenza e il collezionismo della famiglia Naro nella Roma del Seicento, in Studi di storia dell’arte, XIX (2008), pp. 170, 177; Id., Mecenati a confronto, Roma 2008, pp. 94, 95, 105 n. 14, 106 n. 25; M. Fileti Mazza, Storia di una collezione..., Firenze 2009, pp. 231, 242, 285; S. L’Occaso, Un disegno di F. N. per il chiostro di S. Maria sopra Minerva?, in Memorie domenicane, XL (2009), pp. 339-341; L. Calenne, Prime ricerche su Orazio Zecca da Montefortino (oggi Artena), Roma2010, ad ind.; F. Isman, Tela tagliata e trafugata..., in Il Messaggero, 4 gennaio 2012, p. 30; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, p. 343.