NAVARRINI, Francesco
NAVARRINI (Navarini), Francesco. – Nacque a Cittadella (Padova) il 26 dicembre 1855 (ma secondo alcuni nel 1853: cfr. Kutsch - Riemens, 1997)
Allievo di canto di Giuseppe Felix e Carlo Borroni a Milano, sviluppò una voce di basso potente e profonda. Persa forse una prima occasione a causa della soppressione della stagione di carnevale 1876 al teatro Comunale di Ferrara, debuttò a Treviso nel 1878 nella parte di Alfonso in Lucrezia Borgia di Donizetti. Per i successivi due anni si esibì perlopiù in teatri secondari: il teatro Reale di Malta (stagione 1878-79 nella Sonnambula di Bellini), ancora con la Borgia a Venezia nella primavera 1879, quindi al teatro Coccia di Novara nei ruoli meyerbeeriani di Bertram (Roberto il Diavolo) e Hoël (Dinorah), durante la stagione 1879-80; fu poi nel marzo 1880 al Comunale di Trieste come Cristoforo nei Promessi sposi di Errico Petrella, in maggio-giugno al Comunale di Ferrara come Cardinale nell’Ebreo di Giuseppe Apolloni, quindi in settembre ancora con la Lucrezia alla Pergola di Firenze.
Per la successiva stagione di carnevale 1880-81 fu scritturato al Regio di Torino: nella prima della Regina del Nepal di Giovanni Bottesini, interpretò la parte di Re Giamshid. Cantò anche negli allestimenti di Amleto di Ambroise Thomas, nella parte di Raimondo nella Lucia di Lammermoor di Donizetti e in Melusina di Carlo Gramman (l’Eremita).
Al teatro São Carlos di Lisbona trascorse la stagione 1881-82 e la successiva: si esibì come Basilio (Il barbiere di Siviglia di Rossini), Burbo (Jone di Petrella), Silva (Ernani di Verdi), Oroveso (Norma di Bellini), e ancora in Dinorah e Amleto. Aprì la successiva stagione 1883-84 della Scala di Milano a fianco del celebre tenore Francesco Tamagno impersonando Alvise nella Gioconda di Ponchielli; sullo stesso palco, pochi giorni dopo, fu il primo Grande Inquisitore nella revisione del Don Carlo e Ramfis nell’Aida di Verdi, e ancora Saint-Bris negli Ugonotti e Oberthal nel Profeta di Meyerbeer.
Nel 1884 si esibì in diversi teatri tra i quali l’Alighieri di Ravenna (Don Carlo), il Verdi di Padova e il Pagliano di Firenze; in quest’ultimo ebbe particolare successo in parti che tenne poi in repertorio: Alvise, Basilio, Giorgio nei Puritani di Bellini. Con quest’opera aprì, assieme a un altro grande tenore, Francesco Marconi, la stagione 1885 della Scala, che prevedeva anche la donizettiana Favorita e di nuovo Il profeta. Sempre nel carnevale scaligero ebbe luogo la prima dell’attesa nuova opera di Ponchielli, Marion Delorme, ma prese parte solo all’acclamatissimo ancorché effimero rifacimento, poche settimane dopo, al teatro Grande di Brescia, nella parte di Laffemas. In quel periodo si esibì anche al Bellini di Palermo e al Comunale di Bologna nella Regina di Saba di Karl Goldmark (Sacerdote) e nelle Villi di Puccini (Guglielmo). Al Comunale ritornò l’anno successivo per interpretare Fanuele nell’Erodiade di Massenet.
Nel 1886 debuttò al S. Carlo di Napoli (La favorita, I Puritani) e al Costanzi di Roma (La Gioconda, Marion Delorme, Don Giovanni come Commendatore). Per l’anno dopo fu di ritorno alla Scala per Aida, Lucrezia Borgia ma soprattutto, il 5 febbraio, per l’attesissima prima dell’Otello di Verdi nella parte di Lodovico, con Tamagno protagonista e Franco Faccio concertatore.
Sempre nel 1887, al culmine del successo, fu richiesto da Augustus Harris per una stagione al Drury Lane di Londra, rimasta poi celebre per la presenza di alcuni dei migliori divi del momento. L’interpretazione di Sparafucile nel Rigoletto verdiano gli valse un contratto per l’anno successivo al Covent Garden, ma dopo poche rappresentazioni di Don Giovanni (fu un Leporello molto criticato) e Lucia di Lammermoor, la scrittura venne meno. Ritornò quindi alla Scala per la stagione 1888: cantò La regina di Saba, L’africana di Meyerbeer (Pedro), L’ebrea di Halévy (il Cardinale) e Lohengrin di Wagner (Re Enrico). Dello stesso torno d’anni sono da ricordare le prove a Trieste con L’ebrea, L’africana, Amleto, Mignon di Thomas (Lotario) e La sonnambula, e al Costanzi di Roma con La favorita e ancora GliUgonotti, stavolta nella parte di Marcello.
Le stagioni dal 1890 al 1893 lo videro ancora alla Scala, dove allargò il repertorio al Simon Boccanegra e al Cid di Massenet; partecipò nei panni di Almózor alla prima del Côndor di Antônio CarlosGomes, e riscosse successo nel Lohengrin. Nello stesso periodo lavorò anche all’estero: al Théâtre de la Gaîté di Parigi, a Madrid (a più riprese dal 1889 al 1897) e a Buenos Aires (1890). In quel periodo le sue parti preferite furono sempre più quelle degli Ugonotti e dell’Ebrea. Fu scelto quale primo Roldano per l’attesa prima del Cristoforo Colombo di Alberto Franchetti, il 6 ottobre 1892 a Genova, e per le successive riprese scaligere. Pochi giorni dopo a Roma varò pure Gualtiero Swarten di Andrea Gnaga. Anche per la successiva creatura di Franchetti, Fior d’Alpe (Scala, 5 marzo 1894), fu scelto per primo nella parte di Maso. Fu presente anche al battesimo scaligero di Arturo Toscanini nella stagione 1898-99 con I maestri cantori di Wagner.
Nonostante i primi segni di declino vocale, negli ultimi anni del secolo raccolse ancora enormi successi su diverse piazze europee e non, soprattutto Siviglia (1895) e Barcellona (1897, 1898 e sporadicamente fino al 1907), ma anche Montecarlo (1900) e ancora Madrid (1907 e 1908); nel 1902 fece parte della compagnia allestita da Pietro Mascagni per una tournée tra Stati Uniti e Canada. Particolarmente importanti le numerose esibizioni in Russia, soprattutto a San Pietroburgo, Odessa e Mosca, dove debuttò nel 1894 con I Medici di Leoncavallo e Gli Ugonotti. Nella città ucraina si esibì a partire dal volgere del secolo, quindi sempre più spesso nella capitale dell’Impero: dapprima nel 1903, poi annualmente dal 1906 al 1911, comprese le tre intere stagioni 1908-10. Proprio a San Pietroburgo, nel 1914, si accommiatò dal pubblico del teatro Mariinskij e dalle scene liriche, ripetendo alcuni dei ruoli prediletti.
Ritiratosi presso Rossano Veneto, morì a Milano il 23 (o il 21) febbraio 1923.
Fu tra i migliori bassi italiani di fine Ottocento, e certamente la sua personalità artistica impressionò il pubblico dei teatri lirici. La parabola storica delle voci di basso, del loro ruolo e del loro prestigio, aveva toccato con Rossini e il grand opéra di Meyerbeer e Halévy le vette più alte e aveva mantenuto con i popolarissimi romantici italiani un peso ragguardevole. Proprio negli anni in cui Navarrini avviò la carriera tale parabola sembrava destinata a un rapido declino: l’incipiente verismo in Italia e l’opéra-lyrique francese fornivano infatti limitate occasioni di spicco per i registri più gravi. L’eccezione rappresentata dai due Mefistofele, nel Faust di Gounod e nel Mefistofele di Boito, divenne quindi per i bassi italiani degli anni Settanta e Ottanta una facile occasione, troppo spesso abusata, di specializzazione nel repertorio contemporaneo. Sebbene la sua voce presentasse caratteristiche particolarmente adatte a queste due parti, Navarrini resistette alla tentazione di rinchiudervisi e diede invece ampio spazio agli altri repertorii: non solo eccelse nei ruoli – tipicamente grandoperistici – intrisi di cieco fanatismo (in primis nell’Ebrea e negli Ugonotti) o, ancora, decisamente ‘demoniaci’, ma tenne in baule diversi personaggi di basso ‘nobile’ della tradizione italiana e diede voce volentieri agli esigui esempi di basso presenti nelle opere degli autori più giovani, Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Bizet.
La sua voce fu celebrata per il sorprendente volume sonoro e la profonda risonanza, accostate al grandissimo basso donizettiano e verdiano Ignazio Marini, dal quale ebbe forse in eredità il lascito della generazione ancora precedente, quella di Luigi Lablache. Sebbene non indugiasse nell’introspezione psicologica, Navarrini, attento ad adoperare soluzioni efficaci per amplificare l’effetto sinistro e terribile del suo potentissimo organo vocale, sapeva affascinare gli spettatori in un ampio ventaglio di ruoli dispotici, autoritari, o genericamente negativi. L’ambito vocale procedeva da un comodo Do grave, tipico di un basso profondo, fino al La bemolle acuto, coprendo così di fatto anche le prerogative di un baritono, registro al quale va ricondotto il suo timbro di voce. Sia nelle parti di carattere nobile, sia nei personaggi più ambigui, duri o inquietanti, Navarrini non distoglieva l’attenzione dalla purezza e pienezza del suono e curava la naturale bellezza del colore vocale anche nel registro più acuto. Imponente dovette essere pure la presenza scenica: il bell’aspetto e il fisico prestante (poco meno di due metri) contribuivano non poco al successo di molti dei quei personaggi.
Nel 1906-07 incise per Fonotipia diversi brani tratti da Simon Boccanegra, Lucrezia Borgia, L’ebrea, Faust, La sonnambula, Roberto il Diavolo, Mignon, Marta, Don Carlo, Il barbiere di Siviglia, e il Pro peccatistuae gentis nello Stabat Mater di Rossini, nei quali si può ancora ammirare la potenza della voce nonché una caratteristica già allora abbastanza inusuale per un cantante italiano, ossia l’abilità nel trillo. All’epoca la voce del cantante, ormai più che cinquantenne, doveva aver già perso parecchio smalto rispetto alle ultime grandi esecuzioni di 15 anni addietro, soprattutto nel registro più grave. Ci si può nondimeno fare un’idea del suo stile interpretativo: attraverso l’incisione della Calunnia del Barbiere, per esempio, si possono ammirare il continuo ricorso alla tecnica del ‘parlando’, che si configura qui come un dispositivo plastico di grande musicalità.
Fonti e Bibl.: Italian Opera, Drury Lane, in The Musical Times and Singing Class Circular, 1° luglio 1887, p. 407; Le nostre illustrazioni: F. N., in Il teatro illustrato e la musica popolare, n. 102, giugno 1889, p. 82; E. Mandyczewski, Music in Vienna, in Musical Times, 1° giugno 1901, p. 406; R. Celletti, F. N.: un basso «demoniaco» alle soglie del verismo, in Musica e Dischi, n. 147, settembre 1958, p. 53; R. Celletti, N., F., in Le grandi voci: dizionario critico-biografico dei cantanti con discografia operistica, Roma 1964, coll. 571 s.; Id., in Enciclopedia dello spettacolo, VII, Roma 1975, col. 1056; G. Marchesi, I cantanti, in Storia dell’opera, II: Aspetti e problemi dell’opera, a cura di A. Basso, Torino 1977, p. 385; M. Scott, The record of singing, I, London 1977,p. 119; W. Crutchfield, Vocal ornamentation in Verdi: the phonographic evidence, in 19th-Century Music, VII (1983-84), pp. 3-54; A. Mallach, The Mascagni Tour of 1902. An Italian composer confronts the American musical world, in Opera Quarterly, VII (1990-91), 4, pp. 13-37; J.B. Steane, in The New Grove Dictionary of Opera, III, London - New York, 1992, p. 564; P. Padoan, F. N., in Record Collector, XL (1995), pp. 53-69; K.J. Kutsch - L. Riemens, Grosses Sängerlexikon, IV, München 1997, p. 2492; S. Vallardi - D. Favretti - M.C. Bertieri, Cronologia 1878-1950, inI teatri di Ferrara: il Comunale, II, a cura di P. Fabbri - M.C. Bertieri, Lucca 2004, p. 288; J. Kesting, Die großen Sänger, Kassel 2010, p. 416.